18/07/14

l'animo viene spinto nella notte e, come se fossero state sconvolte dalle fondamenta le virtù e le tenebre sorgono di fronte.| Seneca

.............. ti consegneremo al ricordo di ogni tempo, o illustrissimo uomo, della catastrofe Gaiana parte grande! [qui]

15, 1. Ma nulla giova aver gettato via i motivi della propria personale tristezza: ci prende infatti, a volte, l'odio per il genere umano. Quando avrai pensato quanto rara sia la schiettezza, quanto sconosciuto il non fare il male, e come difficilmente si riesca a trovare la lealtà, se non quando è utile e quando ti si presenterà il gran numero di tanti delitti fortunati, i guadagni e le perdite del piacere, ugualmente odiosi, e l'ambizione che a tal punto già non si contiene nei limiti che le competono, da risplendere attraverso la sua vergogna: l'animo viene spinto nella notte e, come se fossero state sconvolte dalle fondamenta le virtù (che né è lecito sperare, né è utile avere) le tenebre sorgono di fronte.
2. Bisogna pertanto che a questo noi ci pieghiamo, in modo che tutti i difetti della gente non odiosi ci appaiano, ma ridicoli, ed imitiamo Democrito piuttosto che Eraclito. Costui, infatti, ogni volta che usciva in pubblico, piangeva, l'altro invece rideva; a costui, tutto ciò che facciamo, appariva come infelicità, all'altro, come sciocchezze. Bisogna dunque alleggerire l'importanza di ogni cosa e sopportarla con animo disponibile: meglio si adatta all'uomo farsi una risata della vita, piuttosto che compiangerla.
3. Aggiungi che meglio merita del genere umano chi ne ride, che non chi ne piange: l'uno lascia pur anche qualche speranza, l'altro non fa che piangere stupidamente ciò che dispera possa essere corretto; inoltre, per chi guarda le cose in tutto il loro insieme, ha più coraggio chi non sa trattenere il riso, che non chi non sa trattenere le lacrime, dato che mette in movimento la passione più placida, e di questo grande apparato nulla grande, nulla serio e neppure misero considera.
4. I singoli motivi per i quali siamo lieti e tristi, ciascuno li ponga davanti a sé, e saprà che è vero quanto ha detto Bione: tutte le faccende degli uomini sono simili agli inizi, la loro vita non è più santa né più severa dell'atto del loro concepimento, sono ridotti al nulla i nati dal nulla.
5. Ma è meglio accogliere placidamente i pubblici costumi e gli umani vizi, senza cadere nel riso né nelle lacrime; tormentarsi per i mali altrui è infatti motivo di afflizione che dura per tutta la vita, allietarsi dei mali altrui è un piacere disumano, così come è inutile manifestazione di umanità piangere perché qualcuno porta a seppellire il figlio ed atteggiare la propria fronte in modo adatto.
6. Anche nei propri mali bisogna comportarsi in modo da concedere al dolore quanto esso richiede, non quanto richiede la consuetudine; moltissimi effondono lacrime per mostrarle ed hanno gli occhi asciutti ogni volta che manca lo spettatore, giudicando vergognoso non piangere quando lo fanno tutti: a tal punto si è conficcato nel profondo questo male (dipendere cioè dalla credenza altrui), che finisce per essere simulato anche il sentimento più schietto, il dolore.

16, 1. Segue la parte che non a torto suole rattristare e condurre alla preoccupazione. Quando cattiva è la fine dei buoni, quando Socrate viene costretto a morire in carcere, Rutilio a vivere in esilio, Pompeo e Cicerone ad offrire il collo ai loro clienti, quel Catone, immagine vivente delle virtù, gettandosi sulla spada, a dare pubblica testimonianza sulle condizioni sue e dello Stato, necessariamente ci si tormenta, perché la fortuna paga premi tanto ingiusti. Che si aspetterà per sé ciascuno, quando vede che le persone migliori subiscono le sorti peggiori?
2. e che dunque? guarda come ciascuno di loro lo abbia sopportato e, se furono forti, sentine la nostalgia con la stessa forza dell'animo loro; se invece morirono in modo muliebre ed ignavo, nulla è andato perduto: o sono degni che la loro virtù ti soddisfi o indegni che della loro ignavia si senta nostalgia. Che c'è di più turpe, se gli uomini più grandi con la loro morte coraggiosa rendono gli altri vili?
3. Lodiamo chi è tante volte degno di lode e diciamo: «Tanto più forte, tanto più felice! sei sfuggito a tutte le vicende, al livore dell'invidia, alla malattia; sei uscito dal carcere: agli dei non apparisti degni di una cattiva fortuna, ma indegno che ormai contro di te la fortuna avesse qualche potere». A chi cerca di sottrarsi, a chi proprio nella morte si volge a guardare la vita, bisogna mettere addosso le mani!
 4. Non piangerò nessuno che sia lieto, nessuno che pianga: l'uno ha asciugato lui le mie lacrime, l'altro, con le lacrime sue, fece in modo di non esserne degno di alcuna. Dovrei io piangere Ercole, perché viene bruciato vivo, oppure Regolo perché viene trafitto da tanti chiodi, oppure Catone perché ferisce le sue stesse ferite? tutti costoro, con poca spesa di tempo, trovarono il modo di diventare eterni e all'immortalità giunsero morendo.

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