26/03/14

STROZZAPRETI :Ma veramente era un augurio ai preti?

A differenza di quanto credono in molti, la parola strozzapreti non è esclusivamente romagnola, anzi: è propria di altre cucine regionali, sebbene sia riferita spesso a tipi di pastasciutta ben diversa da quella che intendiamo noi. Secondo quanto riportato dai dizionari, gli strozzapreti sono definiti sommariamente «gnocchetti di farina (e talvolta di patata) pressati, da farsi asciutti». Neppure la definizione in italiano corrisponde come si vede, con esattezza, ai nostri strozzapreti.

Strozzapreti
La loro forma è infatti talmente caratteristica, da non potersi confondere con quella di altre paste quali gnocchi ed affini, se non con alcune altrettanto tipiche e locali come i curzoli e gli stringotti. Ad ogni modo è da un'altra antica pastasciutta, oggi ormai scomparsa, che gli strozzapreti romagnoli hanno avuto origine: hanno preso il posto infatti dei bigoli (i «bigul», che nelle mille parlate di Romagna erano chiamati anche «begval», «bigval», «bigulòt», «bigie», «beghli», ecc.). Ebbene i bigoli erano e sono ancora, soprattutto in Veneto dove tuttora sono piuttosto diffusi, una sorta di spaghetti fatti in casa, ovviamente più ruvidi, più grossi e dal diametro meno regolare. Prepararli richiedeva una discreta perizia, oppure uno strumento apposito, un torchio grazie al quale si confezionavano lunghi e col foro in mezzo. Col buco o senza, il tempo li ha divorati senza pietà: minestra povera e comunque troppo «complicata» (storica la versione marinara con le sardelle), soprattutto con le esigenze di oggi per cui occorre fare alla svelta anche in cucina, ha avuto in quella degli spaghetti una concorrenza invincibile: con l'avvento e la diffusione di questi, i bigoli sono divenuti un brigoso doppione, rapidamente dileguatosì dai taglieri domestici. Gli strozzapreti ne hanno assunto così l'eredità, ma non la sagoma:abbandonata la forma a filo (bigoloquesto significa), si sono fatti più piccoli e grassoccì. prodotti semplicemente lavorando meno i tocchetti di pasta con le mani e lasciandoli corti e spessi. Dalla minestra povera e rustica hanno mantenuto l'impasto, che si compone di sola acqua e farina senza uova (e tuttavia in parecchi ristoranti, perché siano più saporiti, le uova vengono immancabilmente utilizzate). Ne esiste ana versione più gradevole, con il parmigiano e il latte al posto dell'acqua. Fatti in quest'ultima e più appetitosa maniera, tradiscono un attimo la loro denominazione: «strozzaono» molto meno non legano e non intoppano la gola, sempre chenon si esageri con forchettate eccessivamente avide e generose. Strozzare dunque: ecco da dove deriva la prima parte del nome. Tutto quello che fa nodo, «strangola». Ma perché proprio i preti? Come detto, che questa dizione sia di origine prettamente romagnola non è dlmostrabìle. È vero però che, ce ne abbia in perdono il clero, se una volta esisteva una terra «mangiapreti» questa era per tutti la Romagna. Ricollegare pertanto un simile vocabolo all'antica società di questa regione non pare neppure troppo azzardato. C'è chi racconta che, minestra semplice e di poca spesa, era la più consueta da offrire al parroco in visita all'ora di pranzo: si faceva in un baleno, costava poco e faceva sostanza. E che i preti mangiassero con ingordigia (banale diceria del popolo ateo e pagano) ingurgitandone fino quasi a strozzarsi, resta tutto da dimostrare. Certo, porgendone un piatto al religioso, l'augurio più usuale che poteva capitare di sentire, secondo la brusca ma sincera ospitalità romagnola d'un tempo, non poteva che essere: «Tnì e struzzìv, prit» (tenete e strozzatevi, prete ... ). All'inverso poi, era questa la pasta più semplice, di minor esborso e più appagante che le perpetue di alcuni parroci potessero preparare, in certe occasioni, per i poveri e gli affamati. Gli strozzapreti dunque, dalla dizione scherzosamente irriguardosa ma dalla paciosa consistenza, si sono sempre più affermati e oggi possono considerarsi senza ombra di smentita un classico della gastronomia romagnola. Non per questo si sono guadagnati l'accesso nei libri di cucina, che li snobbano quasi inspiegabilmente: anche nei tanti bei volumi romagnoli ce n'è scarsa traccia, quasi sbadatamente tralasciati in mezzo alle numerose specialità in tema di primi. Un peccato, sia perchè lo meriterebbero per qualità, sia perchè la loro diffusione è capillare su tutto il territorio. Non c'è trattoria e ristorante che non li abbia nei propri menù e più la cucina è casalinga, più sono messi in rilievo. In commercio, industriali e preconfezionati, non esistono; se li mangiate, state pur tranquilli che sono fatti in casa. E hanno una proprietà: riposti in sacchetti e messi nel congelatore, si conservano a lungo, per essere adoperati in qualunque momento si voglia e offrendosi ancor più buoni di prima. Un'ultima annotazione: recentemente si sono diffusi pure in riviera, dove vengono proposti in inconsuete ma apprezzabilissime versioni col pesce.
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