Il-Trafiletto
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09/04/14

Studiare il processo produttivo e poi è fatta: L'acqua di mare si trasforma in carburante

I danni creati dall'mmissione di gas coimbustibili derivati dal petrolio, induce molte nazioni a trovare alternative fonti di energia. Usare acqua di mare per spingere i motori delle navi, sembrava argomento da fantascuianza. Invece sembra sia possibile. I ricercatori del Naval Research Laboratory (NRL) della Marina militare degli Stati Uniti hanno compiuto un “miracolo”, riuscendo ad ottenere un combustibile liquido dall’acqua di mare.

La dimostrazione è stata effettuata con un modellino di P-51 Mustang controllato a distanza. Gli scienziati statunitensi hanno rifornito il motore a due tempi dell’aereo con il carburante ricavato da un processo di conversione catalitica gas-liquido. Rifornire tutte le navi della U.S. Navy, sopratutto in caso di guerra, è una manovra piuttosto pericolosa, ma anche costosa in termini logistici e di bilancio. Ogni anno occorrono circa 600 milioni di galloni di carburante, portato in giro nel mondo da 15 petroliere. Oltre a causare enormi danni ambientali, il petrolio non è illimitato, quindi gli Stati Uniti hanno iniziato a cercare altri modi per ottenere il combustibile. Il NRL ha raggiunto il suo scopo, ovvero ricavare un idrocarburo dall’acqua di mare per poter ridurre la dipendenza dal prtrolio. Come si deduce dal nome, un idrocarburo è un combustibile fossile composto da atomi di carbonio e idrogeno. L’acqua di mare contiene una percentuale maggiore di CO2 rispetto all’aria. L’altro elemento presente è ovviamente l’idrogeno (H2). CO2 e H2 sono gli “ingredienti” di un modulo denominato E-CEM (Electrolytic Cation Exchange Module) che trasforma i gas in idrocarburo liquido attraverso un complesso processo chimico. Il carburante “marino” ha lo stesso aspetto e odore di quello tradizionale. Il costo attuale è compreso tra 3 e 6 dollari al gallone. L’obiettivo è ora migliorare il processo produttivo. Con l’aiuto dei partner e la disponibilità di fondi, il combustibile potrebbe essere commercializzato entro i prossimi 10 anni.               fonte (webnews.it)

28/12/13

Ma quanto costa…1 centesimo di euro? Vale la pena averne?

Ma quanto pensiate che costi 1 centesimo di euro? Vale la pena continuare a coniarlo? Lo sapete che coniare la moneta da 1 centesimo non conviene affatto? In giro, si afferma che coniare una singola moneta da 1 cent di euro costi ben 4/5 centesimi, ed oltretutto sono anche fastidiosi da portarli in tasca! Quindi, perché non eliminarle una volta per tutte dal commercio? Il buco nero venutosi a creare a causa di questa assurda anomalia è di ben 188 milioni di euro, e si è accumulato in dieci anni soltanto nel nostro Paese.

centesimo
1 centesimo di euro
Chissà a quanto si arriva, considerando l’intera Unione Europea!
Per questo, SEL, ovvero Sinistra ecologia libertà, il noto partito politico italiano, ha preso l’iniziativa di presentare una mozione alla Camera dei Deputati, il cui primo firmatario è Sergio Boccadutri, tesoriere nazionale del partito, che è stata sottoscritta anche da alcuni deputati di Scelta Civica, PD e M5S.

I costi di fabbricazione presi in questione sono precisamente quelli delle monete da 1, 2 e 5 centesimi. Le monete da 2 centesimi, invece, verrebbero a costare ben 5,2 centesimi, mentre quelle da 5 centesimi costerebbero 5,7 centesimi.
Da quando è stato introdotto l’euro, la Zecca avrebbe fuso ben 2,8 miliardi di monete da 1 centesimo, 2,3 miliardi da 2 centesimi e 2 miliardi da 5 centesimi. In totale, fanno ben 362 milioni di euro spesi per produrne 174! In tempi di crisi niente male davvero, conveniente, no?

