Il-Trafiletto
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04/08/14

Vale la pena che tu, lasciata la terra, ti volga con la mente a queste cose! | Seneca

........causa di morte fu per molti conoscere la propria malattia.[qui]

19, 1. Ritirati in questo tipo di vita più tranquillo, più sicuro, più grande! pensi che siano cose comparabili il curare che il frumento sia immesso nei granai non diminuito di peso a causa e della frode dei trasportatori e della loro negligenza, che non si deteriori assorbendo umidità e non fermenti, che risponda alla misura e al peso, e l'avvicinarsi invece a questi problemi sacri e sublimi, cosicché tu conosca quale sia la materia della divinità, quale la volontà, quale la condizione, quale la forma, quale vicenda attenda l'animo tuo, dove la natura sistemi noi una volta lasciati liberi dal corpo! cosa sia che sostiene tutte le parti più pesanti nel mezzo di questo universo, tenga invece sospese in alto quelle leggere, porti alla sommità il fuoco, muova le costellazioni con i movimenti loro propri, e di seguito gli altri fenomeni pieni di grandi miracoli?
2. Vale la pena che tu, lasciata la terra, ti volga con la mente a queste cose! ora, mentre il sangue è caldo, mentre noi abbiamo vigore, bisogna andare a ciò che c'è di migliore. In questo tipo di vita, ti attendono molte attività intellettuali, amore e pratica delle virtù, oblio dei desideri, scienza del vivere e del morire, profondo riposo.

20,1. Di tutte le persone affaccendate certamente misera è la condizione; la più misera è tuttavia quella di coloro che non si affaticano neppure per faccende proprie, dormono a seconda del sonno altrui, camminano secondo il passo altrui, per amare e per odiare (le due cose più libere di tutte) ricevono ordini: costoro, se vorranno sapere quanto breve sia la loro vita, persino in quanto piccola parte appartiene loro.
2. Quando dunque vedrai la pretesta già spesso indossata, celebre il nome del foro, non provarne invidia: questi risultati si ottengono con la perdita della vita. Perché un solo anno sia contato con il loro nome, tutti gli anni loro consumeranno. Certuni, prima di giungere con fatica al vertice dell'ambizione, mentre lottavano ai primi gradini, la vita li abbandonò; a certuni, dopo che hanno strisciato arrampicandosi fino al compimento della loro dignità passando attraverso indignità infinite, viene il triste pensiero di aver faticato in vista dell'iscrizione sulla tomba; a certuni l'estrema vecchiezza, mentre, come giovinezza, veniva organizzata con prospettive di nuove speranze, fra grandi e inadatti tentativi venne meno perché sfiancata.

3. Sconcio è colui al quale, durante un processo a difesa di litiganti a lui del tutto sconosciuti, vecchio e alla ricerca dei consensi di un pubblico ignorante, venne meno il fiato: turpe è colui che, stanco più presto di vivere che di faticare, è crollato proprio in mezzo alle sue incombenze; turpe è colui, di cui, morente sui conti dei suoi averi, rise l'erede, che era stato tirato troppo per le lunghe.
4. Tralasciare l'esempio che mi si presenta, non mi è possibile: S. Turannio fu un vecchio di assoluta diligenza, che dopo i novanta anni, ottenuto spontaneamente da Gaio Cesare l'esonero dalla carica di procuratore, ordinò che lo componessero nel letto e che la famiglia, standogli intorno, lo piangesse come morto. La casa piangeva come morta la vita del vecchio padrone privata dei pubblici impegni, e non cessò il suo lutto prima che a lui fosse restituita la fatica che gli apparteneva. A tal punto è piacevole morire affaccendato?
5. proprio questa è la tendenza della maggior parte degli uomini: più a lungo dura loro il desiderio di fatica, che la capacità di sopportarla; contro la debolezza del fisico combattono, persino la vecchiaia giudicano pesante per nessun altro aspetto, se non perché li mette da parte. La legge più non chiama per il servizio militare a partire dal cinquantesimo anno, a partire dal sessantesimo più non convoca il senatore: più difficilmente la gente ottiene il riposo da sé stessa, che dalla legge.
6. Frattanto, mentre sono trascinati e trascinano, mentre uno rompe il riposo dell'altro, mentre sono scambievolmente infelici, la vita resta senza frutti, senza piaceri, senza alcun miglioramento dello spirito: nessuno ha chiara davanti ai suoi occhi la morte, tutti tendono lontana la speranza, certuni poi organizzano anche ciò che sta al di là della morte: grandi moli di sepolcri, dediche di opere pubbliche, spettacoli funerari presso il rogo ed esequie di cui tutti parlino. Ma i funerali di costoro, vivaddio, come di gente vissuta veramente per pochissimo tempo, dovrebbero essere condotti al lume di fiaccole e di ceri!
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La tranquillità dell'animo -La brevità della vita Seneca

03/08/14

...dopo essere stato sballottato più a lungo di quanto avrebbe comportato la tua età | Seneca

..............l'appartata tranquillità mai sarà realmente vissuta, sempre sarà desiderata.[qui]

18, 1. Strappati pertanto dal volgo, o Paolino carissimo, e ritirati finalmente in un porto più tranquillo, dopo essere stato sballottato più a lungo di quanto avrebbe comportato la tua età. Pensa quanti flutti tu abbia affrontato, quante tempeste in parte private tu abbia sostenuto, in parte pubbliche abbia volto su di te; in prove faticose ed inquietanti già abbastanza è stata mostrata la tua virtù: esperimenta quali risultati consegua in un riposo appartato. La maggior parte della vita, o almeno la migliore, sia pur stata data dallo Stato: qualche parte del tempo che ti appartiene, assumila anche per te.
2. Né io ti chiamo ad un riposo neghittoso e senza attività, non ti dico di immergere nel sonno e nei piaceri cari alla massa quanto c'è in te di indole vivace: questo non è riposare; troverai attività più importanti di tutte quelle finora esercitate con vigoria, da intraprendere in una vita appartata e senza preoccupazioni.
3. Tu invero amministri gli affari economici di tutto il mondo con tanta onestà come non appartenenti a te, con tanta diligenza come tuoi, con tanto scrupolo come pubblici. Consegui amore nella carica, in cui è difficile evitare l'odio; tuttavia, credi a me, è meglio conoscere i conti della propria vita, che non del pubblico frumento.
4. Questo vigore spirituale, capacissimo di affrontare le cose più grandi, richiamalo da un impiego onorifico sì, ma troppo poco adatto alla vita felice, e pensa che, con tutta la cura dedicata a studi degni di un uomo libero, tu non ti sei dato da fare dalla prima età affinché ti fossero affidate con buone prospettive molte migliaia di moggi di frumento: qualche cosa di più grande e di più alto avevi promesso a tuo riguardo. Non mancheranno persone di assoluta onestà e di attività laboriosa: tanto più adatte a portare fuori i carichi sono le tarde mule, che non i cavalli di razza; la loro generosa velocità chi mai la schiacciò con carichi pesanti?
5. pensa, inoltre, che preoccupazione comporti 1'esporti ad una mole tanto grande: hai a che fare con la pancia degli uomini; non sopporta ragione, non è mitigato dall' onesto comportamento, non è piegato da nessuna preghiera il popolo affamato. Or ora, nell'ambito di quei pochi giorni, durante i quali Gaio Cesare mori - se pur i morti hanno sensazioni, questo sopportando soprattutto a malincuore, che, sopravvivendogli il popolo Romano, restavano viveri per sette o al più per otto giorni; mentre egli congiungeva ponti con le navi e giocava con le forze dell'impero, era presente quello che anche per gli assediati è l'estremo dei mali: la mancanza di cibi; costò quasi la catastrofe e la fame, e ciò che consegue alla fame, il crollo totale, il suo desiderio di imitare un re pazzo e straniero e superbo senza risultati - che animo ebbero allora coloro, cui era stata demandata la cura del pubblico frumento, dato che avrebbero sopportato sassi, ferro, fuochi, Gaio?
6. con somma finzione, nascondevano nelle loro viscere celata una calamità tanto grande, evidentemente a ragion veduta: certe cure debbono essere apportate ai malati, non essendone questi a conoscenza; causa di morte fu per molti conoscere la propria malattia.

02/08/14

... ma li atterrì la fine che fatalmente una volta o l'altra sarebbe dovuta arrivare | Seneca

...................il giorno lo perdono per l'attesa della notte, la notte per la paura della luce.[qui]

17, 1. Persino i loro piaceri sono trepidanti ed inquietati da paure di vario tipo, e si fa loro sotto, proprio quando giubilano, un angosciato pensiero: «Questo, quanto a lungo?». A causa di tale condizione psicologica, re piansero il loro potere, né li allietò la grandezza della loro fortuna, ma li atterrì la fine che fatalmente una volta o l'altra sarebbe dovuta arrivare.
2. Quando per grandi distese di campi spiegava il suo esercito e ne abbracciava non il numero, ma la misura, lacrime versò quel re dei Persiani superbissimo, perché, entro cento anni, nessuno fra tanti giovani era destino sopravvivesse: eppure, era destino che accostasse quelli alla morte proprio lui che li piangeva, e che ne perdesse alcuni per mare, altri in terra. alcuni in battaglia, altri durante la fuga, e che consumasse entro breve tempo coloro per i quali temeva il centesimo anno!
3. Che dire poi del fatto che trepidanti sono anche le loro gioie? non si basano infatti su salde cause, ma sono turbate dalla medesima vanità da cui nascono. Quali poi credi siano i loro momenti di vita, per loro stessa confessione infelici, se anche i motivi per i quali si elevano e si alzano al di sopra degli uomini, sono troppo poco genuini?
4. tutti i beni più grandi sono causa di preoccupazioni, né ad al cuna fortuna meno bene ci si affida che a quella migliore: di altra felicità c'è bisogno per difendere la felicità, e per difendere i voti che hanno avuto buon esito bisogna fare altri voti. Tutto quello che ci si fa incontro fortunosamente è infatti instabile; quanto più in alto si è alzato, tanto più è esposto alla caduta. Nessuno, poi, allietano le cose destinate a cadere: infelicissima, non solo brevissima deve essere pertanto la vita di coloro che con grande fatica si procurano ciò che debbono possedere con fatica maggiore.
5. Con pena conseguono quanto vogliono, con ansia tengono ciò che hanno conseguito; frattanto, non si fa conto alcuno del tempo, sebbene destinato a non più tornare: nuove faccende si sostituiscono alle vecchie, speranza eccita speranza, ambizione ambizione. Non si cerca la fine degli affanni, ma se ne cambia la materia. Le nostre cariche politiche hanno terminato di tormentarci: tempo maggiore se ne portano via le altrui; abbiamo finito di faticare come candidati: cominciamo ad essere sostenitori elettorali di altri; abbiamo deposto la molestia dell'essere accusatori: otteniamo quella di giudicare; ha cessato di essere giudice: è inquisitore; è invecchiato nella stipendiata amministrazione dei beni altrui: è tenuto in schiavitù dai propri beni.
6. Il sandalo militare ha congedato Mario: il consolato lo tiene in preoccupazioni. Quinzio si affretta ad uscire dalla dittatura: sarà richiamato dall'aratro. Andrà contro i Cartaginesi Scipione, non ancora maturo per un'impresa tanto grande: vincitore di Annibale, vincitore di Antioco, decoro del suo consolato, mallevadore di quello fraterno, se non ci fosse l'indugio voluto da lui, sarà posto accanto a Giove: civili discordie metteranno in agitazione il salvatore dello Stato e, dopo che da giovane ebbe a noia onori pari agli dei, già vecchio lo allieterà l'ambizione di un esilio arrogante. Mai mancheranno motivi fruttuosi o angosciosi di preoccupazione; in mezzo alle faccende sarà spinta la vita; l'appartata tranquillità mai sarà realmente vissuta, sempre sarà desiderata.

