Il-Trafiletto
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13/06/14

Secondo articolo del voto

E noi entriamo qui nel secondo articolo del voto: "Di assumerci la corresponsabilità della giustizia nell'Ordine, di riparare la colpa del nostro compagno se rifiuta di riconoscerla e di correggersene".
E il punto più originale della nostra Regola, ne è il seme. Questo mi fu detto in quella notte di San Giovanni del 1937 in cui ebbi la prima visione dell' Arca, a Nàrendranàgar. Mi è capitato, in seguito, di vedere delle persone sconvolte convertirsi per aver sentito queste parole. Però sappiamolo bene: la Corresponsabilità non è invenzione nostra. La Corresponsabilità è nella natura delle cose. Esiste allo stato più o meno latente nella famiglia come nella nazione. 
Accade costantemente che il figlio dell'imbroglione, dell'usuraio, del fallito, faccia fatica ad alzare il capo; che una figlia svergognata getti nella vergogna un' onesta famiglia; che il pacifico straniero che passeggia tra di noi sia considerato un nemico mortale se si guastano le relazioni diplomatiche col suo paese. 
Noi vediamo nella Bibbia Dio stesso colpire con la peste e con la guerra un popolo intero, per la colpa del suo capo. Qui la Regola dunque non fa altro che trascrivere in termini di coscienza il comportamento naturale dell'uomo che si appella a una comunità viva. Tuttavia l'obbligo preciso che ne risulta non ha più nulla di una relazione naturale. 
Se sorprendo in colpa il mio compagno, che devo fare? Riferire la cosa al mio capo con lo zelo di un fedele spione? Denunciare il colpevole in pubblico con nobile indignazione? No, devo andare da lui per chiedergli che pena intende applicarsi. Se fa la sua penitenza, e questa è ragionevole e sufficiente, l'incidente è chiuso. 
Se si rifiuta, s'irrita e si giustifica, non devo precipitarmi nella disputa, so quello che mi resta da fare: prendere su di me il castigo che a mio giudizio egli meritava*. 
Può accadere che, vedendomi digiunare, vegliare o faticare al suo posto, egli si penta. lo posso sia lasciargli compiere finalmente il suo dovere, sia, per amicizia, accompagnarlo. Così l'aguzzino, lo spione, il giudice, l'avvocato, il carnefice scompaiono dalla scena della Giustizia dove per secoli recitano una sinistra commedia, e anche il colpevole, perché si corregge. Un Compagno: Mi sembra di aver letto da qualche parte nella Bibbia: "Tu correggerai il colpevole, ma non prenderai su di te la sua colpa". 
Come conciliare questo con la nostra Regola? Risposta: Bisognerebbe esaminare il testo nella lingua originale, per scoprire il senso esatto di quel ma. Quel ma pare presupporre un sottinteso: Se non agisci così prenderai la colpa su di te, ma l'eviterai riportando il colpevole all'obbedienza. E almeno quello che afferma Ezechiele in un versetto che non lascia dubbi: "Tu li avvertirai da parte mia. Quando dirò al malvagio 'Tu morirai!' se tu non l'avverti, se non gli parli per esortarlo a distogliersi dalla sua vita malvagia, per salvare la sua vita ti chiederò conto del suo sangue!" (Ez. 111, 18). D'altra parte la nostra Regola ha le sue radici proprio nella" Legge e i Profeti", ma maggiormente (come tutto quello che riguarda la nonviolenza) in quel "Complemento della Legge" portato dal Vangelo. "Gli Antichi vi hanno insegnato che... ma io vi dico ..." Ed essa inserisce la sua giustizia nell' economia dell' amore, della libertà e della grazia. 
Un altro Compagno: Sta scritto, infatti: "Porterete i pesi gli uni degli altri". La Regola ce ne fa un obbligo preciso e ce ne indica il momento opportuno e il modo. 
Una Compagna: È mediante la Corresponsabilità che il cristiano pratica l'imitazione di Gesù Cristo nel miglior modo possibile. Il Cristo è venuto" a prendere su di sé i peccati del mondo" ed è così che ci salva. Ogni volta che facciamo lo stesso con un nostro fratello, partecipiamo al riscatto in modo attivo e cosciente. 
