Il-Trafiletto
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05/05/17

Ergastolo ex fidanzato di Sara di Pietrantonio: sentenza camera di consiglio

Ergastolo ex fidanzato di Sara di Pietrantonio: sentenza camera di consiglio che ha trovato nei genitori della povera ragazza uccisa piena soddisfazione! 


Da un lato ci sono i messaggi che minacciano vendette inviati all'ex per la nuova relazione sentimentale con un altro ragazzo, dall’altro le prove che Paduano, vigilante di 28 anni, la seguiva ossessivamente, da almeno una settimana, e senza mai farsi vedere.

Paduano, che si trova in carcere a Rebibbia, non si è presentato all'udienza.
È accusato dalla pm Maria Gabriella Fazi di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione dai futili e abbietti motivi, dagli atti persecutori.
E ancora: di stalking, incendio e occultamento di cadavere.
Per sette giorni Paduano ha pedinato Sara di nascosto, gli investigatori hanno ricavato questo dato dal Gps, il sistema navigatore installato nella sua auto che lo aveva inchiodato il giorno del delitto.

Il Gps in sostanza aveva in memoria i percorsi compiuti da Paduano durante tutta la settimana precedente all’omicidio, registrando come l'uomo sia andato diverse volte sotto casa di Sara, sotto quella del nuovo fidanzato della studentessa (Alessandro Giorgi), all'indirizzo di un’amica di Sara e ancora fuori dalla palestra e dall’Università frequentata dalla ragazza.
Un’ossessione che si unisce alle minacce rivolte alla 22enne per averlo lasciato (da diversi mesi) ed aver iniziato una nuova relazione: “Ti rovino la vita a te e a lui (Giorgi, ndr), tu devi soffrire come stai facendo soffrire me”, le diceva il 21 maggio.
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06/11/14

Si può risarcire la giovinezza? | 22 anni in carcere da innocente

Secondo voi cosa può aver fatto un uomo da passare 22 anni in carcere da innocente? Giuseppe Gulotta ora ha 57 anni e la sua giovinezza l'ha passata in carcere subendo sopprusi e torture. Chiede giustamente un risarcimento. Ma si può risarcire la gioventù?

Fu condannato all'ergastolo per i fatti avvenuti nella casermetta di Alcamo marittima nel 1976. Fu forzata la porta con la fiamma ossidrica e uccisi i due carabinieri di guardia mentre dormivano,  l’appuntato Salvatore Falcetta e il carabiniere Carmine Apuzzo. ( Si saprà dopo anni che avevano fermato e sequestrato un furgone pieno di armi destinato alla "Gladio" organizzazione a struttura militare segreta) Vennero condannati quattro giovani che finirono per confessare il delitto, ma si seppe in seguito alla testimonianza (arrivata 22 anni dopo) di un brigadiere dell'arma, che erano stati sottoposti a torture indicibili per strappargli la confessione.

Comunque la storia finì con Gulotta in carcere e insieme a lui Giuseppe Vesco ( che pochi mesi dopo si impiccò in carcere pur avendo una mano sola) gli altri latianti in Brasile. Grazie alla testimonianza del brigadiere, che all'epoca dei fatti era di servizio ad Alcamo: Renato Olino, che ha raccontato dei «metodi persuasivi eccessivi» usati all’epoca per far «cantare» Vesco. Olino ha raccontato ai magistrati che il Vesco fu condotto in una caserma, costretto a ingurgitare da un imbuto acqua e sale e subire scosse elettriche tramite un telefono da campo. Fino alla confessione. Il processo si riapre e si prova l'innocenza di Gulotta che nel 2012 esce dal carcere dopo 22 anni.

Ora i legali di Giuseppe Gulotta, hanno chiesto 56 milioni di euro di risarcimento alla Corte d’appello di Reggio Calabria, formalizzando la richiesta che era stata annunciata dopo la scarcerazione. Come si potesse risarcire la givinezza, come se si potessere cancellare le torture con una somma in denaro, ma esiste una somma simile di denaro? Un'ingiustizia eseguita anche con l'appoggio delle istituzioni, che hanno subito uomini innocenti per coprire organizzazioni segrete, non importa di quale colore fossero, ci ricorda che nelle caserme noi italiani, non siamo sicuri. Il caso Cucchi lo conferma.

