Ritorno al primordiale: ritornano i
Neanderthal...anzi sono già "
dentro" di noi! Proprio cosi,
studi recenti hanno evidenziato la
stretta interconnessione con i "
Neanderthal", attraverso
varianti di
geni,
strettamente connessi con alcune
caratteristiche nostre, come i
capelli, unghie e pelle, potrebbero averci dato un bel vantaggio a
sopravvivere in un ambiente freddo. Ma la
connessione con loro non si limita a quanto detto fin'ora, infatti sono emerse anche
varianti correlate al diabete di tipo 2, alla
malattia di Crohn, alla
cirrosi biliare ed al
lupus.
Sarebbe dunque questa l'
eredità dei Neanderthal che noi
Homo Sapiens ci portiamo dentro a nostra insaputa da almeno 40.000 anni. Sia chiaro, non proprio tutti alla stessa maniera, ma chi più e chi meno il ceppo è lo stesso per tutti: tra i “più” evidenti ci sono le
popolazioni europee e dell'
Asia orientale; mentre tra i “meno” quelle
africane, i cui
antenati non hanno avuto occasione di entrare in contatto con gli
antichi cugini (che vivevano, per l'appunto, in
Europa e in
Asia). Si presume che, in media, tra l'1 e il 3% del
genoma di ogni essere umano moderno arrivi dai
Neanderthal, ma si parla di un 20%, forse di un 30%, se invece si considera complessivamente tutto il
materiale genetico che potrebbero averci
tramandato.
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I Neanderthal dentro noi |
Non si tratta di vere e proprie
novità, quanto di
conferme. A fare il punto sulla
questione scientifica del se e del quanto i
Neanderthal sopravvivano ancora in noi sono due
studi pubblicati in contemporanea su
Nature e
Science. Il primo, condotto dal
laboratorio di David Reich dell'
Harvard Medical School di Boston (e in cui compare anche la nota firma di
Svante Pääbo, direttore del
dipartimento di genetica del Plank Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia, a capo del
Neandertal Genome Project), è andato a guardare dove, all'interno del
genoma umano, si sono conservate le
sequenze genetiche che con un'alta probabilità derivano dagli incroci, avvenuti tra gli 80.000 e i 40.000 anni fa, tra
Neanderthal e
sapiens.
In uno
studio precedente,
Reich aveva già mostrato che nel
Dna delle
attuali popolazioni non
africane vi sono tracce di
geni neandertaliani, in una quantità che si aggira intorno al 2%. Da allora altri
team hanno individuato alcune
varianti genetiche. La
nuova ricerca fa ora un passo avanti, andando a indagare il significato adattativo di questa
eredità. Come? I
ricercatori hanno cercato le varianti
neandertaliane nei
genomi di 1004 persone (846
non africane e 176
sub-sahariane)
sequenziati grazie al
1000 Genome Project, e li hanno poi
comparati con quello di un
Homo neanderthalensis di 50.000 anni,
sequenziato (e
pubblicato) nel 2013.
Sono stati così individuati dei tratti del
genoma ricchi di queste
varianti e altre zone “deserte”. Queste ultime – espresse in particolare nei testicoli e concentrate nel
cromosoma sessuale X – sono molto interessanti perché, ipotizzano gli
autori dello
studio, potrebbero riguardare geni inizialmente ereditati e successivamente rimossi attraverso la selezione naturale: geni magari non vantaggiosi o risultati pericolosi per i sapiens, forse a causa della
parziale incompatibilità riproduttiva tra le due specie.
In oltre il 60% dei 1004
genomi analizzati i
ricercatori hanno inoltre trovato la
variante di un gene che regola le
funzioni della cheratina, la
proteina che aiuta la
pelle, i
capelli e le
unghie a resistere meglio al
freddo.
L'
ipotesi degli autori è che la variante sia risultata vantaggiosa per chi viveva in un
ambiente nordico. Probabilmente arrivano dai
Neanderthal altre 9
varianti genetiche note per essere associate a
funzioni del sistema immunitario o che sembrano in grado di influenzare alcuni
comportamenti (per esempio la facilità con cui si smette di fumare).Veniamo allo studio pubblicato su
Science a firma di due
genetisti dell'
Università di Washington,
Joshua M. Akey e
Benjamin Vernot. Qui i ricercatori hanno messo a punto un nuovo metodo per andare alla ricerca delle sequenze neandertaliane nel genoma di 600 persone, sempre provenienti dall'
Europa e dall'
Asia dell'Est.
Le conclusioni a cui giungono sono in linea con quelle dello
studio su
Nature, e confermano quanto emerso nelle
ricerche precedenti, condotte su un numero inferiore di
persone: le varianti in comune sembrano riguardare principalmente le caratteristiche della pelle. E i conti tornano anche sulla “quantità di genoma” tramandato, che si conferma tra l'1 e il 3% in media per essere umano. Secondo i
ricercatori però, se si sommano tutte le
varianti individuate, la percentuale di
genoma neandertaliano sopravvissuto fino ai giorni nostri potrebbe arrivare al 20% se non al 30%. Chissà che le
prossime ricerche non mandino definitivamente in pensione certi
vecchi stereotipi.