01/08/14

infelici capiscono troppo tardi di essere stati tanto a lungo affaccendati, mentre non facevano nulla | Seneca

............. Lunga gli rende la vita l'accumulare insieme tutti i tempi. [qui]

16, 1. Brevissima ed angosciatissima è la vita di coloro che dimenticano il passato, non curano il presente ,temono il futuro: giunti alla fine, infelici capiscono troppo tardi di essere stati tanto a lungo affaccendati, mentre non facevano nulla.
2. Non credere che da questa prova sia dimostrato che essi vivono una vita lunga, dato che a volte invocano la morte: li mette in agitazione la mancanza di esperienza, con passioni incerte e che vanno a sbattere proprio contro ciò che temono; la morte, spesso la desiderano perché la temono.
3. Non credere neppure prova che quelli vivono a lungo, il fatto che spesso sembri loro lungo il giorno, ed il fatto che si lamentino per lo scorrere tardo delle ore, fino a che non giunga il tempo convenuto per la cena; infatti, ogni volta che le occupazioni li hanno abbandonati, lasciati in un riposo disimpegnato sono affannati e non sanno come disporlo e farlo trascorrere. Tendono pertanto a qualche occupazione, e tutto il tempo che sta di tramezzo è per loro pesante; allo stesso modo, vivaddio, quando è stato bandito il giorno dello spettacolo gladiatorio, oppure si aspetta il giorno stabilito per qualche altro spettacolo o piacere, vorrebbero passassero di un salto i giorni di mezzo.
4. Per loro, ogni rinvio della cosa sperata è lungo; ma il tempo che amano è breve e precipitoso, e molto più breve diventa proprio per proprio difetto intrinseco: da un posto passano fuggendo in un altro, e non sono in grado di fermarsi in un solo piacere. Non lunghi sono per loro i giorni, ma odiosi; al contrario, quanto brevi sembrano le notti che trascorrono nell'abbraccio delle puttane o nel vino!
5. di lì deriva anche la pazzia dei poeti, che alimentano gli umani errori con i miti; loro sembrò che Giove, preso dalla dolcezza dell'amplesso, avesse raddoppiato la durata della notte: che altro è l'accendere i nostri vizi, se non l'imputarne gli dei come suggeritori e dare al male, con l'esempio della divinità, una giustificata licenza? è mai possibile che non sembrino a costoro brevissime le notti che comprano a prezzo così caro? il giorno lo perdono per l'attesa della notte, la notte per la paura della luce.

31/07/14

Di costoro, nessuno ti costringerà a morire, tutti te lo insegneranno | Seneca

....................... nessuno permetterà che qualcuno se ne vada via a mani vuote: di notte è possibile vengano contattati, di giorno, da tutti gli uomini.[qui]

15,1. Di costoro, nessuno ti costringerà a morire, tutti te lo insegneranno; di costoro, nessuno consumerà gli anni tuoi, dei suoi ti darà contributo; con nessuno di costoro la conversazione sarà pericolosa, l'amicizia di nessuno comporterà condanna a morte, verso nessuno di costoro sarà costoso lo stare all'erta. Avrai da loro tutto ciò che vorrai; non da loro dipenderà che tu non attinga quanto più sia riuscito a contenere.
2. Che felicità, che bella vecchiaia attende chi si è iscritto nella clientela di costoro! avrà persone con cui decidere su problemi piccolissimi e grandissimi, persone da consultare ogni giorno a riguardo di sé stesso, da cui ascoltare la verità senza offesa, da cui essere ascoltato senza adulazione, alla cui somiglianza conformarsi.
3. Siamo soliti dire che non è dipeso dal nostro potere quali genitori avere in sorte, che a noi vengono assegnati dal caso: a noi è invece lecito nascere a nostra scelta. Ci sono famiglie di nobilissimi ingegni: scegli quella da cui vuoi essere adottato; non lo sarai solo per riceverne il nome, ma anche per i beni stessi, che né sordidamente né con avarizia dovranno essere custoditi: maggiori saranno, con quante più persone li avrai divisi.
4. Costoro ti daranno la strada per l'eternità e ti alzeranno a quel posto, da dove nessuno viene gettato giù. Questo è l'unico modo per allungare la propria condizione di mortali, anzi, per cambiarIa in immortalità. Cariche, monumenti, tutto ciò che l'ambizione ha comandato con decreti, oppure ha costruito con opere, presto è scalzato dalle fondamenta, non c'è nulla che non demolisce la lunga vecchiaia e sommuove; invece, a ciò che la saggezza ha consacrato, non è in grado di nuocere; nessuna età lo abolirà, nessuna lo diminuirà; l'età seguente, e poi quella di volta in volta ulteriore, apporterà qualche contributo alla venerazione, dato che l'invidia si muove fra ciò che le sta vicino, ammiriamo invece con schiettezza maggiore ciò che è posto lontano.
5. Molto dunque si estende la vita del saggio, non lo chiude il medesimo limite che gli altri: egli solo è sciolto dalle leggi del genere umano, tutte le generazioni sono al suo servizio, come ad un dio. Passato è qualche tempo: questo egli lo tiene saldo, con il ricordo; il tempo incalza: di questo fa uso; il tempo verrà: questo lo prende prima. Lunga gli rende la vita l'accumulare insieme tutti i tempi.

30/07/14

Fra tutti, i soli liberi da preoccupazioni esterne sono quelli che dedicano il loro tempo alla saggezza | Seneca

................... se fosse meglio non accedere a nessuna cultura oppure trovarsi impicciato in questa.[qui]

14, 1. Fra tutti, i soli liberi da preoccupazioni esterne sono quelli che dedicano il loro tempo alla saggezza, soli essi vivono veramente: non custodiscono bene solo lo spazio di vita loro assegnato, ma tutto il tempo aggiungono al proprio, tutti gli anni già trascorsi sono da loro acquisiti. Se non siamo del tutto ingrati, quegli illustrissimi fondatori di sacre dottrine sono nati per noi, a noi preparano bene la vita. A cose bellissime scavate fuori dalle tenebre alla luce, noi siamo accompagnati dalla fatica altrui; nessuna generazione ci è interdetta, in tutte siamo ammessi, e se, per mezzo della grandezza dell'animo ci piace uscire dalle strettoie dell'umana debolezza, molto è il tempo attraverso cui camminare a nostro piacimento.
2. Ci è lecito discutere con Socrate, dubitare con Carneade, riposare con Epicuro, vincere l'umana natura con gli Stoici, oltrepassarla con i Cinici. Poiché la natura ci permette di incedere nella compartecipazione con tutto il tempo, perché, staccandoci da questo esiguo e caduco passare del tempo, non ci diamo con tutto l'animo nostro a quelle cose che sono immisurabili, che sono eterne, che sono in comunità con ciò che è migliore?
3. questa gente, che corre qua e là dietro i propri uffici, che mette in inquietudine sé stessa e gli altri, quando sia ben bene impazzita, quando ogni giorno abbia fatto il giro di tutte le soglie e non abbia trascurato alcuna porta aperta, quando per case situate ai capi opposti della città abbia portato intorno il proprio saluto a pagamento, quanto poche persone le sarà possibile vedere di questa città immensa e fatta a brani fra vari piaceri?
4. quante persone ci saranno, il cui sonno o la cui vita lussuosa o la cui personale scortesia li cacci a gomitate! quanti ce ne saranno che, dopo averli tormentati a lungo, passino loro oltre con simulata premura! quanti eviteranno di uscire attraverso l'atrio insaccato di clienti, e se ne fuggiranno per passaggi nascosti della casa, come se non sia più scortese ingannare che tenere fuori dalla porta! quanti, mezzo addormentati ed appesantiti dalla crapula del giorno precedente, a quei disgraziati che rompono il sonno loro per attendere l'altrui, ripeteranno in uno sbadiglio superbissimo il nome infinite volte loro sussurrato, con uno stentato sollevare delle labbra!
5. che in veri rapporti sociali si intrattengano, possiamo dirlo invece per coloro che, Zenone, Pitagora ogni giorno, e Democrito e gli altri sacerdoti delle buone teorie, Aristotele e Teofrasto vorranno avere i più familiari possibile. Tutti costoro tempo ne avranno, tutti congederanno, quelli che verranno da loro, più felici, più amanti di loro; nessuno permetterà che qualcuno se ne vada via a mani vuote: di notte è possibile vengano contattati, di giorno, da tutti gli uomini.