Risposta: È vero e bellissimo, purché un'impercettibile presunzione non guasti questo lavoro di salvezza. Ricordiamo sempre che il Cristo viene da Dio, e che egli è Dio e impeccabile, e da questo deriva il suo potere di salvare. Noi siamo stati tratti dal nulla e siamo mezzo affondati nel peccato. Non possiamo mai espiare per gli altri non essendo sicuri di essere noi stessi esenti dal peccato. Sarebbe come fare dei regali con denaro rubato. Eppure la parabola dell'economo infedele lascia intendere che il Padrone ci feliciterà per questa mistica frode. 
Quello che importa richiamare è che la distinzione tra il tuo e il mio in materia di peccato è meno netta di quanto non sembri al giudizio del mondo, che era più grande di quel che sembrava. la mia partecipazione alla colpa di noi tutti. Non è dunque così straordinario che io soffra al suo posto, la sola cosa straordinaria è che io lo sappia e lo voglia, ed è quello che la nostra Regola insegna. 
Un Compagno: Non esiste da nessuna parte del mondo un'istituzione di giustizia conforme alla nonviolenza? 
Risposta: Il Taglione dell' Antica Legge fu dettato da Mosè alla sua gente "a causa della durezza del loro cuore", per mettere un limite alle vendette, per impedire il loro prolungarsi all'infinito. La procedura penale delle nazioni civilizzate è una macchina per raffreddare la vendetta: mediante un sistema di ritardi, di sostituzioni, di controlli, essa la comprime in forme dall'apparenza logica, togliendole una parte del suo furore, e nello stesso tempo la sua ragion d'essere, la trasforma in qualcosa che non è né natura, né morale, né utilità. I disgraziati cadono nei suoi ingranaggi come la mosca nella ragnatela. No, la nonviolenza non ha nessuna parte nei cavilli, la condanna, la detenzione, l'esecuzione, in breve nella giustizia ufficiale e negli oscuri concetti da cui essa deriva: questa "Giustizia" è da riporre, con la Guerra, tra le superstizioni barbare come la Schiavitù e l'Antropofagia. 
Ma tra le opere e le vittorie della nonviolenza, bisogna contare gli sforzi compiuti per l'umanizzazione della Giustizia: quelli di Voltaire per l'abolizione della tortura, di Victor Hugo e di Beccaria per la soppressione della pena di morte, di Lombroso per lo studio del delitto come infermità mentale e di conseguenza per la trasformazione delle "Case di Pena" in Case di Cura e di Rieducazione. La soppressione degli infernali bagni penali nelle isole tropicali o glaciali, la soppressione della palla al piede, delle catene e della frusta. L'addolcimento del regime penitenziario. Gli ambiti di accoglienza per chi esce di prigione. Le opere per la redenzione dei minorenni delinquenti. 
Un altro Compagno: Perché nella vecchia versione è detto: " di riparare le nostre colpe o di compensarle, di punircene da noi", ma nella nuova soltanto" di riparare e di correggerei?". 
Risposta: Per semplificare, anche per evitare la "penitenza", sgradevole per i nostri fratelli protestanti. La distinzione dei tre termini dell'antica formula è la seguente: la penitenza riguarda Dio e me stesso, la riparazione o compensazione riguarda il prossimo. Si dimentica troppo spesso che questo viene prima di ogni perdono. Troppo spesso il devoto si confessa e si crede a posto, e il confessore assolve senza esigere che quello che è riparabile venga riparato. 
Se mi pento di aver derubato il mio prossimo e penso di ottenere il perdono pur conservando il denaro, vuol dire che inganno me stesso e mi faccio beffe di Dio. So che riparare non è sempre facile e a volte si rivela impossibile. Le buone parole e il rimpianto sincero non cancellano tutti gli effetti dell'ingiuria o della calunnia. Che possiamo rendere a colui cui abbiamo infranto la felicità, a colei che mori di dolore dopo il nostro abbandono? Allora si ricorre alla Compensazione. 
