Il-Trafiletto
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10/07/14

Steve Jones | Genetista e autore scientifico

Intervistato da Andy Ridgway, il professore di genetica spiega, con il suo consueto stile schietto, come siamo usciti dal brodo primordiale e perché la selezione naturale non ci riguarda più.  

Perché ha dedicato una parte importante della sua carriera allo studio delle chiocciole?
In realtà, sono state le chiocciole a scegliere me. Da vecchietto quale sono, ricordo benissimo la metà degli anni Sessanta: quando iniziai a occuparmi di ricerca, c'erano pochissime piante o animali da poter studiare sperimentalmente nel campo della biologia evolutiva. Non era infatti possibile identificare le variazioni genetiche di molte specie, mentre l'evoluzione è proprio questo: genetica, sommata al tempo. Alcuni animali, però, rappresentavano un'eccezione: tra questi c'erano le chioccioline Cepaea, caratterizzate da pattern morfologici delle conchiglie estremamente vari, fenomeno per il quale disponevamo già di dati genetici. La tecnica che applicavamo era semplicissima, si andava in luoghi diversi, si contavano i geni e si valutava se la frequenza delle varianti fosse diversa da una localizzazione all'altra: la risposta che ci siamo dati è stata un enfatico sì.
Steve Jones
Genetista e autore scientifico

Quali lezioni abbiamo imparato dalle chiocciole?
Inizialmente, ebbi l'idea assai poco originale di individuare la causa delle differenze morfologiche delle conchiglie su base geografica. Andammo nel punto più a nord dove era localizzabile la specie Ej Cepaea nemoralis, ovvero a Montrose, in Scozia, e raccogliemmo una gran quantità di campioni dalle dune sabbiose locali. Poi, guidammo fino in Yugoslavia, il confine meridionale dell'area di 5 distribuzione, recuperando via via altri campioni lungo il percorso. Risultò assolutamente evidente che c'erano forti diversità tra i gruppi prelevati a nord, di colore scuro, e quelli di provenienza meridionale, più chiari.

Questo vale anche per gli umani? 
Se prendiamo in considerazione il colore della pelle, il quadro antecedente alle grandi migrazioni del 1492 (anno in cui Cristoforo Colombo attraversò per la prima volta l'Atlantico) prevedeva pelle scura in Africa e pelle chiara in Europa e Estremo Oriente. Questo sembrerebbe in contraddizione con il principio scientifico secondo il quale i colori scuri si surriscaldano alla luce del Sole: perché i neri si trovano in Africa? La spiegazione è che le persone con la pelle scura, effettivamente, tendono a scaldarsi più rapidamente al Sole, ma le radiazioni ultraviolette sono pericolose: chi si espone alla forte luce diurna e ha la pelle chiara, si scotta, o può addirittura contrarre tumori cutanei. La pelle scura, dunque, aiuta.

Perché, allora, l'abbiamo persa?
È successo perché la luce ultravioletta, attraversandoci, produce vitamina D, la cui carenza provoca ogni sorta di problemi. Quando, dunque, ci si trasferisce in zone meno esposte alla luce solare, come i Paesi del Nord, se si ha la pelle scura non si sintetizza una quantità sufficiente di vitamina D per questo, la selezione naturale ci ha fatto diventare pallidi. È uno degli esempi più lampanti delle motivazioni alla base della diversità umana.

Perché la diversità è importante? 
Molti studiosi si occupano di diversi pattern di diversità (per esempio, proteica o cromosomica), e si pongono domande estremamente complesse sul perché un gruppo di geni si trovi in una certa posizione e un altro in un'altra. Nessuno, però, si fa la domanda fondamentale: perché esiste la diversità? Senza diversità genetica saremmo ancora tutti immersi nel brodo primordiale, perché non ci sarebbe stata evoluzione. La diversità è la materia prima dell'evoluzione: senza di essa, la vita non sarebbe progredita.

Ritiene che gli umani si stiano ancora evolvendo? 
Ho ricevuto critiche per aver scritto nel mio primo libro, Linguaggio dei Geni, che l'evoluzione dell'uomo è arrivata al capolinea. Invece, avevo ragione. La gente pensa che sia un idiota perché non prend in considerazione fattori quali il colore del pelle o la resistenza alla malaria indotta d; un tratto genetico, la presenza di cellule falciformi. Sono elementi inconfutabili, ma io sto parlando del presente. Nessuno dovrebbe morire più di carcinoma cutaneo questo tumore miete ancora vittime, ma non dovrebbe. E se fossimo disposti a spendere il denaro necessario a debellare la malaria, sarebbe facile riuscirci. Tante altre malattie, peraltro, stanno già scomparendo. L'evoluzione dipende da differenze ereditarie nella riproduttività: è questa, in poche parole, la selezione naturale. In tutto il mondo sviluppato, e in maniera sempre più massiccia anche nei Paesi emergenti a eccezione dell'Africa, queste differenze stanno scomparendo. Quindi, l'evoluzione umana per selezione naturale, anche se non si è completamente arrestata, ha però subito un rallentamento.