29/07/14

Quanta caligine pone davanti alle nostre menti un grande successo! | Seneca

...............Ma questo mezzo morto...come può essere padrone di qualche momento del tempo? [Qui]


13, 1. Sarebbe troppo lungo tenere dietro ai singoli, la cui vita consumarono le pedine della dama o il gioco della palla o la cura di abbrustolire il corpo al sole. Non vivono un riposo appartato coloro i cui piaceri comportano molto impegno: nessuno dubiterà infatti che con molta fatica non facciano nulla, coloro che sono impegnati in studi letterari privi di utile pratico, e che anche presso i Romani già costituiscono una grossa schiera.
2. Dei Greci fu questa malattia, ricercare che numero di rematori avesse avuto Ulisse, se fosse stata scritta prima l' «Iliade» o l' «Odissea» ed inoltre se fosse dello stesso autore, e di seguito altri problemi di questo tipo, i quali, sia che tu li tenga chiusi in te, in nulla aiutano la tua coscienza (che se ne resta silenziosa), sia che tu li faccia conoscere in pubblico, non più dotto ne apparirai, ma più molesto.
3. Ecco che anche i Romani ha invaso il vuoto zelo di imparare cose inutili; in questi giorni, ho ascoltato un tale che esponeva che cosa avesse fatto per primo? ciascuno dei comandanti romani: per primo in battaglia navale vinse Duilio-, per primo Curio Dentato- condusse elefanti in trionfo. Ed ancora questi dati, anche se non tendono alla vera gloria, tuttavia riguardano esempi di azioni pubbliche; è destinata a non essere di utilità questa conoscenza, ma è tale da interessarci con l'allettevole vanità degli argomenti trattati.
4. Anche questo lasciamolo a chi ne fa ricerca: chi per primo persuase i Romani a salire su una nave Claudio fu costui, chiamato Caudice, perché la compagine di più tavole era chiamata dagli antichi caudex, e di qui le tavole delle leggi sono dette «codici», ed ancor ora, per antica consuetudine, le navi che risalgono il Tevere portando approvvigionamenti sono dette «codicarie » -
5. ed abbia pure un suo significato il fatto che Valerio Corvino vinse per primo Messina e per primo, nella famiglia dei Valeri, trasferito a sé il nome della città presa, fu chiamato Messana (e, poco a poco, cambiando il popolo le lettere, fu detto Messalla);
6. ma permetterai che a qualcuno stia a cuore anche questo, che cioè per primo L. Silla fece scendere nel Circo i leoni sciolti (mentre fino ad allora erano fatti scendere legati), dopo che erano stati mandati da parte re Bocco frombolieri per ucciderli? anche questo sia concesso; ma anche la notizia che Pompeo per primo fece svolgere nel Circo un combattimento di diciotto elefanti, cui erano stati messi a confronto, come per uno scontro, persone innocenti, ottiene qualche utile risultato? principe della città, e fra i principi del tempo antico, come tramandò la fama, uomo di eccezionale bontà, giudicò memorabile genere di spettacolo uccidere la gente con un sistema mai prima usato: «Combattono fino all'ultimo sangue? è troppo poco. Sono fatti a pezzi? è troppo poco. Siano schiacciati dalla grossa mole di animali ».
7. Meglio sarebbe stato che questi fatti fossero caduti nella dimenticanza, affrnché nessun potente, in seguito, li imparasse e provasse invidia per una cosa niente affatto umana. Quanta caligine pone davanti alle nostre menti un grande successo! egli si credette al di sopra della natura, quando tante caterve di persone infelici gettava davanti bestie nate sotto un altro cielo, quando metteva in lotta esseri tanto diseguali, quando faceva versare tanto sangue che gli occhi del popolo Romano vedessero (popolo, che presto egli avrebbe costretto a versarne di più); poi, il medesimo personaggio, ingannato dalla slealtà alessandrina, al più spregevole schiavo si offrì per essere trafitto, solo allora comprendendo l'inutile vanteria del suo appellativo.
8. Ma per tornare là da dove sono partito, ancora nella medesima materia indicherò la superflua diligenza di certuni: quella medesima persona raccontava che Metello, nel suo trionfo per la vittoria in Sicilia sui Cartaginesi, solo fra tutti i Romani aveva condotto davanti al suo cocchio centoventi elefanti; che Silla, ultimo fra i Romani, aveva portato avanti il pomerio, che presso gli antichi era costume mai amplificare per l'acquisizione di territorio provinciale, ma italico. Questo è più utile sapere, che non l'essere il monte Aventino fuori dal pomerio, come egli personalmente affermava, per uno di questi due motivi, o perché la plebe vi si era ritirata, oppure perché, quando Remo traeva gli auspici in quel luogo, gli uccelli non erano stati favorevoli; ed altri dati innumerevoli, che o sono infarciti di bugie o vi assomigliano.
9. Quand'anche tu ammetta che quelli tutto dicono in buona fede, quand'anche scrivano dandone garanzia, tuttavia queste notizie di chi diminuiranno gli errori? i desideri di chi comprimeranno? chi renderanno più forte, più giusto, più generoso? di dubitare a volte il nostro Fabiano affermava, se fosse meglio non accedere a nessuna cultura oppure trovarsi impicciato in questa.

28/07/14

Quando poi qualche debolezza del fisico ha ricordato loro la condizione di mortali, come muoiono impauriti..| Seneca

............che non può essere afferrato, ed anche questo viene sottratto loro tormentosamente divisi in molti affanni.[ qui ]

11, 1. In linea generale dunque, vuoi sapere quanto non a lungo vivano? guarda quanto desiderino vivere a lungo. Vecchi decrepiti mendicano nei loro voti l'aggiunta di pochi anni: fingono di essere più giovani; con una bugia si fanno illusioni e si ingannano tanto volentieri, come se unitamente a sé stessi intrappolassero il destino. Quando poi qualche debolezza del fisico ha ricordato loro la condizione di mortali, come muoiono impauriti, non come se uscissero dalla vita, ma come se ne fossero strappati via! di essere stati stolti, sì da non aver vissuto, essi lo gridano, e che se mai sfuggano a quella malattia, vivranno nel riposo appartato; solo allora, quanto inutilmente abbiano approntato quei mezzi di cui non possono servirsi, quanto sia risultata vana ogni loro fatica, essi ci pensano.
2. Per coloro invece, la cui vita è condotta lontana da ogni impegno, perché non dovrebbe essere spaziosa? di questa nulla è delegato ad altri, niente viene sparso qua e là, niente ne viene affidato alla fortuna, niente va perduto per negligenza, niente viene sottratto per prodigalità, niente è di troppo: tutta la vita, per così dire, è messa a frutto. Per quanto piccola sia, è dunque sufficientemente abbondante, e perciò, quando una volta o 1'altra verrà l'ultimo giorno, il saggio non esiterà ad andare alla morte con passo sicuro.

12, 1. Chiedi forse chi io chiami affaccendati? non credere che mi riferisca solo a coloro che i cani lasciati liberi cacciano infine dalla loggia del mercato; a coloro che tu vedi soffocati o più rispettabilmente fra una turba di loro seguaci oppure più spregiativamente fra una turba di estranei; a coloro che gli uffici chiamano fuori casa, perché vadano a sbattere contro le porte di una casa altrui; a coloro, che la vendita all'asta" fatta dal pretore mette in agitazione per un guadagno disonorevole e che una volta o 1'altra finirà in cancrena.
2. Di certuni, la vita privata è affaccendata: in vita o nel letto proprio, in mezzo alla solitudine, benché si siano allontanati da tutti, proprio loro sono molesti a sé; la loro vita non bisogna definirla riposo appartato, ma ozioso affaccendarsi. Chiami tu persona che si riposa appartata, chi vasi di Corìnto'? (preziosi per la pazzia di pochi) dispone in ordine con ansiosa sottigliezza e che consuma la maggior parte dei giorni in mezzo a laminette piene di ruggine? chi nella palestra (infatti, ed è una vergogna, siamo preda di vizi che non sono neppure Romani!) se ne sta seduto come spettatore di fanciulli dediti alla rissa? chi divide le greggi delle sue mule in coppie di uguale età e colore? chi ingrassa gli atleti giunti per ultimi sulla piazza?
3. Che? chiami persone che vivono in un riposo appartato quelli che trascorrono molte ore nella bottega del barbiere, mentre viene tagliato ogni pelo cresciuto nella notte precedente, mentre ci si riunisce in consiglio per i singoli capelli, mentre si rimette in ordine la chioma scompaginata, oppure si spinge di qui e di là sulla fronte quella capigliatura che si sta facendo rada? come si arrabbiano, se il barbiere è stato un po' meno diligente, quasi tagliasse la barba ad un vero uomo! come si accendono, se è stata tagliata qualche parte della loro criniera, se qualche parte si è adagiata fuori dall' ordine, se tutte le parti non sono ricadute nei riccioli che loro competono! chi c'è fra costoro che non preferisca sia scompigliato lo Stato che non la propria chioma? che non sia più preoccupato del decoro della propria testa che della propria salute? che non preferirebbe essere ben pettinato, piuttosto che rispettabile? chiami persone appartate nel riposo, costoro che sono affaccendate fra pettine e specchio?
4. che dire poi di coloro che si danno da fare nel comporre, ascoltare, imparare canzoni, mentre in flessioni di modulazione mollissima torquono la loro voce (il cui corso diritto la natura ha fatto ottimo e semplicissimo); le cui dita schioccano sempre, dentro di sé essi misurando qualche musica, e dei quali, quando sono stati chiamati a faccende serie e spesso anche preoccupanti, si percepisce una sommessa modulazione? costoro non hanno un riposo appartato, ma un affaccendarsi senza risultati.
5. I loro banchetti, vivaddio, non li porrei fra i momenti di tempo libero, vedendo con quanta sollecitudine dispongano in mostra la suppellettile d'argento, con quanta diligenza tengano alte alla vita le tuniche dei loro amasi, come attendano preoccupati il modo in cui il cinghiale esca dalla cucina, con quanta velocità gli schiavi dai peli rasati, dato il segnale, corrano qua e là ai compiti loro, con quanta perizia tecnica gli uccelli vengano tagliati in pezzi di misura uguale, con quanta cura attenta gli infelici ragazzetti detergano gli sputi degli ubriachi: da questi comportamenti si cerca fama di raffinatezza e di signorilità, ed i mali loro li seguono a tal punto in tutti gli angoli della loro vita appartata, che né mangiano senza desiderare che in giro se ne parli né bevono.
6. Fra le persone che riposano apparta te, non conterai neppure coloro che sulla sedia o sulla lettiga si portano qua e là e si fanno incontro puntuali agli orari delle passeggiate in carrozza che loro competono, come se non fosse lecito trascurarle; coloro, ai quali 1'ora in cui debbano lavarsi, l'ora in cui debbano nuotare, 1'ora in cui debbano cenare, un altro glielo ricorda: a tal punto gli animi loro delicati si disfano per una eccessiva mollezza, da non essere in grado di sapere da soli se hanno fame!
7. sento dire che uno di questi raffinati - se pur bisogna chiamare raffinatezza il disimparare consuetudini di vita degne di un uomo - portato fuori dal bagno a braccia alte e deposto sulla sedia, abbia detto ponendolo come domanda: «Sono già seduto?». Questa persona, che non sa se sta seduta, credi tu che sappia se vive, se vede, se riposa appartato? non saprei dire se io compianga di più che egli non lo sappia, oppure che abbia finto di non saperlo.
8. Percepiscono senz' altro la dimenticanza di molti fatti, ma di molti la fngono anche; certi difetti li allietano, come prova della loro riuscita nella vita: sembra essere proprio di una persona di rango troppo basso e spregevole sapere che cosa fai. Và dunque ora, e credi pure che i mimi molto mentiscano allo scopo di rinfacciare la vita lussuosa! di più, vivaddio, tralasciano, di quanto rappresentano, e l'abbondanza di incredibili difetti ha tanto progredito in questo nostro tempo (ingegnoso solo nel produrre ciò) che noi siamo ormai in grado di accusare i mimi di poca attenzione.
9. Possibile che ci sia qualcuno tanto sfinito nelle raffinatezze da prestare fede ad un altro del suo stare seduto? costui non è persona che vive in un riposo appartato, devi attribuirgli un altro appellativo: è malato, anzi morto. Vive in riposo appartato chi ha anche percezione della sua condizione. Ma questo mezzo morto, che per capire le posizioni del suo corpo ha bisogno di qualcuno che gliele indichi, come può essere padrone di qualche momento del tempo?