Il beneficio ricevuto da uno sconosciuto al quale non ho neanche potuto dire "grazie", lo devo a qualcun altro, e gli devo anche di non farmi conoscere da lui. Se volete sapere perché colmo di attenzioni quel vecchio al quale non devo niente, sappiate che è a causa di mio padre che ho perso da molti anni e al quale non ho reso nulla di quello che gli dovevo! 
Una Compagna: Parlateci del Sacramento della Penitenza. 
Risposta: Considerate il "Tribunale della Penitenza" così come viene chiamato: Eccola, la giustizia piena perfettamente nonviolenta, davanti alla quale uno si dichiara sempre colpevole, e che non emette mai altra sentenza che il perdono! 
La stessa Compagna: In che rapporto con il Sacramento è questo articolo della nostra Regola? 
Risposta: Lo prepara e poi lo continua traducendo in concreto i suoi effetti. 
Un Novizio: Poiché tutto sta nell'Insegnamento, quale rapporto ha la pratica della Corresponsabilità da una parte con i nostri esercizi quotidiani, dall'altra con la lotta nonviolenta? 
Risposta: La pratica della Corresponsabilità è l'esercizio quotidiano della nonviolenza. Perché la corresponsabilità ci mette in lotta con i nostri fratelli, e ci abitua a questa virile carità. Combattendo bene il nostro fratello (o piuttosto il male che sta in lui) acquisteremo la forza di riconciliare a noi i nostri nemici, e, con l'aiuto di Dio, di convertirli. L'esercizio è il lavoro su di sé in vista del risveglio della coscienza. La lotta nonviolenta è lavoro sull' altro in vista di provocare in lui il risveglio. da "Azione nonviolenta" giugno 1984
scritto da Lanza del Vasto

  *Questo nel caso che non ci sia alcun dubbio sulla sua colpa e sulla sua ostinazione. Se l'accusato trova il rimprovero ingiusto, o eccessivo, o fondato su un malinteso, e ne segue una discussione, i due potranno, su richiesta dell'uno o dell' altro, presentarsi insieme davanti al Patriarca e sottomettere la questione al suo giudizio. Ma nessuno andrà a lamentarsi o a protestare dal Capo, e meno ancora da un'altro. Ogni sera, prima della preghiera (tranne che nei giorni di festa), i Compagni e i Novizi si riuniscono per la Colpa. Ognuno si accusa delle colpe della giornata e annuncia la penitenza fatta o da fare, o chiede perdono a quello che teme di aver offeso o danneggiato. Nessuno accusa qualcun altro.
Primo articolo: IL GIOIELLO DELLA REGOLA

12/06/14

IL GIOIELLO DELLA REGOLA

IL GIOIELLO DELLA REGOLA 
ALLA COMUNITÀ DELL 'ARCA 
di Lanza del Vasto 
Lanza del Vasto, fondatore della Comunità dell'Arca in Francia e continuatore dell'opera di Gandhi in Occidente, con questo scritto smonta e stravolge la teoria della pena. Il concetto della corresponsabilità della Giustizia e la convinzione di non dover "infliggere" la pena, ma piuttosto, di "assumerla" su di sé, sono gli originali punti che costituiscono il sovvertimento dell'agire della Giustizia ufficiale. I criteri esposti in questo articolo sembrano frammenti di utopia ma, alla Comunità dell'Arca, costituiscono una Regola che quotidianamente trova applicazione. 
  • Assumere la responsabilità delle nostre azioni, riconoscere i nostri torti, ripagare i nostri misfatti, correggercene da noi, sotto il controllo dei nostri compagni se il misfatto è conosciuto, in segreto se siamo soli a conoscerlo. 
  • Assumerei la corresponsabilità della giustizia dell'Ordine, ripagare l'errore del nostro compagno se rifiuta di riconoscerlo e di correggersene. 

Noi abbiamo fatto voto "di assumere la responsabilità delle nostre azioni" ... questo significa che, un bel giorno, abbiamo preso la decisione di essere uomini liberi. 
