Il-Trafiletto
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27/08/14

La cucina cinese: origini dell'arte della tavola

Le abitudini alimentari di un popolo sono sempre strettamente connesse a fattori storici, economici e filosofico-religiosi che ne costituiscono l'intero sistema culturale e di vita: l'arte della tavola, facendo parte di questo sistema, ha perciò un indiscutibile valore semiologico. 

Al centro dell'antica raccolta cinese di «letture» divinatorie intitolata Yi Jing (Libro dei mutamenti), troviamo, l'esagramma conosciuto come «le mandibole» il cui significato simbolico è proprio «l'alimentazione»: osservate come una persona suole nutrire gli altri e di che cosa ama nutrire se stessa - dice il testo - e queste osservazioni vi riveleranno molto del suo carattere. In altri termini, la corretta alimentazione di noi stessi e degli altri è il punto nodale dell'esistenza.

La pratica della cucina cinese rivela in effetti una fusione di scienza culinaria (le tecniche di cottura), di filosofia culinaria (la scelta degli ingredienti) e di arte cculinaria (la preparazione, la composizione e la presentazione). All'origine di questa cucina,che può costituire, come ogni altra espressione dello spirito cinese, un'insolita ma possibile visuale prospettica di questa civiltà, vi è un nucleo ideologico fondamentale che risale agli albori della sua storia: in una comunità agricola, fortemente condizionata dal ritmo delle stagioni, dalle fasi lunari e dalle rispettive corrispondenze biologiche, l'idea di un corso immutabile della natura si è sviluppato parallelamente al concetto di ordine e di armonia universale.


Esiste una Legge alla quale l'uomo deve uniformarsi per non spezzare questa armonia che è fonte di vita. Questa Legge, chiamata Tao («la Via»), si manifesta attraverso l'azione di due forze opposte e complementari, lo yin e lo yang che sono i principi negativo e positivo della vita universale (il femminile e il maschile, l'oscurità e la luce, il freddo e il caldo), concetti astratti e insieme realtà immanenti il cui equilibrio genera l'armonia. Yin e Yang agiscono in cooperazione secondo un ritmo armonico che vede alternarsi il sopravvento ora dell'uno ora dell'altro.

La loro interazione produce i «Cinque Elementi» (WuXing) ai quali si affiancano, per analogia e sempre in sequenza di cinque, i diversi modi di essere della natura tra cui è l'uomo, nel quale le correlazioni simboliche sono rappresentate dalle sue «Cinque Viscere», dai «Cinque Organi», ecc... Causa di rottura dell'equilibrio naturale sono, da parte dell'uomo, le infrazioni alle regole del Tao, dovute tra l'altro alle cattive abitudini di vita, come ad esempio una scorretta alimentazione, che provocano l'indebolimento dello yin e dello yang presenti nei vari organi, esponendoli perciò alla malattia e alla morte.

Queste teorie cosmologiche ed etiche sono anche alla base della medicina tradizionale cinese che si è tramandata e sviluppata fino ai giorni nostri e che annovera, tra i suoi metodi terapeutici, il «nutrimento del corpo», ovvero la dietetica, la farmacologia, ovvero la somministrazione di farmaci derivanti dai tre regni della natura.

26/04/14

Trattiamo bene il nostro cuore: mettiamo in tavola tanti Omega 6.

