Il-Trafiletto
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19/11/14

Sono gli opposti a smuovere in modo potente la nostra mente | L'Alchimia

..........ripetuti sforzi personali, osservazioni e visioni individuali per raggiungere la trasformazione.[Qui]

DUETTI IN CONFLITTO, TRII ARMONICI
Un altro parallelo fra alchimia e musica barocca riguarda la generazione di coppie conflittuali di opposti. Una delle innovazioni radicali della musica barocca fu l'impiego deliberato di acuti contrasti tonali in successione, per accrescere la tensione e innalzare la drammaticità di un testo. Spesso questi contrasti sono piuttosto violenti e ricorrono in una sequenza musicale molto breve, cosicché, per esempio, nel coro di un pezzo di musica sacra si possono udire le voci congiungersi in pochi accordi dolcemente polifonici, per poi mutare improvvisamente in un passaggio vivace. Per l'epoca questo dovette essere alquanto provocatorio, ma indubbiamente molto stimolante. Nell'alchimia, le prime fasi del processo sono contrassegnate da una scissione violenta della Materia Prima in due parti, che liberano così le polarità dinamiche racchiuse al suo interno.

Questa fase è spesso dipinta come una battaglia, un duello fra una coppia di uomini, cani o draghi. Questa energia può successivamente venire utilizzata per attivare la trasformazione alchimistica; per giungere ad una soluzione finale e alla trasformazione, bisogna dunque provocare un conflitto.
«Ero consapevole del fatto che sono gli opposti a smuovere in modo potente la nostra mente, e... questo è il traguardo che tutta la buona musica si dovrebbe porre»: così scrisse Monteverdi nel tentativo di descrivere la sua ricerca di una forma musicale adatta a rappresentare la conflittualità, una ricerca a cui «[si] dedicò con non poca diligenza e impegno».

Questo ci conduce alla prossima corrispondenza, spostandoci da un concetto base di dualità a quello delle tre forze che possono essere viste come un consolidamento sia della composizione musicale sia del processo alchimistico. In musica esse corrispondono a tre «modi» di espressione; in alchimia esse sono il sale, il mercurio e lo zolfo, ossia corpo, anima e spirito. Questa triade fondamentale non è esclusiva dell'alchimia, ma si ritrova, con nomi diversi, nella Kabbalah, nella filosofia platonica e naturalmente nella dottrina cristiana della Trinità. Lavorare in modo attivo con la triade, però, piuttosto che limitarsi al riconoscimento della sua esistenza, è un'accentuazione propria dell'alchimia e questo processo di attività con le tre forze può servirei, a mio parere, a cogliere altri dati per interpretare la musica barocca. Fu Monteverdi ad innovare e stabilire questo principio musicale di una triplice possibilità di espressione:
«Ho riflettuto sul fatto che le principali passioni o affezioni della nostra mente sono tre, cioè ira, moderazione e umiltà o supplica: I migliori filosofi sostengono questa veduta e la natura stessa della nostra voce ce lo dimostra con i suoi registri alto, medio e basso. L'arte della musica si riferisce a questi tre termini quando parla di "concitato", "molle" e "temperato". In tutte le opere dei precedenti compositori ho scovato degli esempi dello stile "molle" e "temperato", ma mai di quello "concitato"».

Monteverdi iniziò pertanto a lavorare alla creazione di un modo che rappresentasse musicalmente la guerra, come si è detto sopra. Fondamentalmente, lo stile da lui elaborato, e denominato «concitato», consiste di note velocemente ripetute centrate su una vibrazione regolare, ma adattata al ritmo e al senso delle parole del canto. È possibile che questa triade in dinamica cooperazione possa essere alla base delle composizioni musicali del tempo molto più di quanto finora non ci si sia resi conto. Monteverdi, data la sua formazione platonica e alchirnistica, potrebbe aver considerato questa triplicità non solo come un terzetto di emozioni che richiedono di venire espresse, ma come un modo di descrivere le tre forze fondamentali della creazione in termini umani. Michael Maier, nelle sue fughe alchimistiche, fece proprio questo e ricorse al mito classico di Atlanta, la vergine veloce nella corsa, per personificare il mercurio, lo zolfo e il sale rispettivamente in Atlanta, Ippomene e la mela d'oro.