I filosofi si dilettano di discutere sulla libertà umana, gli uni affermandola in assoluto, gli altri negandola, come se per gli uni tutta la specie si trovasse esente da determinazioni esterne, come se per gli altri le azioni di qualsiasi uomo non potessero essere altro che il risultato delle pressioni e degli urti subiti.
 È libero l'uomo che si sviluppa secondo la sua propria legge, e inserisce la sua azione nell'armonia del tutto. Ma chi si lascia andare alle sue inclinazioni non è più libero della pietra che cade e dell' acqua che scorre chi si presta agli incitamenti, eccitazioni, agitazioni, sollecitazioni del mondo non è più libero dell' onda spinta dal vento. "Chiunque si abbandona al peccato è schiavo del peccato" (Gv 8, 34) e l'ignorante è prigioniero delle tenebre. 
Per liberarsi occorre dunque, uscendo dal gregge comune, seguire la propria strada, e per questo conoscerla, cioè conoscere se stesso: "Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 32). 
Conoscersi significa unificarsi nello spirito, e anche nel tempo. L'azione allora risponde alle convinzioni e concezioni, e l'uomo diventa responsabile delle sue azioni e delle conseguenze logiche delle sue azioni. 
La parola responsabile è della stessa famiglia della parola spontanea che designa "quello che sgorga da fonte interiore", della stessa famiglia della parola sposa, colei il cui amore sgorga dal di dentro e che risponde allo sposo e gli corrisponde. La libertà è la nobiltà della vita spirituale inaccessibile e perfino incomprensibile a chi vive e ragiona secondo il mondo, e la responsabilità è il dovere, il peso, il prezzo di quest' onore. 
Assumere la responsabilità delle proprie, azioni, vuol dire collegare il di fuori col di dentro e il presente col passato. E l'effetto del lavoro su se stessi ed è già un lavoro su se stesso, lavoro di unificazione e di risveglio della coscienza che non può limitarsi a qualche mezz'ora di esercizio mattutino, ma prosegue in tutte le ore della giornata, e congiuntamente a ogni altro lavoro. 
Va da sé che in più noi dobbiamo, per obbedienza, assumere le responsabilità che ci vengono date. 
Perché è uno dei metodi del nostro insegnamento di accordare, per un certo tempo, dei compiti, delle sorveglianze, dei comandi a un dato compagno o anche a un dato novizio, e poi a un altro, perché il punto sul quale aveva mostrato una certa indifferenza, una reticenza più o meno inconscia, s'imponga adesso alla sua attenzione e l'esperienza vinca il suo impedimento meglio dei rimproveri o delle esortazioni. 
La pratica della responsabilità è un buon rimedio a quello che la vita comunitaria comporta di abitudinario, di pecoresco, all'infantile passività che, sotto l'aspetto dell'umiltà fiduciosa, finisce col depositarsi sulle anime, e non è un pericolo minore di quello dell'orgoglio e delle rivolte, sebbene meno apparente. 
Com'è conciliabile la disciplina con la libertà? 
Questa domanda si pone da quando ci sono uomini e città. Per non averle saputo dare una corretta soluzione l'avvilimento della schiavitù si alterna con la ribellione e l'effusione di sangue, e in tutte le civiltà la Legge oppone alla malvagità degli uomini obblighi a volte insopportabili, minacce umilianti e atrocità senza fine. 
L'Ordine civile non può essere mantenuto senza il Potere costituito, questo potere è il potere di maneggiare le "Forze dell'Ordine", che hanno lo scopo di soggiogare tutti quanti, d'intimidire quelli che esitano, di abbattere i recalcitranti, di vendicare i delitti, cui si aggiunge quello di difendersi contro le potenze straniere mediante la guerra, e di aumentare se stesse grazi alle conquiste. 