27/07/14

Il più grande impedimento alla vita è l'attesa, che dipende dal domani, perde l'oggi | Seneca

........la morte frattanto starà addosso, per la quale, lo voglia, non lo voglia tu, bisogna aver tempo. [qui]

9,1. Può esserci alcunché più stolto del concetto espresso da coloro, dico, che fanno sfoggio di esperienza di vita? più laboriosamente sono affaccendati: per essere in condizione di vivere meglio, a spese della vita forniscono del necessario la vita! i loro pensieri li dispongono per tempi lontani, ma la più grande perdita di vita è proprio il rinvio: esso sfila via ogni giorno più a portata di mano, esso strappa via il presente, mentre promette cose più lontane nel tempo. il più grande impedimento alla vita è l'attesa, che dipende dal domani, perde l'oggi. Ciò che sta in mano della fortuna tu l'organizzi, ciò che sta in mano tua lo lasci andare. Dove guardi? dove ti dispieghi? tutto ciò che verrà, giace nell'incertezza: immediatamente vivi la tua vita.
2. A gran voce, ecco, il grandissimo vate dice, e come ispirato da bocca divina canta un carme salutare: «I giorni migliori della vita, per i miseri mortali, sono i primi che se ne fuggono via». «Perché indugi» egli dice «perché ti attardi? se, prevenendo, non lo prendi, fugge via.» E quand'anche, prevenendo, tu l'abbia preso, tuttavia se ne fuggirà: pertanto, contro la celerità del tempo bisogna gareggiare con la velocità nel farne uso, e come da un torrente rapido, ma destinato a non scorrere sempre, bisogna attingere prontamente.
3. Anche questo con grandissima efficacia, per rimproverare un pensiero che non si pone limiti, dato che non ogni età migliore egli dice, ma «ogni giorno». Perché senza preoccupazioni e, pur in una così grande fuga delle stagioni, indifferente, tu mesi ed anni per te prolunghi in lunga serie, comunque è sembrato opportuno alla tua avidità? del giorno egli parla con te, e proprio di questo che fugge via.
4. È forse dubbio, dunque, che i giorni più a portata di mano, che sono i migliori, sfuggano ai mortali infelici, cioè affaccendati? ai loro animi ancora di bimbi cade addosso la vecchiaia, alla quale giungono impreparati e senza armi: nulla è stato infatti previsto; all'improvviso si sono imbattuti in essa senza aspettarsela; che essa si avvicinava ogni giorno, non se ne accorgevano.
5. Come o una conversazione o una lettura o qualche pensiero più impegnativo inganna chi fa un viaggio, e di essere giunti a destinazione lo sanno prima che di esserviciavvicinati, così questo viaggio della vita senza soste e frettolosissimo, che o da svegli o nel sonno con il medesimo passo compiamo, agli affaccendati non appare se non alla fine.

10, l. Quello che mi sono proposto di trattare, se volessi dividerlo in parti ed in prove, molti dati mi si presenterebbero, per mezzo dei quali potrei dimostrare come brevissima sia la vita delle persone affaccendate. Soleva dire Fabiano, non uno dei filosofi cattedratici dei tempi nostri, ma di quelli veri ed antichi: «Contro le passioni bisogna combattere con impeto, non con sottigliezze dialetti che e non con colpi di spillo, ma con un attacco frontale bisogna far voltare le spalle alla schiera; (non approva i sofismi) infatti deve essere rintuzzata, non punzecchiata». Tuttavia, affinché il loro errore sia a quelli rinfacciato, debbono essere ammaestrati, non solamente considerati perduti per il bene.
2. In tre stagioni si divide la vita: ciò che è stato, ciò che è, ciò che sarà; di queste, il tempo che viviamo è breve, quello che vivremo è dubbio, quello che vivemmo è sicuro. Su questo infatti la fortuna ha perduto il suo diritto, questo non può essere ridotto all'arbitrio di nessuno. Questo tempo, gli affaccendati lo perdono; non hanno infatti spazio per guardare indietro al passato, e quand'anche lo avessero, spiacevole è il ricordo di una cosa, di cui si ha motivo di lamentarsi.
3. Contro voglia, quindi, richiamano l'animo ai tempi male trascorsi, né hanno il coraggio di rimettere mano su fatti, i cui difetti (anche quelli che venivano nascosti alla vista da qualche momentaneo belletto di immediato piacere) si fanno evidenti maneggiandoli di nuovo. Nessuno, se non colui che ogni cosa ha compiuto esercitandone egli stesso la censura, cui nulla sfugge, si volge indietro volentieri al passato.
4. Chi per ambizione ha molto desiderato, per superbia ha disprezzato, senza sapersi porre un freno ha vinto, con insidie ha ingannato, con avidità ha rapinato, con prodigalità ha speso, deve necessariamente temere la propria memoria. Eppure, questa è la parte del nostro tempo consacrata con atto ufficiale, andata al di là di tutte le vicende umane, sottratta al regno della fortuna tale che non la povertà, non la paura, non l'attacco delle malattie può metterla in agitazione; non è possibile sia né turbata né strappata via, perpetuo e tranquillizzante è il suo possesso. Solo singoli giorni, ed anche questi ora per ora, costituiscono il presente; invece, tutti i giorni del tempo trascorso, quando voi lo comanderete, saranno presenti, permetteranno di essere osservati e tenuti saldamente, secondo l'arbitrio tuo: ma per far questo, gli affaccendati non hanno tempo.
5. È proprio di una mente non preoccupata e tranquilla correre qua e là per tutte le parti della propria vita; invece, gli animi degli affaccendati, come posti sotto un giogo, non sono in grado di piegarsi e di volgersi indietro. Se ne va dunque la loro vita nel profondo, e come a nulla giova, per quanto se ne getti dentro, se sotto non c'è un fondo che accolga e conservi, così nulla importa quanto tempo sia concesso, se non c'è dove si depositi: passa attraverso animi incrinati e forati.
6. Il tempo presente è brevissimo, a tal punto che a certuni appare inesistente: è sempre in corsa, fluisce e si precipita; cessa di essere prima di giungere, non sopporta indugio più di quanto lo sopportino l'universo e le costellazioni, il cui movimento sempre irrequieto mai resta nello stesso luogo. Solo il tempo presente compete dunque agli affaccendati, tanto breve, che non può essere afferrato, ed anche questo viene sottratto loro tormentosamente divisi in molti affanni.

26/07/14

Nessuno restituirà gli anni, nessuno ti renderà una seconda volta a te stesso | Seneca

...... non ha navigato molto quello, ma molto è stato sballottato. [ qui ]

8, 1. Sono solito meravigliarmi, quando vedo alcuni chiedere tempo, e quelli che ne vengono richiesti generosissimi nel concederlo: entrambi guardano al motivo per cui il tempo è stato chiesto, al tempo in sé nessuno dei due, come se nulla fosse chiesto, come se nulla fosse dato. Si gioca con la cosa più preziosa di tutte; ma sfugge loro perché è incorporea, perché non viene sotto gli occhi, e per questo motivo viene valutata come la più a buon mercato, anzi il suo valore è quasi nullo.
2. Stipendi annuali, donativi, gli uomini ricevono come cose preziosissime, e a quelli dedicano o fatica od opera o diligenza: nessuno valuta il tempo, se ne servono con grande larghezza, come se non costasse nulla. Eppure, guarda queste medesime persone quando sono ammalate, se il pericolo di morte si è fatto più vicino, come toccano le ginocchia dei medici! se temono la pena capitale, sono pronti, pur di vivere, a spendere tutto ciò che hanno. Tanto grande è in quelle persone la contraddizione delle passioni.
3. Che se fosse possibile, come degli anni passati, così mettere davanti per ciascuno il numero degli anni futuri, come tremerebbero, vedendo che ne avanzano pochi, come li risparmierebbero! eppure, è facile, amministrandolo, distribuire ciò che è sicuro, per quanto poco sia; deve essere custodito con maggior diligenza ciò che non sai quando finisca.
4. Non credere che essi ignorino quanto cara cosa sia: sono soliti dire a coloro che amano nel modo più appassionato, di essere pronti a dare una parte dei loro anni. Danno, e non capiscono; danno, invero, in modo da togliere a sé stessi, senza vantaggio per quegli altri. Ma neppure di questo sono consapevoli, se sottraggano gli anni; perciò tollerabile è per loro la perdita comportata da un danno che resta nascosto.
5. Nessuno restituirà gli anni, nessuno ti renderà una seconda volta a te stesso; se ne andrà, per dove ha cominciato, la vita, né il suo corso o lo richiamerà indietro o lo fermerà; non vi saranno affatto tumulti, in nulla ci ricorderà la velocità che le è propria: in silenzio scivolerà via; non per imperio di re, non per favore di popolo la vita si porterà avanti più a lungo: come è stata messa in corsa il primo giorno, correrà, in nessun luogo farà deviazioni, in nessun luogo farà sosta. Che accadrà? tu sei affaccendato, la vita si affretta; la morte frattanto starà addosso, per la quale, lo voglia, non lo voglia tu, bisogna aver tempo.