26/10/14

"Rinnegare la pena di morte in ogni sua forma" | Questo il monito forte che giunge dal Vaticano

Niente più "pena di morte, che si tratti di una forma legale oppure no in ogni sua forma e modalità, ma pure per ottimizzare lo stato dei luoghi di detenzione nel massimo rispetto della umana dignità". 


Questo è l'appello forte e inequivocabile che dalla sede Vaticana, Papa Bergoglio, durante una riflessione avanzata all'Associazione Internazionale di Diritto Penale, affermando che "la pena dell'ergastolo è di fatto una condanna a morte celata".

Rinnegare pure le "meglio conosciute esecuzioni extragiudiziali o extralegali". "Una tortura sotto velata forma che certe volte - fa seguito al suo appello il Santo Padre- quella che si afferma tramite la detenzione in celle di massima sicurezza", con la "mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani".

Tutto ciò succede certe vote "pure in altri istituti penitenziari. Avvenimenti che si verificano non solo in centri abusivi di prigionia o in attuali campi di concentramento, ma finanche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena". Tale "ferocia", sottolinea Papa Francesco, "sono un vero e proprio 'supplemento' di dolore che va ad aggravare i già esistenti mali propri della carcerazione". "Il sistema penale sconfina oltre i limiti della sua funzione propriamente pecuniaria e si afferma sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare neppure per le pene più gravi, come la pena di morte", ha precisato il Papa.
Papa Bergoglio incita ad
abolire la pena di morte

"Appare evidente che c'è il rischio forte - afferma Francesco - di non detenere neanche la giustizia riguardanti le pene inflitte, che la storia da sempre mostra la scala di valori tutelati dallo stato. Si è quasi spenta l'idea del diritto penale come fine ultimo, per ricorrere alla sanzione, entro i limiti delle azioni più gravi contro gli interessi del singolo o di quelli collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative". "La corruzione si esprime in un'atmosfera di trionfalismo perché il corrotto si crede un vincitore e si pavoneggia per sminuire gli altri", ha poi denunciato Papa Francesco.

Per il Santo Padre, disgraziatamente questo stato di fatto è la conseguenza dell'impunità facorita dal fatto che "la sanzione penale è selettiva, ovvero sia, è come una rete che imprigiona solo i pesci piccoli, mentre i grandi sono liberi di andare via nel mare". Non si ambisce allora "gravi frodi contro la pubblica amministrazione" come pure "l'esercizio scorretto dell'amministrazione ed ogni specie di impedimento frapposto al funzionamento della giustizia con l'intenzione di procurare l'impunità per le proprie malefatte o quelle di terzi".

14/10/14

"La condanna che si merita mio figlio per quello che ha fatto è l'ergastolo".

Nel febbraio scorso Maurizio Falcioni, un muratore italiano di 35 anni, con piccoli precedenti per droga, venne arrestato per tentato omicidio dai carabinieri di Ostia per aver preso pugni e a calci la convivente Chiara Insidioso Monda, disabile di 19 anni, riducendola in fin di vita. L’uomo la accusava di tradirla, da qui le tremendi percosse. 


Maurizio Falcioni ora è rinchiuso nel carcere di Velletri con l’accusa di tentato omicidio e ha chiesto al giudice di essere processato con il rito abbreviato, nonostante le proteste dell’opinione pubblica e dei familiari della vittima. Purtroppo la legge lo consente, e se la richiesta venisse accolta, consentirebbe al 35 enne muratore di avvalersi di uno sconto di pena pari ad un terzo. Il padre di Maurizio, Gianfranco, fin dall’inizio ha condannato il gesto del figlio, e in un’intervista rilasciata al giornalista Giulio Mancini del Messaggero ha dichiarato: “Sono più addolorato per Chiara che per mio figlio. Lui merita l’ergastolo per ciò che ha combinato. Certo, ho vissuto in prima persona con mia moglie ciò che conferma il medico, ovvero che la droga e l’alcol hanno distrutto la personalità di Maurizio. Ma quello che ha fatto è gravissimo, a Chiara voglio bene come a mia figlia che ha 25 anni”.