Uno dei modi per trattare meglio il nostro cuore passa senza dubbio per la nostra tavola. Un´alimentazione corretta rappresenta una formidabile arma per la prevenzione dei problemi dell´apparato cardiovascolare. Un buon regime alimentare prevede la giusta dose di omega 6, i grassi "buoni" che, insieme con i già più noti omega 3, hanno effetti particolarmente benefici per l´organismo. Assumere una quantità adeguata di questi acidi grassi polinsaturi può ridurre di un quarto gli eventi coronarici e ridurre fino a tre volte la mortalità cardiovascolare. Secondo gli studiosi della Società italiana per lo studio dell´arteriosclerosi (Sisa) è tutto merito degli omega 6, e in particolar modo dell´acido linoleico. Purtroppo il dato negativo è che gli italiani ne assumono troppo pochi: circa la metà della quantità raccomandata dai ricercatori. L’azione benefica degli omega 6 consiste nella riduzione del colesterolo "cattivo" Ldl e aumento di quello "buono" Hdl. In termini assoluti bisognerebbe introdurre nella nostra alimentazione dai 5 ai 20 grammi al giorno di Omega 6: l´ideale sono 12-15 grammi per un adulto che consumi 2.200 calorie quotidiane, secondo il calcolo degli studiosi. "Per gli uomini con valori più elevati di omega-6 nel sangue, la probabilità di morire per cause cardiovascolari risulta ridotta di circa 3 volte rispetto ai soggetti con concentrazioni minori di acidi grassi polinsaturi nel sangue", sottolinea Andrea Mezzetti, presidente della Sisa. "Una metanalisi di diversi studi pubblicata di recente sull´American Journal of Clinical Nutrition - aggiunge Alberico Catapano, direttore della Fondazione Sisa e ordinario di farmacologia all´università degli Studi di Milano, - ha mostrato come all´aumento del 5% dei livelli di assunzione di omega 6, passando da un apporto modesto (3-4%) a uno elevato (6-10%), corrisponda una netta riduzione (-26%) del rischio di eventi coronarici". "Due studi della Nutrition Foundation of Italy (Nfi), uno condotto su circa 450 milanesi adulti e l´altro su 100 italiani con un recente primo infarto, confrontati con 100 controlli sani - aggiunge Andrea Poli, direttore scientifico Nfi, - dimostrano che nei pazienti che hanno subito un infarto i livelli nel sangue di acido linoleico, il principale rappresentante degli omega 6, sono ridotti rispetto alla popolazione sana. Mentre nei sani, livelli elevati dello stesso acido grasso sono associati direttamente a un migliore profilo di rischio cardiovascolare". "In ogni caso - puntualizza Mezzetti, - è stato dimostrato che superare questi valori e assumere quantità maggiori di acidi grassi polinsaturi non comporta effetti collaterali, a partire da quelli sulla pressione arteriosa, come si era erroneamente convinti in passato". L´unica avvertenza riguarda l´apporto calorico: nel caso della frutta secca, per esempio, è alto e quindi vale il solito invito alla moderazione. In generale, evidenziano gli esperti, l´acido linoleico è indispensabile per il corretto funzionamento delle cellule dell´uomo, che non è in grado di sintetizzarlo e quindi deve assumerlo "già pronto" con la dieta.  Si trova in vari alimenti: può costituire più del 50% dei lipidi contenuti in alcuni tipi di olio come quello di mais, ma è presente un po´ in tutti gli oli vegetali come pure nella frutta col guscio, nel pane integrale, nei cereali, in particolari vegetali come la borragine, e in misura minore in cibi di origine animale come uova e latticini.

06/04/14

Piccola astuzia per cucinare la fettina di carne

Quante volte ci ha risolto la cena dell'ultimo momento, oppure l'improvvisa necessità di aggiungere un posto a tavola. La tradizionale fettina di carne,  risorsa dell'ultimo momento, è purtroppo spesso deludente. Vi è mai capitato di acquistare della carne apparentemente bella, sostanziosa, di un bel colore, che una volta messa in padella butta fuori tanta "acqua" riducendola notevolmente di dimensioni e oltre tutto indurendola? 

Ebbene provate a fare così: mettete la carne in un tegame antiaderente con pochissimo olio a fiamma alta, mettete la fettina infarinata e giratela velocemente con una pinza, e toglietela dal tegame ponendola momentaneamente su di un piatto.

La parte liquida della fettina di carne (che in effetti è quella che contiene - anche la maggior parte dei valori nutritivi), rimane nel tegame ove aggiungerete al liquido di cottura ancora un poco di olio, e a piacere delle erbe profumate (timo, salvia, rosmarino ecc.). un pizzico di sale e due cucchiai di vino bianco e fate addensare il sughetto. A questo punto avete due soluzioni: se portate subito la carne intavola, basta rovesciare il sugo sulle fettine che saranno rimaste calde, ma se per qualche motivo dovete aspettare, allora l'operazione di addensamento del sughetto la farete all'ultimo momento e ci rimetterete dentro le fettine di carne per pochi istanti,quanto basta a riscaldarle. Operazione che deve essere fatta il più velocemente possibile per evitare che la carne si indurisca.

26/03/14

STROZZAPRETI :Ma veramente era un augurio ai preti?