Quali conseguenze avrà la fine della selezione naturale umana?
A lungo termine, l'accumulo di mutazio dannose. Ne stiamo già subendo gli effetti. Oggi, moltissime persone sopra i 65 anni inevitabilmente si ammalano di gravi forme di cancro, cardiopatie e diabete, che sono almeno in parte malattie genetiche. Certo, non aiuta esporsi al Sole se si ha la pelle chiara, o nutrirsi di cheeseburger, ma esiste anche una forte componente ereditaria per la maggioranza di queste patologie. Cattivo materiale genetico, che mostra i suoi effetti nelle fasi tardive della vita: la nostra società dovrà abituarsi all'idea.(science)


05/12/13

Alla ricerca del più antico Dna umano!

Ricerca che ti ricerca, scavando un pò qui e poi li, i solitari Neanderthaliani paiono essere sempre più soli! Questo è quanto viene fuori dall'analisi del Dna di questi ultimi: se soltanto qualche tempo fa eravamo giunti a raccontare come fosse stata rimessa in discussione l'ipotesi dell'origine unica, in base alla quale l’Homo sapiens si sarebbe dato origine da una singolare specie dalle origini Africane, una nuova teoria in merito, risultato di nuovo studio, pubblicato oggi su Nature, fa si che i Neanderthal siano sempre più lontani perfino dagli ominidi spagnoli più antichi, vissuti all’incirca 400mila anni fa, che sarebbero invece molto più accostabili al gruppo eurasiatico dei Denisovan.
Matthias Meyer e comapagni, infatti, hanno pensato bene di estrarre il Dna mitocondriale (ovvero quello che si eredita solo per linea materna) dal femore di un ominide rinvenuto a Sima de los Huesos (cioè Cava delle ossa), una sorta di cava sotterranea nella Sierra de Atapuerca, nel nord della Spagna. Si tratta del Dna più antico mai rinvenuto ad oggi.
Dna umano più antico

Gli scienziati sono riusciti nell’intento di ricostruire il genoma mitocondriale quasi completo dell'individuo, ipotizzando di trovare diversi tratti comuni con i Neanderthal: “I fossili di Sima de los Huesos hanno proprietà simili a quelle dei Neanderthal”, si nota nello studio, “per esempio, rispetto alla morfologia dentale, mandibolare, medio-facciale, sopraorbitale e occipitale”.
Eppure, a quanto pare, non è proprio così: i ricercatori non sono riusciti a trovare alcun antenato comune tra l'ominide spagnolo e i nostri cugini.

Al contrario, hanno scoperto parecchie somiglianze con l'Homo di Denisova, identificato nel 2010 basandosi su sequenze di Dna ricavate da una falange e un molare portati alla luce nella Siberia del sud. “Basandoci sull'analisi del loro genoma nucelare”, raccontano ancora gli scienziati, “sappiamo che si tratta di un gruppo sorella [sister] dei Neanderthal”.

C'è da dire, comunque, che il Dna mitocondriale degli esseri umani moderni ha un antenato comune più recente con i Neanderthal che non con i Denisovan, il che potrebbe essere dovuto “a un flusso di geni arrivati ai Denisovan da un altro gruppo arcaico”.In ogni caso, per spiegare la scoperta, i ricercatori ipotizzano diversi scenari evolutivi.
“Anzitutto, gli ominidi di Sima de los Hueses potrebbero essere strettamente imparentati con i progenitori dei Denisovan”, anche se la presenza di quest'ultimi nella regione indicherebbe un loro spostamento spaziale non suffragato da altri ritrovamenti.

È anche possibile, però, che “gli ominidi spagnoli rappresentino un gruppo distinto sia da Denisovan che da Neanderthal, e che abbiano dato più tardi il loro contributo genetico ai primi”. O, ancora, potrebbe essere che “un flusso di geni abbia portato il Dna mitocondriale simile a quello dei Denisovan nella popolazione di Sima de los Hueses o nei suoi antenati”. Per capirlo, saranno necessarie ulteriori analisi e, magari nuove scoperte. E la cava potrebbe rivelarsi estremamente interessante: Sima de los Huesos ha custodito la più grande collezione al mondo di fossili del medio Pleistocene – 28 individui in totale – e quindi potrebbero essere possibili nuove estrazioni di Dna.
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