Il "diritto di guerra e di giustizia" che è il privilegio del Potere inclina alla licenza di usare la violenza a piacimento. Nella pace come nella guerra, i delitti perpetrati dal Potere restano i soli impuniti, e, in tutti i regimi, superano in numero quelli dei privati. Il Potere offre il suo arbitrato ai privati nelle loro dispute che tronca secondo il diritto, ma nelle sue dispute con un altro potere non riconosce che il diritto del più forte e la legge della giungla. Esso reprime gli eccessi dei privati, ma nessuno può reprimere i suoi. Il Potere comporta il potere di abusare del potere. 
Le istituzioni democratiche hanno la funzione di sopprimere gli abusi del Potere di servirgli da controllo e da freno, ma hanno quasi inevitabilmente l'effetto d'introdurre la divisione in seno all'unità, il discredito delle persone dei capi, l'imbarazzo e il ritardo in ogni esecuzione. Ne risulta un potere diminuito, ma sussiste la possibilità di abusarne. 
Così dunque, in regime autocratico, il soggetto si trova privato di ogni responsabilità, mentre il Sovrano è responsabile solo davanti a Dio (verità sublime in apparenza, ma, di fatto, negativa); in democrazia, regna l'irresponsabilità generale. Il rimedio a tutto questo è di assumere la responsabilità delle nostre azioni invece di eluderla o di buttarla addosso agli altri e di esercitare l'autorità su di sé prima che sugli altri. 
Si ha. ancora più urgenza di buttare sugli altri la responsabilità quando si tratta di colpe. E per questo che il testo continua: " ...di riconoscere i nostri torti, di riparare i nostri misfatti, di correggercene da noi, sotto il controllo dei nostri compagni se il misfatto è conosciuto, in segreto se siamo soli a conoscerlo". 
Che non si lasci passare questo paragrafo senza rilevare la cruciale e tragica questione alla quale porta risposta. 
Quella della giustizia degli uomini, legame del crimine e della punizione. 
La punizione è un male che si oppone al male; è buona e salutare si dice perché purga, corregge, riscatta il colpevole; ma noi vediamo piuttosto che lo segna, l'avvilisce e a volte l'uccide. 
Sì, ma se è un male fare del male al cattivo, è tuttavia "il male minore" 
Come, minore poiché la pena deve essere uguale alla colpa! Diciamo piuttosto che s'aggiunge al male e lo raddoppia! 
E però il modo migliore per proteggere i buoni dalle imprese dei malvagi e assicurare il loro bene. 
È poi sicuro? No, e tanto meno quanto più il supplizio è spaventoso e pubblico. 
Sì, la Legge è dura, ma è la Legge. In questo basso mondo, bisogna accettarla come una necessità, - Questa necessità è del tutto artificiale e immaginaria. Gli uomini vi s'incatenano in ragione della paura e dell'accecamento. 
Davvero bisogna essere ciechi per non notare che mai la pena di morte applicata a un omicida ha reso la vita alla vittima dell'omicidio ma che vi aggiunge un nuovo omicidio. 
Tale è la logica del male reso per il male, la catena sanguinosa della violenza legittima (giustizia vendicativa e guerra giusta). 
E' compito speciale dei nonviolenti quello di rompere la catena della violenza legittima, ben più che quello di opporsi alla brutalità alla collera o alla crudeltà criminale fa capire perché non hanno mai per nemici i briganti e gli assassini (li incontrano nelle prigioni e fraternizzano), i loro nemici sono generalmente le persone oneste e le autorità costituite. Ma allora, la non violenza, lasciando libero il campo ai violenti non assicura forse il trionfo del suo contrario? Ricordiamoci la definizione della nonviolenza: "La forza della verità" "per fermare gli eccessi, per riparare i torti, per risolvere i conflitti" e ricordiamoci che è lotta contro il male e difesa della giustizia. ' Ma lotta contro il male mediante il bene e difesa della giustizia con le armi della giustizia.
E adesso, che cos'è dunque la giustizia non violenta? 
Gandhie
Lanza 
E' riparare il male opponendogli un bene, quanto possibile uguale e della medesima natura, un bene o un sacrificio.
Per quel che riguarda i delitti e le pene, è una giustizia esente da punizioni? 
No, ma punizioni esenti da violenza. 
Com'è possibile questo? 