Le tre voci qui si rincorrono in alternanza; le loro parti sono strutturate a simboleggiare l'individualità delle loro nature, mentre le armonie e le progressioni musicali rappresentano i mutamenti che intervengono nei loro reciproci rapporti. Sia la prefazione stessa di Maier alla sua opera, sia l'analisi di chi l'ha edita non lasciano dubbi in merito al fatto che intendesse dipingere un ritratto il più dinamico possibile della triade esistente nell'alchimia, volgendo in musica reale il mercurio filosofico, l'infuocato zolfo e lo statico sale. Fino ad ora si è visto che le tre forze creative dell'alchimia possono essere musicalmente strutturate sia in termini di armonia sia di registri stilistici di espressione. E altresì possibile che siano stati utilizzati per fornire alla musica un modello base funzionale, in cui ogni parte della triplicità riceve a tempo debito rilievo. Se si considerano certe composizioni sotto questa luce, si aprono nuove vie interpretative.

Si prenda, ad esempio, il Lamento d'Arianna, scritto nel 1608. Si tratta di un prolungato lamento solistico; era il pezzo culminante di un'opera completa di Monteverdi basata sul mito di Teseo e Arianna, all'epoca ritenuta un capolavoro, ma oggi, purtroppo, completamente perduta. Il lamento è basato su una successione complessa delle emozioni provate da Arianna nel momento in cui viene abbandonata, e al sentimento misto di odio e amore che ella prova per Teseo. Se questo pezzo viene suddiviso in tre sezioni, si scoprirà immediatamente che il registro dominante di ciascuna sezione si accorda alla triplicità di «molle», «concitato» e «moderato».

Nella prima sezione Arianna chiede alternativamente di poter morire e che Teseo faccia ritorno da lei; questo è il registro «molle», della supplica, della forza d'amore. Nella seconda, il suo rancore e la sua ira prendono il sopravvento; invoca la tempesta e gli uragani, perché vadano a distruggere Teseo che viaggia alla volta di casa. Qui è proprio lo stile «concitato », sia nel tema che nella traduzione musicale. Infine Arianna entra nello stato di «moderato»; il suo dolore persiste, ma si riconcilia con la dignità della sua sorte, si congeda dai suoi genitori e dalla sua patria.

Il suo destino, dice, è quello di una persona che ha troppo amato e che ha concesso troppa fiducia. Se usiamo questa triade per farci guidare nell'ascolto e nella comprensione di questo meraviglioso, difficile e lungo pezzo, avremo una notevole chiave interpretativa, una guida sia per il cantante sia per l'ascoltatore. Questo è anche un modo per strutturare il lamento come una tragedia in miniatura completamente autonoma (all'epoca era, di fatto, considerata tale), che aveva la sua conclusione nel registro moderato, con una specie di risoluzione e riconciliazione finale.


18/11/14

Lascia che la natura ti guidi e con la tua arte Seguila da vicino | L'Alchimia

........... Ermete Trismegisto e delle dieci profetesse Sibille.[Qui]

MUSICA E NATURA
"Lascia che la natura ti guidi, e con la tua arte Seguila da vicino.
Senza di lei cadrai in errore.
Lascia che la ragione sia la tua staffa;
l'esperienza dia Potere al1a tua capacità di vedere, che tu possa vedere lontano.
Lascia che la tua lettura sia la tua lampada, che scaccia le tenebre,
Che tu possa guardarti dalla moltitudine di cose e parole".

(Epigramma 42 in Michael Maier, Atlanta Fugiens)

Passiamo ora ad esaminare in modo più dettagliato le concezioni alchimistiche così come appaiono nella musica barocca. Alcune possono essere raccolte direttamente dalla tradizione alchimistica, mentre è corretto dire che altre potrebbero essere la derivazione di una sintesi di astrologia, alchimia, Kabbalah e neoplatonismo. In ogni caso ci sono molti paralleli e sovrapposizioni fra queste t.radizioni, che attingevano continuamente l'una dall'altra. Ci troviamo su una di quelle soglie mai chiaramente marcate, il punto in cui l'esoterico diventa essoterico, nel tentativo di ricostruire quella connessione e ridare così energia alla nostra comprensione e al nostro apprezzamento di quella musica. Prima di tutto, l'alchimia e la musica barocca enfatizzano il ruolo della Natura come principio-guida, come maestra di cui bisognava comprendere le vie, che andava imitata e trasformata per mezzo dell'arte.