19/12/13

L'incubo della busta paga e degli oneri fiscali: l'Italia si guadagna l'Oscar di paese più tartassato

Leggere una busta paga diventa sempre più difficile, praticamente un lavoro da esperti del settore, ma una cosa è chiara per tutti, rispetto alla retribuzione lorda il netto in busta è "spaventosamente" basso. Dunque ci si chiede: ma si può sapere dove finiscono tutti quei soldi? Possibile mai che, oltre alle trattenute che ci vengono fatte in busta paga, sia il datore di lavoro che il lavoratore debbano contribuire con prelievi sul reddito e contributi sociali? E' il famigerato cuneo fiscale, che ci fa guadagnare l'Oscar dei paesi più taratassati per oneri fiscali e contributivi sul lavoro.
I dati Eurostat ci dicono che il costo medio di un'ora di lavoro nel nostro paese è di 28 euro circa ma la retribuzione oraria reale, diciamo il netto, scende vertiginosamente a poco più di 19 euro. Un terzo dello stipendio, quindi, viene trattenuto: si tratta di contributi e altri costi non salariali pagati dal datore di lavoro.

Soldi
Come al solito l'Italia è il fanalino di coda, almeno tra i big europei, sia per quanto riguarda le retribuzioni che per i contributi pagati.  Secondo i dati Ocse 2011 il cuneo in Italia ha toccato il 53,5% , secondo solo al Belgio (55,5%). Tornando alle statistiche Eurostat, i cui dati fanno riferimento alle imprese con più di dieci dipendenti nei settori dell'economia di mercato eccetto l'agricoltura e la pubblica amministrazione, è possibile anche il confronto con gli altri paesi: nel 2012 (ultimo dato disponibile) il costo orario nell'Ue a 27 era di 23,4 euro mentre nella Ue a 17 era pari a 28 euro. La media cela notevoli differenze: si va infatti dalla Bulgaria dove il costo orario è di 3,7 euro fino ai 39 euro/ora della Svezia passando per la Francia (34,2 euro), Paesi Bassi (32 euro), Germania (30 euro), Regno Unito (22 euro). Francesca Fazio, ricercatrice Adapt (centro studi internazionali Marco Biagi) spiega che il costo del lavoro orario non  dice qual è la vera retribuzione per i lavoratori proprio a causa del diverso peso esercitato dai costi non salariali, contributi e tasse a carico del datore. Anche in questo caso si registrano notevoli differenze fra i Paesi con quote di costi non salariali che variano da circa l'8% per Malta a quasi il 34% per la Francia. In Italia la quota di costo del lavoro orario derivante da contributi e tasse si avvicina al 28%. Si tratta del cuneo in busta paga più alto dopo Francia e Svezia, che comunque colmano lo svantaggio con retribuzioni orarie più alte. Tra i paesi presi in considerazione da Eurostat la Danimarca risulta l'Eldorado delle retribuzioni. Al netto, per semplificare, al lavoratore arrivano in busta paga 33,3 euro mentre i contributi pagati dal datore ammontano a poco meno di 5. "Siamo di fronte a una nazione virtuosa che ha messo a punto un sistema di politiche attive del lavoro molto forti ed efficienti. La flexsecurity consente di ridurre al minimo gli impatti onerosi della disoccupazione", continua Fazio. E nella vicina Francia? "In questo caso i contributi pagati dal datore sono piuttosto alti (11,5 euro/ora) ma lo è anche il netto che percepisce il lavoratore, quasi 23 euro. Qui la produttività oraria è cresciuta negli ultimi dieci anni, grazie a forti investimenti sull'innovazione, la ricerca e lo sviluppo. La stessa cosa vale per la Germania dove la retribuzione oraria arriva a quasi 24 euro (mentre i costi a carico del datore sono poco meno di 7 euro)".
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