Facendo penitenza invece di subire una punizione. 
La punizione è sempre più o meno violenta, perché dipende dal giudizio di un altro, e quest' altro, per superiore che sia, non può entrare né nei disegni di Dio né nei suoi moventi intimi. ("Non giudicate", dice il Vangelo). La nonviolenza è mettere il colpevole davanti al suo stesso giudizio e affidargli l'esecuzione della sentenza. 
La punizione è qualcosa che taglia. Se mi è applicata dal di fuori, mi taglia via dall'insieme dei miei simili. Ma se sono io ad applicarla a me stesso, mi separa solo dalla mia colpa, e così mi libera e mi vivifica. 
Così in questa casa non si mette al passo nessuno, né si mette al bando, non c'è sevizia per l'esempio, né rimprovero pubblico, eppure non ci deve essere né indulgenza, né compiacenza, né rilassatezza . 
Il Capo deve chieder conto della sua condotta a chi è in colpa (ed è capo chiunque "richiami all'obbedienza" in nome della Regola), deve invitarlo, esortarlo al rigore regolare. Ma non può mai né forzare né minacciare nessuno. 
E se il colpevole si ostina? 
Allora il capo deve assumersi la responsabilità di quella sua colpa, che è l'incapacità di farsi ascoltare. 
[alla prossima.....per il secondo articolo del voto]


20/03/14

Eccidi del 1944 nell'appennino tosco-emiliano: confermati tre ergastoli.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della procura generale militare confermando la condanna all'ergastolo per gli ex nazisti della divisione "Herman Goering" accusati delle stragi sull’Appennino tosco-emiliano nella primavera del 1944, dove in una delle quali, e precisamente quella del Monte Falterona, tra le province di Firenze e di Arezzo, vennero uccise 200 persone tra uomini, donne e bambini. La Prima sezione penale è intervenuta così sulla decisione della Corte militare d'appello di Roma del 26 ottobre 2012, confermando gli ergastoli per Hans Winkler, Alfred Luhmann e Wilhelm Stark. La Corte ha anche disposto un nuovo processo di appello per altri 2 militari e due eccidi rimasti senza colpevoli: Monte Morello (la più alta montagna della cosiddetta “conca” fiorentina) e Mommio di Fivizzano (in provincia di Massa Carrara). Nel frattempo uno degli imputati, Ferdinand Osterhaus, è morto. Si riapre così dopo 70 anni di distanza il capitolo giudiziario per le quattro stragi naziste. Un nuovo processo d’appello dovrà accertare le responsabilità dei cinque ex militari nazisti, tutti novantenni. Tre di questi per due degli eccidi dei resistenti (tra cui molte donne, anziani e bambini) sono già stati condannati all’ergastolo dalla corte d’appello militare di Roma, il 26 ottobre del 2012: sentenza che ieri sera (19 marzo) è diventata definitiva appunto per decisione della prima sezione penale della Suprema Corte. Il nuovo processo sarà celebrato per accertare le responsabilità per gli eccidi di Monte Morello e quello di Mommio di Fivizzano, finora rimaste senza colpevoli. Mentre per la strage di Monchio,Susano e Costrignano sull’Appenino modenese (oltre 150 morti), del 18 e 20 marzo 1944, della quale proprio in questi giorni ricorrono i 70 anni, e per l’eccidio del monte Falterona del 13 e 18 aprile, andrà valutato se ci sono ulteriori responsabilità oltre a quelle accertate. Gli imputati che dovranno tornare alla sbarra, sono l’allora capitano dell’esercito tedesco Helmut Odenwald, di 95 anni; l’ex tenente Erich Koeppe (95), assolti in appello per i quattro capi d’imputazione, e il sottotenente e medico della divisione Hans Georg Karl Winkler (92), il caporale, poi sergente, Alfred Luhmann (89) e il sergente Wilhelm Stark (93), condannati all’ergastolo. Sono venti le parti civili, tra cui la presidenza del Consiglio, le Regioni Emilia-Romagna eToscana, Anpi e i Comuni interessati.
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