La parola «naturale» ricorre frequentemente negli scritti della Camerata Fiorentina. I suoi membri capivano che l'artificio in musica aveva preso il posto dell'approccio naturale. Essi miravano a creare una musica che suonasse naturale e spontanea, tuttavia di grande raffinatezza e sottigliezza, dotata della capacità di impressionare l'ascoltatore e di evocare le «armonie celesti» in una cornice terrestre. La voce dell'uomo era la pietra di paragone per ciò che era naturale ed istintivo, la Materia Prima dell'alchimia musicale. In termini pratici ciò si traduceva nel porre un' enfasi sulla voce solista, per tramite della quale comunicare in modo adeguato parole ed espressioni ed evitando gli estremi dei toni alti e della dinamica - il cantante, disse Caccini, dovrebbe «impostare la sua voce su toni così alti quanto sono quelli a cui può giungere la sua voce naturalmente » - e l'aggiunta di abbellimenti solo quando necessario per ingentilire la musica, piuttosto che mostrarsi un'esibizione del virtuosismo dell' esecutore.

Una citazione dal famoso manoscritto alchimistico miniato Splendor Solis riecheggia questo approccio: . "L'arte segue un altro modo di procedere nell'opera, con intenti diversi da quelli della Natura, perciò l'Arte usa anche strumenti e mezzi differenti. Per quel motivo l'Arte è in grado di produrre cose straordinarie dai suddetti principi naturali, tali quali la Natura stessa non sarebbe in grado di produrre». Monteverdi ritenne inoltre importante andare alla ricerca dell' elemento naturale e trasformarlo in musica di grande potenza e raffinatezza.

Come gli alchimisti, egli credette fermamente che la ricerca e io studio degli antichi maestri potesse servire ad ottenere degli indizi, ma che il passo successivo dovesse consistere nell'elaborazione autonoma di una propria soluzione. In una lettera scritta nel 1633, Monteverdi dice di aver cercato «un modo di imitazione naturale», ma che quando stava componendo il suo Lamento di Arianna (uno dei pezzi più famosi e intensi) «nessun libro fu in grado di mostrare ... neppure uno che riuscisse a spiegare come dovessi fare ad imitare ... Scoprii (lasciate che ve lo dica) quanto duramente dovessi lavorare per poter ottenere quel poco che avevo fatto sulla strada dell'imitazione». Comunque, in una lettera successiva scritta nel febbraio 1634, riconosce che aveva trovato un certo aiuto dalla conoscenza dei «principi dei migliori filosofi che hanno studiato la natura»."

La ricerca dell'antica saggezza, il sapere perduto e dimenticato, la materia disprezzata, il lavoro intensivo condotto sulla base delle proprie osservazioni, fino a raggiungere spesso il punto di rottura: questi furono i modi in cui l'alchimista e il compositore barocco si impegnarono intensamente per liberare le potenti forze della natura e dare avvio al processo di creazione. Nella sua descrizione della Camerata Fiorentina, Pietro de' Bardi ricorda come suo padre si dedicò alla ricerca in collaborazione con Vincenzo Galilei, uno dei fondatori della Camerata e padre del famoso astronomo Calileo Galilei: «Quest'uomo di grande ingegno [Calilei] riconobbe che, oltre alla restaurazione della musica antica, ... uno degli scopi principali dell'accademia era quello di sperimentare della musica moderna ... Perciò egli fu il primo a farei ascoltare lo stile rappresentativo [in italiano nel testo], impresa ardua e allora considerata anche piuttosto ridicola, nella quale egli venne incoraggiato e assistito in modo particolare da mio padre, che lavorò duramente per notti intere e con non poche spese per amore di questa nobile scoperta»."

 I compositori che «inventarono» la musica barocca - la Camerata Fiorentina, Monteverdi e i suoi contemporanei - non trascrivevano semplicemente una canzone così come si rivelava alle loro sensazioni. Come gli alchimisti, lavoravano con rigore e consapevolezza, utilizzando una combinazione dell'antica saggezza, ripetuti sforzi personali, osservazioni e visioni individuali per raggiungere la trasformazione.

17/11/14

La Camerata Fiorentina era un'accademia | L'Alchimia

............... compositori come Monteverdi la trasportarono in un campo culturale più vasto.[Qui]


Monteverdi era un individualista; pur consapevole dei progressi che nel suo campo erano stati fatti da altri compositori, riteneva comunque di dover procedere in modo autonomo alla propria salvezza con l'aiuto di tradizioni quali il neoplatonismo e l'alchimia. I più antichi sviluppi della musica barocca alla fine del XVI secolo furono ispirati da tutta una serie di studi. Un gruppo in particolare è ritenuto l'anima di questo movimento; esso è noto come «la Camerata Fiorentina», un'attiva compagnia di musicisti, studiosi e nobili, il cui intento dichiarato era quello di riportare la musica ai fasti dell'antica civiltà classica, non solo grazie all'aiuto di filosofi del tempo, ma anche attraverso un'ampia gamma di studi metafisici, mistici e magici, in cui l'alchimia trovava una sua collocazione naturale.