"La condanna che si merita mio figlio
per quello che ha fatto è l'ergastolo".
Ma quello che fa più rabbia a papà Gianfranco è che il figlio non si è mai pentito di quello che ha fatto, la povera Chiara è ancora degente in coma in un letto dell’ospedale San Camillo. Oggi inizia il processo a Maurizio, la difesa punta al riconoscimento dell’incapacità di intendere e volere, come riferisce la perizia dello psicologo di parte Marco Tinesi. All’ingresso dell’Ospedale S. Camillo da mesi è esposto un lenzuolo bianco con la scritta “Io sto con Chiara Insidioso, basta violenza sulle donne”. E anche nella curva Nord dello stadio Olimpico di Roma, durante le partite della Lazio, squadra della quale Chiara era tifosa, campeggia uno striscione con scritto “Forza Chiara, la Nord è con te”.(immagine presa dal web)

24/03/14

Roma | 24 marzo 1944 - 24 marzo 2014: settanta anni esatti dall'eccidio delle Fosse Ardeatine.

Settant’anni esatti dalla strage delle Fosse Ardeatine. Infatti il 24 marzo 1944, a Roma, venne perpetrato uno dei massacri più atroci e criminali non solo della Seconda Guerra Mondiale, ma di tutto il Novecento in Italia. Da sempre, infatti, sentiamo parlare delle Fosse Ardeatine come di un simbolo dell’assurdità della guerra, come una supremazia del male nella sua natura, che non si arresta neppure di fronte ai deboli e agli indifesi, anzi si accanisce proprio contro di loro. Furono 335 i morti nella strage delle Fosse Ardeatine: oggi tutti li ricordano, ma pochi, soprattutto tra i più giovani, sanno bene il perché. Perché l'eccidio delle “ Fosse Ardeatine”? A Roma, nelle vicinanze di via Ardeatina, le cave di tufo presenti nella zona settant’anni fa furono il teatro dell’esecuzione da parte dei generali nazisti dei 335 cittadini italiani, alcuni civili, altri militari. Un evento che ha reso quest’area uno dei monumenti nazionali, simbolo della Resistenza in Italia e soprattutto nella Capitale. Infatti Dopo l’8 settembre 1943, l’Italia era nel pieno della guerra civile e Roma, dichiarata città aperta nell’agosto dello stesso anno, era in balia dei raid nazisti, con i gruppi spontanei di partigiani a creare un’opposizione via via sempre più diffusa e organizzata alle calcagna dei tedeschi. LA STORIA.Per contrastare questa crescente ondata di terrore e terrorismo da parte delle truppe naziste, i nascenti gruppi partigiani si organizzarono per una rappresaglia il 23 marzo del 1944, cioè nel venticinquesimo anniversario della nascita dei Fasci di combattimento da parte di Benito Mussolini. Così, nella data stabilita, una bomba con 18 chilogrammi di esplosivo fece fatta scoppiare in via Rasella, nel centro di Roma, uccidendo ben 32 ufficiali tedeschi del battaglione “Bozen” sotto indicazione del noto antifascista Giorgio Amendola, abituato a vedere marciare i militari nazisti in quelle zone. LA REAZIONE TEDESCA. I nazisti organizzarono una ritorsione inaudita, uno dei crimini di guerra più feroci mai registrati in Europa: i marescialli hitleriani arrivarono alla conclusione che per ogni ufficiale rimasto vittima dell’attentato, sarebbero stati uccisi dieci italiani. La popolazione e i gruppi combattenti vennero tenuti all’oscuro fino all’ultimo: non fu intimato ai responsabili di consegnarsi per evitare azioni eclatanti, né vennero diramati avvertimenti pubblici. L’ordine di questa orribile esecuzione partì dal generale Kurt Mälzer, comandante militare in quel periodo a Roma e primo ad arrivare sul posto dopo lo scoppio della bomba partigiana, insieme al questore filofascista Caruso. A occuparsi delle operazioni, venne chiamato il colonnello delle SS Herbert Kappler, uno degli ufficiali più spietati, che aveva già legato il proprio nome a episodi cruenti in quei mesi difficili nella Capitale. Furono loro a intavolare le trattative con il Reich, da una parte, e la Repubblica di Salò, dall’altra, trovando il supporto delle autorità fasciste ancora insediate. LE VITTIME.Inizialmente, si pensò di ricorrere ai condannati a morte come vittime di questa strage predeterminata a scopo intimidatorio, dopo l’atto ostile compiuto dai partigiani. Poi, accortisi dell’insufficienza dei numeri tra coloro in attesa di pena capitale, la lista arrivò presto a comprendere ebrei, antifascisti, “noti comunisti”, militari complici dell’arresto di Mussolini il 25 luglio del 1943, e 50 detenuti dal carcere di Regina Coeli, alcuni indicati dai fascisti, altri presi sommariamente per far quadrare i conti, più sacerdoti, professori, partigiani, cittadini "colpevoli" per il loro essere antifascisti. LA STRAGE. Tra le 12 e le 20 del 24 marzo 1944, 335 persone furono trasportate alle cave di tufo in via Ardeatina e qui fucilate in 67 turni di esecuzioni,cinque alla volta, una vera e propria carneficina, con i racconti da pelle d’oca, tra montagne di cadaveri e soldati imprecisi a sparare che infieriscono sui corpi delle vittime. La lista delle vittime venne affidata al capitano Priebke, il quale si occupò personalmente di verificare che gli ordini fossero eseguiti. I RESPONSABILI. Kappler e Priebke,a distanza di anni uno dall’altro, furono condannati all’ergastolo, mentre il generale Albert Kesserling venne condannato a morte, condanna poi commutata nel carcere a vita. Priebke è morto pochi mesi fa, a Roma. La strage delle Fosse Ardeatine è stato un crimine di violenza inaudita, realizzato da un regime in decadenza che stava cercando di ribaltare con le atrocità la china di un conflitto che lo vedeva ormai battuto. Solo una scarsa conoscenza dei fatti, o una rilettura fugace e opportunistica, può affermare il contrario. Anche se, negli ultimi anni, di opinioni strambe che hanno trovato cittadinanza in Italia, se ne sono sentite, purtroppo, parecchie.