25/07/14

... per tutta la vita bisogna imparare a morire | Seneca

........... ma che se ne vada come cosa inutile e recuperabile, voi lo permettete. [ qui ]

7, 1. In prima fila, poi, conto fra i viziosi anche quelli che non hanno tempo per nulla, se non per il vino e per la loro libidine: nessuno è occupato in faccende più turpi. Altri, quand'anche siano tenuti da una vana immagine di gloria, sbagliano tuttavia con decorosa apparenza: puoi farmi l'elenco degli avari, puoi farmi l'elenco degli iracondi o di coloro che esercitano odi ingiusti o guerre, tutti costoro sbagliano più virilmente; di coloro che si lasciano andare al ventre e alla loro libidine, sconveniente è la vergogna.
2. Esamina ogni singolo momento di costoro, guarda per quanto tempo facciano conti, per quanto tempo tendano insidie; per quanto tempo temano, per quanto tempo ossequino, per quanto tempo siano ossequiati, quanto tempo occupino le cauzioni giudiziarie loro ed altrui, quanto i banchetti, che ormai sono diventati anch'essi doveri: vedrai come non permettano loro di respirare o i loro mali o i loro beni.
3. In linea generale, dunque, tutti sono d'accordo, che nessuna cosa è possibile sia ben esercitata da chi è affaccendato, non l'eloquenza, non le discipline liberali, dal momento che un animo tirato da una parte e dall'altra nulla profondamente accoglie, ma tutto rigetta, come se gli fosse stato inculcato. Nulla meno appartiene ad un uomo affaccendato che il saper vivere: di nessuna cosa è più difficile la scienza. Pubblici maestri di altre arti ce ne sono dovunque, e tanti; certe arti poi, fanciulli in giovanissima età sembrano averle così percepite da essere in grado anche di farne i precettori; a saper vivere, per tutta la vita bisogna impararlo e, cosa di cui tu forse ti meraviglierai maggiormente, per tutta la vita bisogna imparare a morire.
4. Tanti uomini grandissimi, lasciati da parte tutti i bagagli, dopo aver rinunciato alle ricchezze, agli uffici, ai piaceri, solo di questo si occuparono fino all'età estrema, a saper vivere; la maggioranza di costoro tuttavia se ne andò dalla vita confessando di non saperlo ancora, figuriamoci poi se può saperlo gente come questa. E proprio di un uomo grande, credi a me, e che si eleva sopra gli errori umani, non permettere che alcunché sia delibato dal proprio tempo; e la sua vita è lunghissima, perché, per quanto spazio di tempo si è spalancata, tutta è stata a sua disposizione.
5. Nulla giacque di essa incolto ed inattivo, nulla fu sotto il potere di un altro; nulla ha trovato infatti degno di scambiare con il suo tempo, di cui è custode attaccatissimo ed attento: e così gli è bastato. Necessariamente, il tempo deve essere mancato a coloro della cui vita la folla se ne è portata via gran parte.
6. Non credere che quelli non capiscano a volte la perdita loro: sicuro è che parecchi di coloro, cui sta pesantemente addosso un successo grande, fra greggi di clienti o procedimenti processuali o altre sofferenze di pur decoroso aspetto esteriore, li sentirai a volte esclamare: «Vivere per me, non mi e lecito!».
7. Perché dovrebbe esserti lecito? tutti quelli che ti chiamano in aiuto per sé, ti portano via da te stesso. Quell'accusato quanti giorni ti ha strappato via? quanti quel candidato? quanti quella vecchia stanca di portare eredi a sepoltura? quanti quel malato, fintosi tale per stuzzicare l'avidità di chi va a caccia di eredità? quanti quell'amico potente, che vi tiene non fra gli amici, ma fra le suppellettili? fa' il conto del dare e dell'avere, ti dico, e passa in rassegna i giorni della tua vita: vedrai che pochissimi, e solo gli scarti si sono depositati in tuo possesso.
8. Conseguiti i fasci che aveva desiderato, quello aspira a deporli, e di volta in volta dice: «Quando passerà quest'anno?». Un altro offre i ludi, carica che considerava importante gli toccasse: «Quando» dice «riuscirò a liberarmene?». È conteso quell'altro come patrono per tutto il foro, e con grande affollamento riempie ogni luogo, per più spazio di quanto possa essere ascoltato: «Quando» dice «la trattazione degli affari verrà sospesa?». Accelera ciascuno a precipizio il corso della propria vita e si affatica per il bisogno del futuro, per la noia delle cose presenti.
9. Ma chi adibisce ogni tempo alle utilità sue proprie, chi dispone ogni giorno come una vita intera, non desidera il domani né lo teme. Che tipo di nuovo piacere c'è infatti, che qualche ora potrebbe ormai apportare? tutto è noto, tutto è stato percepito a sazietà. Per il resto, la sorte, la fortuna disponga come vorrà: la vita è ormai al sicuro. A questa è possibile venga aggiunto, nulla venga tolto, ed aggiunto come ad una persona già sazia e piena qualche cibo, di cui non sente bisogno, eppure riesce a contenerlo.
10. Non credere dunque che a causa dei suoi capelli bianchi e delle sue rughe qualcuno sia vissuto a lungo: egli non ha a lungo vissuto, ma è a lungo esistito. Che infatti, se tu credessi aver molto navigato colui che una crudele tempesta, accoltolo all'uscita del porto, ha portato di qua e di là e che, per le vicende dei venti spiranti da opposte direzioni, per i medesimi spazi spinge in cerchio? non ha navigato molto quello, ma molto è stato sballottato.

24/07/14

... non acquietandosi nella buona sorte né sopportando l'avversa,...maledice il suo consolato | Seneca

 ........questo era il voto di colui, che del voto loro era in grado di rendere soddisfatti gli uomini![ qui ]

5, 1. M. Cicerone, fra i Catilina, i Clodi sballottato, fra i Pompei ed i Crassi, in parte nemici palesi, in parte amici dubbi, mentre è in balia dei flutti insieme allo Stato e cerca di trattenerlo mentre sta andando in rovina, alla fine, strappatone via, non acquietandosi nella buona sorte né sopportando 1'avversa, quante volte maledice persino quel famoso suo consolato, che era stato lodato non senza motivo, ma senza fme!
2. che espressioni di pianto trae fuori in una lettera ad Attico", quando Pompeo padre già era stato vinto, Pompeo figlio ridava ancora vigore in Spagna alle spezzate armi! «Che cosa faccia qui» egli dice «tu mi domandi? soggiorno nella mia villa di Tuscolo, libero a metà!» Aggiungi poi altre espressioni, con cui compiange 1'età precedente e si lamenta della presente e dispera della futura.
3. Libero a metà, si definì Cicerone: ma, vivaddio, mai il saggio arriverà fino ad un appellativo tanto basso, mai sarà «libero a metà», lui, che è di libertà intatta e completa, sciolto ed appartenente a sé stesso e più alto degli altri. Che può esserci sopra colui, che sta sopra la fortuna?

6, 1. Livio Druso", uomo pronto all'azione ed impetuoso, dopo aver messo in movimento leggi rivoluzionarie e mali Graccani, circondato dall'immensa folla di tutta l'Italia, non vedendo chiaramente una via d'uscita per progetti, che né era lecito eseguire né c'era libertà di abbandonarli una volta cominciati, maledetta la sua vita inquieta sin dagli inizi, si dice abbia detto: «A lui solo, neppure da fanciullo, era toccato in sorte un periodo di vacanza». Ebbe infatti l'ardire, ancora pupillo" e vestito della pretesta", ai giudici di raccomandare gli accusati? e di interporre nel foro l'influenza di cui godeva, ed invero con tanta efficacia, che è noto come certe sentenze siano state estorte da lui.
2. Dove non sarebbe andata a sfogarsi un' ambizione tanto immatura? potevi certo sapere, che in un grande male pubblico e privato avrebbe trovato sfogo una sfrontatezza tanto precoce. Troppo tardi, dunque, lamentava che non gli fossero toccate in sorte vacanze, lui, che fin da fanciullo era stato sedizioso e pesante al foro. Si discute se si sia suicidato: all'improvviso, infatti, ricevuta nell'inguine una ferita, crollò a terra, mentre qualcuno dubitava se la sua morte fosse volontaria, nessuno se tempestiva.
3. È superfluo ricordare un numero maggiore di persone, che, pur sembrando agli altri felicissime, resero personalmente testimonianza vera nei propri riguardi, piene di odio contro tutta l'attività dei loro anni; ma con queste lamentele né cambiarono gli altri né sé stessi: infatti, dopo che le parole hanno trovato uno sfogo, di nuovo le loro passioni scivolano indietro, pur senza volerlo, verso la consuetudine.
4. La vostra vita, vivaddio, anche se va al di là di mille anni, nello spazio più angusto sarà rimpicciolita - difetti di cotesto tipo divoreranno ogni tempo di vita assegnato ad un uomo - e questo spazio (che, pur se per natura corre, la ragione sa dilatare) a voi deve necessariamente sfuggire in fretta: voi non lo afferrate strettamente né lo trattenete né fate indugiare la cosa, pur anche se è la più veloce di tutte, ma che se ne vada come cosa inutile e recuperabile, voi lo permettete.

23/07/14

Il divino Augusto, cui gli dei dettero più onori che ad alcun altro, non cessò di pregare per sé il riposo | Seneca

.................e volere cominciare la vita da quel momento, cui pochi sono riusciti a condurla! [ qui ]

4, 1. Ad uomini potentissimi e portati in alta posizione vedrai cadere involontariamente di bocca frasi, con cui esprimono il desiderio di riposo appartato, lo lodano, lo preferiscono a tutti i loro beni. Desiderano a volte scendere da quella loro sommità, se è possibile con sicurezza: quand'anche infatti nulla dall'esterno minacci e scuota, la fortuna da sola precipita su sé stessa.
2. Il divino Augusto, cui gli dei dettero più onori che ad alcun altro, non cessò di pregare per sé il riposo e di chiedere 1'esonero dagli affari pubblici: ogni suo discorso sempre ricadde su questa aspirazione, di sperare cioè in un riposo appartato: falsa, anche se dolce, allietava le sue fatiche con questa consolazione, che sarebbe una buona volta vissuto per sé.
3. In una lettera inviata al Senato, dopo aver promesso che il suo riposo non sarebbe stato privo dell'autorevolezza che si addiceva alla sua persona, né discrepante dalla gloria precedente, ho trovato scritte queste parole: «Ma queste cose sono tali che è più splendido realizzarle che non prometterle. Tuttavia, l'aspirazione a questo periodo di vita da me desideratissimo tanto avanti mi ha portato, che io, ritardando ancora la gioia reale, qualche piacere pregusti della dolcezza che ne viene parlandone».
4. Il riposo appartato gli apparve cosa tanto grande, da pregustarla con il pensiero, poiché nella realtà non gli era possibile. Colui che tutto vedeva dipendere da sé solo, che assegnava la fortuna ad uomini e popolazioni, con letizia somma pensava a quel giorno in cui si sarebbe spogliato della sua grandezza! aveva esperimentato quanto sudore spremano quei beni che risplendono per tutte le terre, quante preoccupazioni nascoste coprano.
5. Con i concittadini prima, poi con i colleghi, infine con i parenti costretto a scontrarsi in armi, per mare e per terra sparse sangue. Tutt'intorno alla Macedonia, alla Sicilia, all'Egitto, alla Siria e all'Asia e per quasi tutte le spiagge lontane portato dalla guerra, a guerre esterne volse gli eserciti stanchi di stragi civili. Mentre pacificava le Alpi e completamente domava i nemici che si mescolavano in mezzo alla pace dell'impero, mentre cercava di portare i confini addirittura al di là del Reno e dell'Eufrate e del Danubio, a Roma invece le punte delle spade di Murena, di Cepione, di Lepido, di Egnazio, di altri venivano acuminate contro di lui.
6. Non era ancora sfuggito alle insidie di costoro: la figlia e tanti nobili giovani, portati all'adulterio come ad un giuramento, andavano terrorizzando la sua età ormai piegata, e Paolo ed una donna, motivo di nuova paura insieme ad un Antonio. Questi bubboni li aveva tagliati insieme alle membra: altri nascevano al loro posto; come appesantito da molto sangue, il corpo in qualche parte sempre si spaccava. Cosicché desiderava la vita appartata, nella cui speranza e nel cui pensiero le sue fatiche si placavano; questo era il voto di colui, che del voto loro era in grado di rendere soddisfatti gli uomini!