La figura centrale, responsabile dell'organizzazione degli incontri all'interno del gruppo, fu Giovanni Bardi, il cui figlio in seguito ebbe a scrivere: «Mio padre, Signor Giovanni, che provò grande diletto per la musica e fu ai suoi tempi un compositore di una certa reputazione, ebbe sempre intorno a sé gli uomini più famosi della città, dotti in questa professione, che egli invitava a casa dove si era costituita una sona di piacevole accademia permanente, da cui erano banditi qualsiasi tipo di vizio e di gioco. La nobiltà fiorentina era attratta da questo gruppo con grande beneficio personale, e passava il proprio tempo non solo nelle attività musicali, ma anche nella discussione e nell'apprendimento della poesia, dell'astrologia e di altre scienze che di volta in volta nobilitavano questo amabile ritrovo».

 La Camerata Fiorentina era un'accademia (di fatto consistette di due o tre gruppi che si succedettero l'uno all'altro) sorta sulla scia di una tradizione inaugurata a Firenze nel 1459 da Marsilio Ficino. Ficino era venuto incontro ad una richiesta del duca regnante, Cosimo de' Medici, di fondare una nuova scuola di studi che si occupasse degli scritti platonici e dei testi ermetici che erano stati riportati alla luce. In questa scuola gli studi di Kabbalah e di astrologia si intrecciavano con questi temi classici ed ermetici, e i suoi membri tentavano di dimostrare che non c'era sostanziale conflitto fra tali dottrine e il cristianesimo. Questa originale Accademia Fiorentina ebbe un enorme impatto sulla visione religiosa e artistica del tempo. Fu seguita da un gran numero di altre accademie, ciascuna animata da un'intenzione diversa.

La Camerata Fiorentina, anche a distanza di un secolo, conservò questa più ampia prospettiva, ma la applicò a scopi ben precisi nel campo della musica. La sua produzione fu in un primo tempo piuttosto di maniera e risultò, come era naturale attendersi, dal momento che si trattava di musica su commissione, per certi versi artificiosa. Ad ogni modo, certi principi asseriti dai suoi membri cominciarono a dare i loro frutti; lo stile declamatorio (in seguito noto come recitativo) fu concepito a partire dall'interpretazione del dramma greco e diede così modo di tradurre musicalmente l'espressione appassionata del discorso. La creatività individuale iniziò ben presto a fare la sua comparsa in compositori come Giulio Caccini e Jacopo Peri, le cui opere hanno dimostrato di possedere un valore non effimero.

I loro scopi, nel rispetto della tradizione di sapienza a cui si ispirarono, erano di carattere spirituale: Caccini scrisse che lo scopo della musica era quello di sembrare «un modello e una riproduzione fedele di quelle eterne armonie celesti da cui provengono così tanti benefici effetti sulla terra, che innalzano ed incitano le menti degli ascoltatori à contemplare le infinite delizie che il Cielo offre". In termini generali e per fare un parallelo, questi erano gli stessi scopi dell'alchimia. Come nella pratica alchimistica, i membri della Camerata credevano anche che gli uomini potessero partecipare attivamente e direttamente al processo di creazione dell'universo, che non si è soltanto spettatori passivi, ma che si possono ordire personalmente delle magie, e invocare presenze divine e angeliche.

Si diceva che gli dei fossero influenzati dalla nostra musica. Un antecedente di questa opinione si ritrova negli scritti di Marsilio Ficino, che raccomandava l'uso della musica come mezzo per far discendere sulla terra le divinità dei pianeti. (F. Yates, Giordano Brunono e la tradizione ermetica). A sua volta questa concezione è mutuata dalle pratiche orfiche, che sono cronologicamente e contestualmente legate ai testi ermetici e ci riconducono, a completamento del cerchio, all'alchimia.

Si può giudicare l'interesse per l'ermetismo, che fu dominante nell'Italia rinascimentale, anche dalla pavimentazione marmorea della Cattedrale di Siena, dove si possono ammirare impressionanti ritratti di Ermete Trismegisto c delle dieci profetesse Sibille.