A differenza di quanto credono in molti, la parola strozzapreti non è esclusivamente romagnola, anzi: è propria di altre cucine regionali, sebbene sia riferita spesso a tipi di pastasciutta ben diversa da quella che intendiamo noi. Secondo quanto riportato dai dizionari, gli strozzapreti sono definiti sommariamente «gnocchetti di farina (e talvolta di patata) pressati, da farsi asciutti». Neppure la definizione in italiano corrisponde come si vede, con esattezza, ai nostri strozzapreti.

Strozzapreti
La loro forma è infatti talmente caratteristica, da non potersi confondere con quella di altre paste quali gnocchi ed affini, se non con alcune altrettanto tipiche e locali come i curzoli e gli stringotti. Ad ogni modo è da un'altra antica pastasciutta, oggi ormai scomparsa, che gli strozzapreti romagnoli hanno avuto origine: hanno preso il posto infatti dei bigoli (i «bigul», che nelle mille parlate di Romagna erano chiamati anche «begval», «bigval», «bigulòt», «bigie», «beghli», ecc.). Ebbene i bigoli erano e sono ancora, soprattutto in Veneto dove tuttora sono piuttosto diffusi, una sorta di spaghetti fatti in casa, ovviamente più ruvidi, più grossi e dal diametro meno regolare. Prepararli richiedeva una discreta perizia, oppure uno strumento apposito, un torchio grazie al quale si confezionavano lunghi e col foro in mezzo. Col buco o senza, il tempo li ha divorati senza pietà: minestra povera e comunque troppo «complicata» (storica la versione marinara con le sardelle), soprattutto con le esigenze di oggi per cui occorre fare alla svelta anche in cucina, ha avuto in quella degli spaghetti una concorrenza invincibile: con l'avvento e la diffusione di questi, i bigoli sono divenuti un brigoso doppione, rapidamente dileguatosì dai taglieri domestici. Gli strozzapreti ne hanno assunto così l'eredità, ma non la sagoma:abbandonata la forma a filo (bigoloquesto significa), si sono fatti più piccoli e grassoccì. prodotti semplicemente lavorando meno i tocchetti di pasta con le mani e lasciandoli corti e spessi. Dalla minestra povera e rustica hanno mantenuto l'impasto, che si compone di sola acqua e farina senza uova (e tuttavia in parecchi ristoranti, perché siano più saporiti, le uova vengono immancabilmente utilizzate). Ne esiste ana versione più gradevole, con il parmigiano e il latte al posto dell'acqua. Fatti in quest'ultima e più appetitosa maniera, tradiscono un attimo la loro denominazione: «strozzaono» molto meno non legano e non intoppano la gola, sempre chenon si esageri con forchettate eccessivamente avide e generose. Strozzare dunque: ecco da dove deriva la prima parte del nome. Tutto quello che fa nodo, «strangola». Ma perché proprio i preti? Come detto, che questa dizione sia di origine prettamente romagnola non è dlmostrabìle. È vero però che, ce ne abbia in perdono il clero, se una volta esisteva una terra «mangiapreti» questa era per tutti la Romagna. Ricollegare pertanto un simile vocabolo all'antica società di questa regione non pare neppure troppo azzardato. C'è chi racconta che, minestra semplice e di poca spesa, era la più consueta da offrire al parroco in visita all'ora di pranzo: si faceva in un baleno, costava poco e faceva sostanza. E che i preti mangiassero con ingordigia (banale diceria del popolo ateo e pagano) ingurgitandone fino quasi a strozzarsi, resta tutto da dimostrare. Certo, porgendone un piatto al religioso, l'augurio più usuale che poteva capitare di sentire, secondo la brusca ma sincera ospitalità romagnola d'un tempo, non poteva che essere: «Tnì e struzzìv, prit» (tenete e strozzatevi, prete ... ). All'inverso poi, era questa la pasta più semplice, di minor esborso e più appagante che le perpetue di alcuni parroci potessero preparare, in certe occasioni, per i poveri e gli affamati. Gli strozzapreti dunque, dalla dizione scherzosamente irriguardosa ma dalla paciosa consistenza, si sono sempre più affermati e oggi possono considerarsi senza ombra di smentita un classico della gastronomia romagnola. Non per questo si sono guadagnati l'accesso nei libri di cucina, che li snobbano quasi inspiegabilmente: anche nei tanti bei volumi romagnoli ce n'è scarsa traccia, quasi sbadatamente tralasciati in mezzo alle numerose specialità in tema di primi. Un peccato, sia perchè lo meriterebbero per qualità, sia perchè la loro diffusione è capillare su tutto il territorio. Non c'è trattoria e ristorante che non li abbia nei propri menù e più la cucina è casalinga, più sono messi in rilievo. In commercio, industriali e preconfezionati, non esistono; se li mangiate, state pur tranquilli che sono fatti in casa. E hanno una proprietà: riposti in sacchetti e messi nel congelatore, si conservano a lungo, per essere adoperati in qualunque momento si voglia e offrendosi ancor più buoni di prima. Un'ultima annotazione: recentemente si sono diffusi pure in riviera, dove vengono proposti in inconsuete ma apprezzabilissime versioni col pesce.