22/07/14

Quand'anche tutti gli ingegni che mai rifulsero fossero d'accordo... | Seneca

.............................. non volevi certo stare con un altro, ma non eri capace di stare con te stesso. [ qui ]

3, 1. Quand'anche tutti gli ingegni che mai rifulsero fossero d'accordo in questo proposito solo, mai si meraviglieranno abbastanza per questa caligine che offusca la mente degli uomini: i propri campi non sopportano che siano occupati da qualcuno, e se c'è una piccola controversia per il limite del territorio, corrono qua e là alla ricerca di pietre e di armi; invece, nella vita loro permettono che altri vi incedano, anzi, spontaneamente vi introducono anche coloro che sono tali da diventarne i possessori; non si trova nessuno che voglia dividere il proprio denaro: la vita, invece, ognuno fra quante persone la distribuisce! sono taccagni nel tenere stretto il proprio patrimonio: non appena si viene alla perdita del tempo, sono generosissimi nel dare la cosa, di cui sola è rispettabile l'avarizia.
2. Piace pertanto prendere qualcuno dalla folla dei vecchi e dire: «Che tu sia giunto al punto estremo della vita umana lo vediamo, il centesimo anno, e anche più, è premuto da te: orsù, richiama la tua vita a fare i conti! calcola quanto di questo tempo te lo ha sottratto il creditore, quanto 1'amante, quanto il patrono, quanto il cliente, quanto il contenzioso giudiziario con la moglie, quanto la repressione degli schiavi, quanto il correre per la città di qua e di là, incalzato dagli obblighi sociali; aggiungici le malattie, che ci provochiamo di nostra mano, aggiungici anche il tempo che giacque senza essere usato: vedrai che hai meno anni di quanti ne conti.
3. Richiama al tuo ricordo, quando mai tu sei stato costante nella tua decisione, quanto pochi giorni sono andati a finire come avevi destinato, quando per te ci sia stata disponibilità di te stesso, quando sia rimasto nel suo stato normale il tuo volto, quando intrepido l'animo, che cosa tu abbia compiuto concretamente in una età tanto lunga, quanti abbiano saccheggiato la vita tua senza che tu ti accorgessi che cosa perdessi, quanto l'inutile dolore, la stolta gioia, l'avido desiderio, il carezzevole rapporto umano te ne abbiano strappato via, quanto poca parte di te a te sia stata lasciata: ti accorgerai di morire immaturamente ».
4. Qual è dunque il motivo? voi vivete come essendovi stato assegnato di vivere sempre, mai vi viene in mente la vostra fragilità, non osservate quanto tempo è già trascorso; come da una quantità piena ed abbondante ne perdete, mentre frattanto, proprio quel giorno, che viene donato a qualche persona o a qualche affare, forse potrebbe essere l'ultimo. Ogni cosa come mortali la temete, ogni cosa come immortali la desiderate.
5. Sentirai molti che dicono:« A cinquanta anni mi ritirerò a vita privata, il sessantesimo anno mi congederò dagli uffici ». E chi, in fin dei conti, ricevi come garante di una vita tanto lunga? chi permetterà che questi fatti vadano come tu li disponi? non ti vergogni di riservare a te stesso gli avanzi della vita e di destinare alla saggezza solo quel tempo che non è possibile sia dedicato a nessuna azione pratica? quanto tardi è cominciare a vivere, quando bisogna smettere! che stolta dimenticanza della propria condizione mortale è a cinquanta o a sessanta anni rimandare le sane decisioni, e volere cominciare la vita da quel momento, cui pochi sono riusciti a condurla!

21/07/14

Tutto lo spazio che rimane non è vera vita, ma tempo | Seneca

.................così il nostro spazio di vita, per chi sa ben disporlo, molto si estende.[ qui ]

2,1. Perché ci lamentiamo della natura? lei si è comportata generosamente: la vita, se sai servirtene, è lunga. Ma uno lo possiede un'insaziabile avidità, un altro un affannarsi premuroso in fatiche inutili; uno è madido di vino, un altro è intorpidito dall'inerzia; uno lo sfianca l'ambizione, che è sospesa sempre a giudizi altrui, un altro il desiderio di commerciare per tutte le terre, per tutti i mari, lo conduce a capofitto con la speranza di lucro; certuni li tormenta il desiderio della vita militare, continuamente intenti agli altrui pericoli o ansiosi per i propri; ce ne sono alcuni, che l'ossequio senza risultati prestato ai potenti consuma in volontaria schiavitù;
2. molti, o l'aspirazione a raggiungere le fortune altrui o il lamento per la propria, li ha tenuti legati; moltissimi, che a nulla di certo tengono dietro, una leggerezza instabile ed incostante e scontenta di sé li ha sballottati per progetti sempre nuovi; a certuni non piace nulla verso cui dirigere la rotta, ma, snervati e sbadiglianti, il destino di morte li sorprende: cosicché ciò che è stato detto a mo' di oracolo presso il più grande dei poeti, io non dubito sia vero: «Piccola è la parte di vita in cui viviamo veramente». Tutto lo spazio che rimane non è vera vita, ma tempo.
3. Incalzano e stanno intorno i vizi da ogni parte, né permettono di rialzarsi o di elevare gli occhi per indagare dentro il vero, ma pesano addosso a chi è sommerso e confisso mirando al desiderio. Mai è loro lecito rifugiarsi in sé; ogni volta che qualche quiete capita loro casualmente, come nel mare profondo in cui c'è moto di onde anche dopo il vento, essi ondeggiano né mai per loro sta saldo il riposo dai desideri.
4. Tu credi che io parli di coloro i cui mali sono confessi? guarda quelli, al cui successo si corre in frotta: sono soffocati dai loro beni. A quante persone le ricchezze sono di peso! di quanti l'eloquenza e l'affaccendarsi ogni giorno per far mostra del proprio ingegno, tirano fuori il sangue! quanti sono pallidi per ininterrotti piaceri! a quanti non lascia alcun momento libero la folla dei clienti, che si accalca all'intorno! passa, infine, in rassegna costoro, dai più umili ai più potenti: questi chiede di essere assistito nel processo, questi assiste, quell'altro corre pericoli, quell' altro difende, quell' altro giudica, nessuno rivendica sé a sé stesso, chi si consuma per uno, chi per un altro. Poni domande a riguardo di costoro, i cui nomi vengono imparati a memoria; vedrai che sono differenziati da queste caratteristiche: quello è al seguito di quello, costui di quell'altro; nessuno appartiene a sé stesso.
5. Poi c'è la stoltissima indignazione di certuni: si lamentano della schizzinosità delle persone potenti, perché per loro, che volevano con quelle abboccarsi, non hanno avuto tempo! ha la sfrontatezza di lamentarsi per la superbia altrui qualcuno, che mai ha tempo per sé stesso? quello, purtuttavia, con volto sì burbanzoso, ma qualche volta si è volto a guardare te, chiunque tu sia; quello ha abbassato le sue orecchie, per ascoltare le parole tue; quello ti ha accolto al suo fianco: tu, di guardare qualche volta in te, di ascoltarti, mai ti sei degnato. Non mettere pertanto in conto a qualcuno cotesti tuoi uffici, dal momento che tu, quando li compivi, non volevi certo stare con un altro, ma non eri capace di stare con te stesso.

20/07/14

«La vita è breve, lunga l'arte» | Seneca

..........................se intenta ed assidua la cura non cinge tutto intorno l'animo vacillante. [ qui ]

LA BREVITA' DELLA VITA
1,1. La maggior parte dei mortali, o Paolino, in maniera concorde si lamenta dell'avarizia della natura, perché noi siamo generati per vivere un'età breve, perché gli spazi del tempo che ci è dato precipiterebbero giù tanto velocemente, in modo così travolgente che, eccettuati pochissimi, gli altri, proprio mentre si preparano a viverla, la vita li abbandonerebbe. Su questo male, generale come credono, non sono soliti piangere solo la massa ed il volgo inesperto; anche di personalità illustri questo turbamento ha chiamato fuori i lamenti. Di qui deriva quella chiara sentenza del più grande dei medici: «La vita è breve, lunga l'arte»;
2. di qui la lite, niente affatto conveniente ad un saggio, di Aristotele che fa i conti con la natura: «Aver essa generosamente concesso tanta vita agli animali, che la protraggono per cinque o per dieci generazioni; all'uomo, pur generato ad imprese così numerose e così grandi, essere fissato un limite tanto al di qua».
3. Non poco tempo noi abbiamo, ma moltone perdiamo. Una vita sufficientemente lunga e per portare a compimento le imprese più grandi, ci è stata data con abbondanza, se tutta fosse ben collocata a frutto; ma quando fluisce via nel lusso e nella noncuranza, quando non viene spesa per nessuna buona cosa, sotto la costrizione infine dell'ultima necessità, la vita, che non capimmo che procedeva, ci accorgiamo che è passata.
4. È così: non riceviamo una vita breve, ma breve la facciamo noi; non ne siamo poveri, ma prodighi. Come ricchezze grandi e degne di un re, venute in mano di un cattivo padrone, in un momento sono dissipate, mentre invece quelle quanto si voglia modeste, se sono state consegnate ad un buon custode, crescono con l'impiego: così il nostro spazio di vita, per chi sa ben disporlo, molto si estende.