20/03/14

Eccidi del 1944 nell'appennino tosco-emiliano: confermati tre ergastoli.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della procura generale militare confermando la condanna all'ergastolo per gli ex nazisti della divisione "Herman Goering" accusati delle stragi sull’Appennino tosco-emiliano nella primavera del 1944, dove in una delle quali, e precisamente quella del Monte Falterona, tra le province di Firenze e di Arezzo, vennero uccise 200 persone tra uomini, donne e bambini. La Prima sezione penale è intervenuta così sulla decisione della Corte militare d'appello di Roma del 26 ottobre 2012, confermando gli ergastoli per Hans Winkler, Alfred Luhmann e Wilhelm Stark. La Corte ha anche disposto un nuovo processo di appello per altri 2 militari e due eccidi rimasti senza colpevoli: Monte Morello (la più alta montagna della cosiddetta “conca” fiorentina) e Mommio di Fivizzano (in provincia di Massa Carrara). Nel frattempo uno degli imputati, Ferdinand Osterhaus, è morto. Si riapre così dopo 70 anni di distanza il capitolo giudiziario per le quattro stragi naziste. Un nuovo processo d’appello dovrà accertare le responsabilità dei cinque ex militari nazisti, tutti novantenni. Tre di questi per due degli eccidi dei resistenti (tra cui molte donne, anziani e bambini) sono già stati condannati all’ergastolo dalla corte d’appello militare di Roma, il 26 ottobre del 2012: sentenza che ieri sera (19 marzo) è diventata definitiva appunto per decisione della prima sezione penale della Suprema Corte. Il nuovo processo sarà celebrato per accertare le responsabilità per gli eccidi di Monte Morello e quello di Mommio di Fivizzano, finora rimaste senza colpevoli. Mentre per la strage di Monchio,Susano e Costrignano sull’Appenino modenese (oltre 150 morti), del 18 e 20 marzo 1944, della quale proprio in questi giorni ricorrono i 70 anni, e per l’eccidio del monte Falterona del 13 e 18 aprile, andrà valutato se ci sono ulteriori responsabilità oltre a quelle accertate. Gli imputati che dovranno tornare alla sbarra, sono l’allora capitano dell’esercito tedesco Helmut Odenwald, di 95 anni; l’ex tenente Erich Koeppe (95), assolti in appello per i quattro capi d’imputazione, e il sottotenente e medico della divisione Hans Georg Karl Winkler (92), il caporale, poi sergente, Alfred Luhmann (89) e il sergente Wilhelm Stark (93), condannati all’ergastolo. Sono venti le parti civili, tra cui la presidenza del Consiglio, le Regioni Emilia-Romagna eToscana, Anpi e i Comuni interessati.
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