25/03/14

Fellini la buona tavola e i suoi film

SEMBRA più legato alle fettuccine che alle tagliatelle, ma soprattutto ama i rigatoni. Federico Fellini nella sua sterminata produzione cinematografica è un attento osservatore di vizi privati e pubbliche virtù. La tavola romagnola con le portate e le regole che la governano è stata imbandita nel film «Amarcord»

Mai però Fellini si è lasciato trasportare dal gusto di inscenare una «Grande abbuffata» alla Marco Ferreri. Se lo ha fatto si è affidato alla storia o a Trimalcione. Il suo «Satyricon» è infatti un campionario di personaggi famelici e orgiastici che amano e ingurgitano cibo in maniera feticistica. Certo gli spot per Campari e Barilla sono ben altra cosa. Raffinati esempi di pubblicità d'autore, ma messaggi niente affatto congeniali al medium al quale cercano di adeguarsi e quindi destinati ad avere un limitato impiego.
Federico Fellini al Grand Hotel di Rimini
Fellini passa dall'opulenza alla privazione della «Strada», dove più che mangiare si tenta di procurarsi cibo; all'olio di ricino di «Amarcord» punitivo toccasana che in Romagna ricorda soprattutto l'uso e l'abuso del periodo fascista. I «vitelloni» dei primi anni Cinquanta naturalmente pensavano ad addentare altro, Fellini però resterà legato alla tradizione romagnola da un filo sottile ma robusto che si può ritrovare da «Otto e mezzo» (come non ricordare il personaggio della "Saraghina" ?) a «Roma»; fino a «La città delle donne», ben lontano dal facile accostamento all'insegna della piadina e del sangiovese che tanti luoghi comuni ha prodotto. Il «maestro», come viene affettuosamente chiamato, vive a Roma e ritorna spesso nella sua Rimini anche se non ama i clamori del divertimentificio. Alloggia al Grand Hotel, dove amano servirgli la «bouillabaisse» e si rivede con la sorella Maddalena, attrice di teatro dialettale, ma approdata anche al grande schermo, che ne conosce il palato come le sue tasche. «Mio fratello Federico - dice Maddalena Fellini - è un buongustaio, mangia di tutto, ma solo se cucinato bene. Fra i piatti che gradisce ci sono le polpettine. Le poche volte che riesco a cucinare qualcosa per lui gliele preparo seguendo una ricetta di nostra madre Ida, che tiene in bella vista nel menù anche un noto ristorante romano. Sono polpette molto piccole, tonde o un po' ovali. Non bisogna usare la carne cruda, ma il bollito. Lo trito con la mezzaluna in modo che venga sminuzzato, ma mantenga la sua consistenza, poi aggiungo un uovo, pane bagnato nel latte, uva sultanina, pinoli e una grattatina di noce moscata. Le passo nel pangrattato e le friggo». Quali altri piatti ama Fellini? «Se sono buoni non si tira mai indietro. Ama i passatelli in brodo, i cassoncini fritti, il polpettone e soprattutto il pesce. Poco elaborato però, magari lessato, non impapocchiato con prezzemolo e pangrattato come fanno dalle nostre parti. A lui piace mangiarlo col suo sapore naturale, come fanno i marinai sulle barche. Non è però "sgolfanato" a tavola; sta attento al colesterolo. Ama più stuzzicare che mangiare, ma di una cosa è goloso, il minestrone. E in genere di quei piatti che gli ricordano l'infanzia. Devo dire che Giulietta Masina è bravissima in cucina e il minestrone lo sa preparare davvero bene».