19/07/14

Bisogna passeggiare all'aria aperta affinché, con liberi orizzonti e molta respirazione, l'animo si accresca e si rinfranchi | Seneca

........................tutti costoro, con poca spesa di tempo, trovarono il modo di diventare eterni e all'immortalità giunsero morendo. [ qui ]


17,1. Anche quella è non mediocre materia di preoccupazioni, se assumi con ansiosa cura atteggiamenti artefatti e non ti mostri a nessuno con schiettezza; e di questo tipo è la vita di molti, falsa, preparata per fame mostra: tormenta infatti la continua sorveglianza di sé e teme di essere sorpresa in atteggiamento diverso dal solito. Né mai ci sciogliamo dalla preoccupazione, quando crediamo di essere tante volte vagliati e soppesati quante volte siamo visti; capitano infatti molti casi che denudano noi contro voglia, e quand'anche ottenga buoni risultati una così grande cura di sé, tuttavia non piacevole né senza preoccupazioni è la vita di chi sempre vive sotto la maschera.
2. Invece, quanti  piaceri contiene in sé quella schiettezza sincera, e di per sé disadorna, nessun velo ponendo davanti al proprio carattere! tuttavia, anche questo modo di vita affronta il pericolo di essere tenuto in poco conto, se tutti gli aspetti a tutti sono aperti: c'è gente infatti che cura poco tutto ciò cui può accedere troppo da vicino. Ma né la virtù corre il pericolo di perdere valore se è portata davanti agli occhi, ed è meglio essere tenuti in poco conto per la propria schiettezza che essere tormentati da una continua finzione. Una giusta misura dobbiamo tuttavia usare in questa faccenda: c'è molta differenza fra il vivere con semplicità o con trascuratezza.
3. Molto bisogna anche ritirarsi in sé stessi: l'avere a che fare con gente diversa mette in confusione ciò che è stato messo in buon ordine, rinnova le passioni, e tutto ciò che nell'animo c'è di debole e di non perfettamente guarito lo esulcera. Bisogna mescolare tuttavia queste cose ed alternarle, la solitudine e la folla: l'una ci procurerà nostalgia della gente, l'altra nostalgia di noi stessi; l'una sarà rimedio dell'altra: il fastidio per la folla lo curerà la solitudine, la noia della solitudine la folla.
4. Né, d'altra parte, la mente deve essere sempre tenuta nella medesima tensione con uguale ritmo, ma occorre chiamarla giù al divertimento. Socrate non arrossiva di giocare con i figlioletti e Catone" rilassava con il vino l'animo affaticato dalle pubbliche cure; Scìpione, quel suo corpo che conosceva i trionfi ed il servizio militare, lo muoveva secondo il ritmo, non spezzandosi con movimenti molli, come ora è costume per coloro che anche con la studiata andatura sono snervati al di là della femminile mollezza, ma come solevano quegli uomini antichi, nel divertimento dei giorni di festa, danzare in tre tempi, in modo virile, senza correre il pericolo di perdere la dignità, anche se fossero stati visti dai loro nemici.
5. Bisogna concedere agli animi una tregua: migliori e più pronti si alzeranno, una volta che si saranno riposati. Come ai campi fertili non bisogna dare comandi duri (presto li esaurirà una fecondità mai sospesa), così una fatica continua romperà gli impeti dell' animo; riprenderanno le forze, se sono per un po' lasciati liberi e a riposo: nasce dall'assiduità delle fatiche un certo ottundimento e languore dell'animo.
6. Né a questo riposo tenderebbe un desiderio tanto grande degli animi, se non avessero in sé un naturale piacere il divertimento ed il gioco. Un loro uso troppo frequente strapperà agli animi ogni capacità di più elevate occupazioni ed ogni forza; infatti, anche il sonno è necessario per riprendere vigore, ma se lo continuerai giorno e notte, sarà la morte. C'è molta differenza fra l'allentare le briglie ed il lasciarle andare del tutto.
7. I legislatori stabilirono giorni di festa, perché all'allegria gli uomini fossero costretti dalla volontà dello Stato, quasi interponendo alle fatiche un necessario temperamento. Inoltre, come ho detto, grandi uomini si assegnavano ferie mensili in giorni determinati, certuni dividevano ogni giornata fra ozio ed impegni: fra costoro, come ricordiamo noi, ci fu Asinio Pollione, il grande oratore, che nessuna cosa trattenne al lavoro dopo le sedici; neppure le lettere, dopo quell'ora, leggeva, affinché non nascesse nessun nuovo impegno, ma in quelle due ore deponeva la stanchezza di tutta la giornata. Certuni staccarono a metà della giornata e rimandarono alle ore del pomeriggio qualche compito meno importante. Anche i nostri antichi vietavano che in Senato si mettesse, dopo le sedici, qualche nuovo problema all'ordine del giorno, il soldato divide i turni di guardia e la notte è senza compiti di servizio per coloro che tornano dalle sortite.
8. Occorre indulgere alI'animo e concedere di volta in volta riposo, che valga come alimento e mezzo per ottenere forze. Inoltre, bisogna passeggiare all'aria aperta affinché, con liberi orizzonti e molta respirazione, l'animo si accresca e si rinfranchi; a volte, una passeggiata in carrozza o a piedi ed il cambiamento di ambiente daranno vigore ed il mangiare in compagnia ed il bere più abbondantemente del solito. A volte, bisogna spingersi anche fino all'ebrezza, non a ché ci sommerga, ma a ché ci tolga
vigore: scioglie infatti le preoccupazioni e dal profondo muove l'animo, e, come cura certe malattie, così cura la malinconia. Libero fu detto' non per la sfrontatezza di linguaggio l'inventore del vino, ma perché libera l'animo dalla schiavitù dalle preoccupazioni, lo fa indipendente, gli dà vigore e lo fa più audace verso ogni tentativo.
9. Ma così della libertà di parola come del vino, salubre è la giusta misura. Che Solone ed Arcesila" abbiano inclinato al vino, lo credono; a Catone fu rinfacciata l'ubriachezza, ma chiunque gliela rinfacciò, più facilmente renderà rispettabile l'accusa rivolta, che non turpe Catone. Ma non bisogna farlo spesso, a ché l'animo non assorba cattive abitudini, e tuttavia qualche volta bisogna trarlo fuori fino ad uno stato di vivacità e di libertà, e per un po' va allontanata la sobrietà aggrottata.
10. Sia infatti che crediamo al poeta greco: «A volte anche fare pazzie è piacevole», sia a Platone: «Invano batte alle porte della poesia chi è padrone di sé», sia ad Aristotele: «Non ci fu grande ingegno senza mescolanza di pazzia»: nulla di grande e di superiore agli altri è in grado di dire una mente, se non concitata.
11 Quando ciò che è solito ed usuale lo ha disprezzato, e per divina istigazione è balzata più in alto, solo allora ha cantato qualche cosa di più grande che non con bocca mortale. Non è in grado di toccare alcunché di elevato e di posto in ardua posizione, finché è in sé: bisogna che si allontani da ciò che è usuale e che sia portata fuori e che morda i freni e che trascini via il suo auriga e lo porti là, dove, da solo, avrebbe avuto timore di salire.
12. Hai i precetti, o carissimo Sereno, che sono in grado di custodire la tranquillità, di ristabilirla, di resistere ai vizi che si avvicinano strisciando: sappi tuttavia per certo che nessuno di questi precetti è sufficientemente forte per chi faccia la guardia ad una cosa debole, se intenta ed assidua la cura non cinge tutto intorno l'animo vacillante.

18/07/14

l'animo viene spinto nella notte e, come se fossero state sconvolte dalle fondamenta le virtù e le tenebre sorgono di fronte.| Seneca

.............. ti consegneremo al ricordo di ogni tempo, o illustrissimo uomo, della catastrofe Gaiana parte grande! [qui]

15, 1. Ma nulla giova aver gettato via i motivi della propria personale tristezza: ci prende infatti, a volte, l'odio per il genere umano. Quando avrai pensato quanto rara sia la schiettezza, quanto sconosciuto il non fare il male, e come difficilmente si riesca a trovare la lealtà, se non quando è utile e quando ti si presenterà il gran numero di tanti delitti fortunati, i guadagni e le perdite del piacere, ugualmente odiosi, e l'ambizione che a tal punto già non si contiene nei limiti che le competono, da risplendere attraverso la sua vergogna: l'animo viene spinto nella notte e, come se fossero state sconvolte dalle fondamenta le virtù (che né è lecito sperare, né è utile avere) le tenebre sorgono di fronte.
2. Bisogna pertanto che a questo noi ci pieghiamo, in modo che tutti i difetti della gente non odiosi ci appaiano, ma ridicoli, ed imitiamo Democrito piuttosto che Eraclito. Costui, infatti, ogni volta che usciva in pubblico, piangeva, l'altro invece rideva; a costui, tutto ciò che facciamo, appariva come infelicità, all'altro, come sciocchezze. Bisogna dunque alleggerire l'importanza di ogni cosa e sopportarla con animo disponibile: meglio si adatta all'uomo farsi una risata della vita, piuttosto che compiangerla.
3. Aggiungi che meglio merita del genere umano chi ne ride, che non chi ne piange: l'uno lascia pur anche qualche speranza, l'altro non fa che piangere stupidamente ciò che dispera possa essere corretto; inoltre, per chi guarda le cose in tutto il loro insieme, ha più coraggio chi non sa trattenere il riso, che non chi non sa trattenere le lacrime, dato che mette in movimento la passione più placida, e di questo grande apparato nulla grande, nulla serio e neppure misero considera.
4. I singoli motivi per i quali siamo lieti e tristi, ciascuno li ponga davanti a sé, e saprà che è vero quanto ha detto Bione: tutte le faccende degli uomini sono simili agli inizi, la loro vita non è più santa né più severa dell'atto del loro concepimento, sono ridotti al nulla i nati dal nulla.
5. Ma è meglio accogliere placidamente i pubblici costumi e gli umani vizi, senza cadere nel riso né nelle lacrime; tormentarsi per i mali altrui è infatti motivo di afflizione che dura per tutta la vita, allietarsi dei mali altrui è un piacere disumano, così come è inutile manifestazione di umanità piangere perché qualcuno porta a seppellire il figlio ed atteggiare la propria fronte in modo adatto.
6. Anche nei propri mali bisogna comportarsi in modo da concedere al dolore quanto esso richiede, non quanto richiede la consuetudine; moltissimi effondono lacrime per mostrarle ed hanno gli occhi asciutti ogni volta che manca lo spettatore, giudicando vergognoso non piangere quando lo fanno tutti: a tal punto si è conficcato nel profondo questo male (dipendere cioè dalla credenza altrui), che finisce per essere simulato anche il sentimento più schietto, il dolore.