Enrico Zavalloni
La madre era romana e quindi la sua cucina riusciva a fondere due tradizioni gastronomiche. Ma cosa preparava? «Si potrebbe scrivere un libro di ricette. Federico quando viene da me cerca sempre di ritrovare quei sapori. Nostra madre aveva saputo abbinare il gusto romano alla nostra cucina, rendendola meno pesante nei condimenti. C'è un piatto che fa impazzire Federico, gli spaghetti al tonno. Nostra madre li preparava con la cipolla, il sugo viene più dolce, con pomodoro, prezzemolo, ma senza aglio».

( Articolo scritto da Enrico Zavalloni, stimato giornalista, morto ForForlì il 10 Ottobre 2010 a 47 anni )



 



07/11/13

Oggi GNOCCHI!

Oggi GNOCCHI!!! In questi chiari di luna, un bel piatto di gnocchi di patate, mette in tavola la famiglia con pochi euro. Ogni volta che consiglio ad una amica questa ricetta mi sento rispondere: "Ma mi ci vuole tutta la mattina!" Assolutamente no, si fa prestissimo, basta seguire le mie istruzioni. Facciamoli insieme e vedrete che se vi mettete ai fornelli alle 11 alle 13 avrete in tavola un bel piatto di gnocchi fumanti.Prendiamo una bella patata a testa, la peliamo e la cuociamo in acqua. Intanto mettiamo su di una spianatoia un 40gr farina per patata circa (il peso non è indicativo dipende dal tipo di patata) Appena cotte le patate così bollenti, mi raccomando, le schiacciamo sopra alla farina alternando una patata schiacciata ad una manciata di farina (fase 1) Lasciamo cosi 5 minuti che la farina subisca una prima cottura, intanto prepariamoci tutto per il sugo...tutto! In 5 minuti mettiamo almeno la padella sul fornello, spento eh? Mettiamoci l'olio e la cipolla tagliata.
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Ora, usando due forchette per mano (fase 2), rimestiamo la farina e patata e se sarà abbastanza tiepida da infilarci le mani, facciamolo! Rimestiamo con le dita allargate senza impastare. Se troviamo pezzi di patata, mettiamo ancora un pizzico di farina. Ora lo raggruppiamo come ho fatto nella (fase 3). Ora lo impastiamo, ma leggermente due o tre impastate leggere, fino a che vediamo che l'impasto si presenta quasi liscio.
Tagliamo l'impasto in pezzi e facciamo tanti rotolini aiutandoci con la farina. Ora avviciniamo i rotolini buttandoci sopra abbastanza farina in modo che non si incollino uno all'altro, e con un coltello rettangolare tagliamo i gnocchi (fase 4) Aiutandoci con le dita giriamoli nella farina e voilà il gnocco è fatto! Facciamo il sugo!
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Preparazione: Questo ragu' va cotto sempre a fiamma alta e girato continuamente con un cucchiaio di legno. Tritiamo la cipolla grossolanamente, cuociamola in olio d'oliva fino a che diventa trasparente. Togliamo la pelle alla salsiccia fresca e in una ciotola con un po di olio impastiamola bene. Mettiamola nella padella (che deve essere grande un 32-36) con la cipolla, e lasciamola cuocere bene a fiamma alta mescolando in continuazione, sfumiamo con il vino, ritirato il vino aggiustiamo di sale e pepe.Sempre a fiamma alta teniamo la padella da un lato della fiamma, riduciamo tutta la salsiccia dalla parte della padella lontano dalla fiamma e versarsiamo un cucchiaio grande di passata di pomodoro vicino al bordo sopra alla fiamma e mescoliamo piano fino a che diventa di colore arancione.A questo punto se ne mette un'altra ...fino a che si finisce la passata, una bella giratae il sugo è pronto. Abbiamo sicuramente messo a bollire una bella pentola d'acqua, l'abbiamo salata e ora buttiamoci i gnocchi. Come vengono a galla lasciamoli bollire per 3 minuti o 5 (assaggiamoli che è meglio) e poi scoliamoli e tuffiamoli nel sugo, una rigirata e una mbella manciata di parmigiano reggiano...e il gnocco è servito!
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