16, 1. Segue la parte che non a torto suole rattristare e condurre alla preoccupazione. Quando cattiva è la fine dei buoni, quando Socrate viene costretto a morire in carcere, Rutilio a vivere in esilio, Pompeo e Cicerone ad offrire il collo ai loro clienti, quel Catone, immagine vivente delle virtù, gettandosi sulla spada, a dare pubblica testimonianza sulle condizioni sue e dello Stato, necessariamente ci si tormenta, perché la fortuna paga premi tanto ingiusti. Che si aspetterà per sé ciascuno, quando vede che le persone migliori subiscono le sorti peggiori?
2. e che dunque? guarda come ciascuno di loro lo abbia sopportato e, se furono forti, sentine la nostalgia con la stessa forza dell'animo loro; se invece morirono in modo muliebre ed ignavo, nulla è andato perduto: o sono degni che la loro virtù ti soddisfi o indegni che della loro ignavia si senta nostalgia. Che c'è di più turpe, se gli uomini più grandi con la loro morte coraggiosa rendono gli altri vili?
3. Lodiamo chi è tante volte degno di lode e diciamo: «Tanto più forte, tanto più felice! sei sfuggito a tutte le vicende, al livore dell'invidia, alla malattia; sei uscito dal carcere: agli dei non apparisti degni di una cattiva fortuna, ma indegno che ormai contro di te la fortuna avesse qualche potere». A chi cerca di sottrarsi, a chi proprio nella morte si volge a guardare la vita, bisogna mettere addosso le mani!
 4. Non piangerò nessuno che sia lieto, nessuno che pianga: l'uno ha asciugato lui le mie lacrime, l'altro, con le lacrime sue, fece in modo di non esserne degno di alcuna. Dovrei io piangere Ercole, perché viene bruciato vivo, oppure Regolo perché viene trafitto da tanti chiodi, oppure Catone perché ferisce le sue stesse ferite? tutti costoro, con poca spesa di tempo, trovarono il modo di diventare eterni e all'immortalità giunsero morendo.

17/07/14

Questo è il motivo per cui diciamo che al saggio nulla può capitare contro l'aspettativa | Seneca

....... il venire a sapere tante cose, che né con piena sicurezza si raccontano né con piena tranquillità si ascoltano. [ qui ]

13, 1. Penso che, attenendosi a questo concetto, Democrito abbia cominciato così: «Chi vorrà vivere tranquillamente, né privatamente tratti molte cose né pubblicamente », riferendosi con evidenza alle cose inutili: infatti, se sono necessarie, sia privatamente che pubblicamente le cose da trattare non solo sono molte, ma innumerevoli; ma quando nessun dovere ordinario ci chiama, bisogna mettere un freno all'agire.
2. Chi fa molte cose, spesso dà infatti potere su sé stesso alla for- . tuna, che cosa sicurissima è l'esperimentarla raramente, e pensare, invece, sempre ad essa, senza nulla promettersi della sua lealtà: «Navigherò, se non mi capiterà nulla» e «Diventerò pretore, se non ci sarà qualche ostacolo » e «L'affare risponderà alle mie aspettative, se non interverrà qualche cosa».
3. Questo è il motivo per cui diciamo che al saggio nulla può capitare contro l'aspettativa: noi non lo abbiamo sottratto alle vicende umane, ma agli errori, né a lui tutto riesce come ha voluto, ma come ha pensato; ed in primo luogo ha pensato che qualche cosa era in grado di opporre resistenza ai suoi propositi. Necessariamente all'animo giunge con leggerezza maggiore il dolore di un desiderio fallito, se tu il successo non glielo hai promesso in ogni modo.

14, 1. Anche duttili è necessario che noi ci rendiamo (in modo da non essere troppo affezionati a ciò che è stato progettato, da saper passare a ciò cui il caso ci avrà condotto, da non aver paura grandissima del cambiamento o del piano o della condizione), a patto però che non finisca con 1'acchiapparci la mobilità di carattere, difetto ostilissimo alla quiete. Infatti, necessariamente, da una parte l'eccessivo attaccamento è ansioso ed infelice (dato che la fortuna gli strappa spesso qualche cosa) e dall'altra molto più grave è la mobilità di carattere, che in nessun luogo sa contenersi. Entrambe le condizioni sono ostili alla tranquillità, il non essere in grado di cambiare nulla ed il non tollerare nulla.
2. Soprattutto, l'animo da tutte le cose esterne deve essere richiamato in sé; confidi in sé, goda in sé, ammiri ciò che è suo, si allontani quanto gli è possibile da ciò che è estraneo e si applichi a sé stesso, non percepisca le perdite, anche ciò che è contrario lo interpreti con generosità.
3. All'annuncio di un naufragio, il nostro Zenone, sentendo che tutto quanto gli apparteneva era affondato, disse: «La fortuna comanda che io faccia filosofia con minori impedimenti». Al filosofo Teodoro, il tiranno minacciava la morte, e per di più senza sepoltura; egli gli disse: «Hai motivo per essere contento di te: hai in tuo potere un mezzo litro di sangue; quanto alla sepoltura, sciocco tu sei se credi che mi interessi se imputridisca sopra o sotto terra».
4. Giulio Cano, uomo grande più di ogni altro, all'ammirazione per il quale non è di ostacolo neppure il fatto di essere nato nel nostro tempo, dopo aver litigato a lungo con Gaio, dopo che quel Palarìde-' gli disse mentre se ne andava: «A ché per caso tu non ti compiaccia con una vana speranza, ho dato ordine che tu sia condotto al supplizio», rispose: «Ti ringrazio, ottimo principe».
5. Quale sia stato il suo pensiero, io non lo so bene; mi si presentano infatti molte ipotesi: volle essere offensivo e mostrare quanto grande crudeltà fosse quella in cui la morte era un beneficio? oppure gli rimproverò la pazzia quotidiana degli altri (ringraziavano infatti anche coloro i cui figli erano stati uccisi ed i cui beni erano stati portati via); oppure, come fosse una liberazione, accolse volentieri l'ordine? comunque sia, rispose con animo grande.
6. Qualcuno dirà: «Era possibile che, dopo questo, Gaio comandasse che egli vivesse». Non lo temette Cano: era nota la lealtà di Gaio in tali comandi. Credi che egli trascorresse senza alcun impegno i dieci giorniè che lo separavano dal supplizio? sono incredibili le parole che disse, i fatti che compì, quanto tranquillamente se ne stette.
7. Giocava a dama, quand'ecco che il centurione, che si tirava dietro la schiera dei condannati a morte, comandò che anche lui fosse fatto venire. Chiamato, contò le pedine e disse al suo compagno: «Guarda di non mentire dopo la mia morte, dicendo di aver vinto»; poi, facendo cenno con il capo al centurione, gli disse: «Mi sarai testimone che io vinco per una pedina». Tu credi che con quella tavola Cano ci abbia giocato? ci giocò alludendo.
8. Tristi erano gli amici perché stavano per perdere un uomo come lui; egli disse: «Perché ve ne state in lacrime? voi ponete il problema se le anime siano immortali: io lo saprò presto». E non cessò di scrutare la verità, persino nel momento della fine, e di fare una ricerca anche a riguardo della sua morte.
9. Lo accompagnava il suo filosofo, e non era ormai lontano il tumulo, su cui ogni giorno si faceva sacrificio a Cesare, dio nostro; questi gli disse: «A che pensi ora, o Cano? o che volontà hai?»; egli rispose: «Mi sono proposto di stare all'erta in quel momento velocissimo, per vedere se l'animo avrà la percezione di uscire». E promise che, se avesse esplorato qualche cosa, avrebbe fatto il giro degli amici ed avrebbe indicato quale fosse la condizione delle anime.
10. Ecco in mezzo alla tempesta la bonaccia, ecco un animo degno dell' eternità, che chiama la sua morte a prova della verità, che, posto in quella posizione finale, fa domande all'anima mentre se ne esce, che non solo impara fino alla morte qualche cosa, ma anche dalla morte: nessuno filosofo più a lungo. Non sarà precipitosamente lasciato da parte quell'uomo grande e di cui si deve parlare con cura; ti consegneremo al ricordo di ogni tempo, o illustrissimo uomo, della catastrofe Gaiana parte grande!

16/07/14

...fare in modo che la fatica inutile non sia senza risultati, oppure che il risultato non sia indegno della fatica. | Seneca

.................. dai forze contro di te alle situazioni avverse, che riesce sempre a spezzare chi le ha viste prima.[ qui ]

12, 1. Subito dopo questi comportamenti, vi sarà il non affaticarsi in fatti inutili o inutilmente, cioè il non desiderare ardentemente ciò che non siamo in grado di conseguire, oppure, una volta conseguito, comprendere tardi la vanità dei nostri desideri, dopo molta vergogna, cioè fare in modo che la fatica inutile non sia senza risultati, oppure che il risultato non sia indegno della fatica. Di solito, da questi fatti, tiene dietro il malcontento, se non c'è stato risultato, oppure se del risultato si ha vergogna.
2. Bisogna tagliare tutto intorno il correre di qua e di là, come fa gran parte della gente, che vaga senza meta per case e teatri e piazze: si offrono per affari altrui, simili a persone sempre occupate. Se interrogherai qualcuno di costoro mentre esce di casa: «Dove vai? a che pensi?», ti risponderà: «Non lo so, vivaddio; ma vedrò gente, qualche cosa farò».
3. Senza un proposito vagano cercando affari, e non fanno ciò che si erano proposti, ma ciò in cui si sono imbattuti; irrazionale e vano è il loro correre come le formiche, che strisciano su per gli alberi, si portano sulla cima e di qui in basso, senza averne alcun bottino: moltissimi conducono una vita simile a queste, per le quali, giustamente, si potrebbe parlare di inerzia inquieta.
4. Di certuni avrai pietà, come se corressero ad un incendio: a tal punto spingono quelli che si parano loro davanti, fanno cadere sé stessi e gli altri, mentre intanto si sono messi a correre per portare il saluto a qualcuno, che al loro saluto certo non risponderà; per accompagnare il funerale di qualche sconosciuto; per recarsi al processo di qualcuno che litiga spesso o alle nozze di qualcuno che si sposa spesso, e, dopo aver tenuto dietro alla lettiga, in certi posti sono soliti portarla anche; poi, tornando a casa con la loro inutile stanchezza, giurano di non sapere neppure loro perché sono usciti, dove sono stati, ma pur sono decisi a vagabondare il giorno dopo per le medesime tracce.
5. Ogni fatica sia pertanto riferita a qualche scopo, abbia qualche prospettiva! non l'operosità li tiene in movimento, ma, come pazzi, false apparenze li mettono in agitazione. Neppure questi si muovono infatti senza qualche speranza: li attira l'apparenza di qualche cosa, la cui vanità la loro mente posseduta non riesce a rendere chiara.
6. Allo stesso modo, ognuno di quelli che escono di casa per accrescere la folla, motivi vuoti e leggeri lo conducono in giro per la città; senza che abbia nulla per cui darsi da fare, il sorgere del sole lo caccia di casa, e dopo che, venuto invano a sbattere contro la soglia di molti, ha salutato con ogni regola i nomenclatori, pur non ammesso alla presenza di molti, con nessuno riesce ad abboccarsi più difficilmente che in casa sua con sé stesso.
7. Da questo male dipende quel difetto sconcissimo, il tendere l'orecchio e l'indagare sui fatti pubblici e su quelli segreti, il venire a sapere tante cose, che né con piena sicurezza si raccontano né con piena tranquillità si ascoltano.
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