16/11/14

Monteverdi: l'alchimia e la camera Fiorentina | L'Alchimia

............sia come scrittrice che punta la sua attenzione su «filosofie magiche» quali l'alchimia.[Qui]


MONTEVERDI
L'ALCHIMIA E LA CAMERATA FIORENTINA

Ci fu una grande tradizione di studi alchimistici nell'Italia settentrionale, geograficamente composta da un certo numero di ducati indipendenti. Molti duchi e nobili dimostrarono un profondo interesse pe: l'alchimia, nell'ambito di una ternperie culturale favorevole alle tradizioni occulte collocate in una cornice di studi che coprivano una vasta gamma di arti e scienze naturali. Tracce di studi a1chimistici spesso rimangono addirittura nei palazzi. Una stanza destinata a tali studi fu posta a lato del Palazzo degli Uffizi a Firenze e, apparentemente, anche lo «studiolo» (o piccolo studio) di Palazzo Vecchio, sempre a Firenze, era destinato allo stesso scopo.

Entrambe queste stanze sarebbero state utilizzate nel XVI secolo. A partire da un'età più antica, altre tracce si possono ritrovare nei dipinti del Palazzo del Popolo di San Gimignano nei dintorni di Siena. Questi affreschi vengono attribuiti a Memmo di Filippuccio, che li avrebbe eseguiti fra il 130 e il 1317 . I dipinti sopravvissuti coprono un ampio Spazio delle pareti in una piccola camera al piano superiore della torre (uno del famosi «grattacieli» medievali urbani) e raffigurano temi quali il matrimonio e l'unione del Re e della Regina alchimistici, l'immersione della coppia reale nel bagno e la flagellazione dell'uomo-animale che rappresenta la Materia Prima.

Un fiore d'oro dai sei petali, simboleggiante la meta dell'alchimia, è un motivo ripetuto negli affreschi e una donna misteriosa, probabilmente Donna Alchymia in persona, spesso rappresentata come spirito dell'alchimia, fa da guida e da iniziatrice in ogni nuova sequenza pittorica. Ciò che è piuttosto strano è che gli studiosi non abbiano ancora riconosciuto l'ispirazione alchimistica di questi affreschi, sebbene si possano individuare in molte fonti alchimistiche illustrazioni parallele; un manuale sostiene che essi rappresentano «un evidente intento moraleggiante ... mostrando quali pericoli un uomo possa correre quando soccombe alla seduzione femminile».

Per tornare al XVI secolo, Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova e primo mecenate di Claudio Monteverdi, fu un grande studioso di alchimia. Si pensa infatti che fu la sua corte il luogo dove il giovane compositore venne iniziato ai misteri di questa arte. Monteverdi praticò l'alchimia lungo tutto l'arco della sua vita e un sonetto composto in ua lode poco dopo la sua morte lo descrive come un «Grande Maestro dell'Alchimia». Nelle sue lettere il musicista menziona diverse volte l'alchimia, anche se, nella migliore tradizione, sono sempre allusioni piuttosto-criptiche. Egli descrive e disegna un alambicco per calcinare l'oro con il piombo e parla dei suoi esperimenti per trasformare il mercurio, «sostanza non rifinita e mutevole, in acqua pura» che, «quand'anche si troverà nell'acqua, non perderà comunque la sua identità di mercurio o il suo peso».

In lettere successive egli cela la natura delle sostanze a cui fa riferimento, parlando solamente di «una pentola di esso», «un piccolo vasetto di questo» e di «un qualcosa». Queste lettere furono scritte negli ultimi anni in cui Monteverdi lavorò come maestro di musica della Basilica di San Marco a Venezia, luogo dove compose alcune delle sue opere più belle, come i Vespri del 1610. L'editore delle sue lettere parla dell'interesse per l'alchimia di Gonzaga come di «un insano entusiasmo per le pseudo-scienze» e suggerisce che il coinvolgimento personale di Monteverdi «non potesse essere altrettanto profondo».

Eppure è un dato di fatto comunemente accettato che Monteverdi fosse appassionatamente attratto dalla ricerca della sapienza, seguace attivo di Platone, desideroso di incentrare la sua musica attorno a queste verità. «Il mio proposito è di mostrare per mezzo della nostra pratica [la pratica musicale, la sua "Seconda Pratica"] ciò che sono stato capace di estrarre dalla mente di quei fllosofi a beneficio della buona arte». Incontreremo più avanti alcuni dei mezzi da lui usati. Per il momento sarà sufficiente riconoscere che l'alchimia, materia a cui Monteverdi era estremamente interessato, avrebbe influenzato le sue composizioni musicali. Vale anche la pena di ricordare che la musica era considerata da molti alchimisti dell'epoca parte intrinseca dell'alchimia.

Talvolta la Grande Opera fu eseguita con l'accompagnamento di canti musicali. Illustrazioni contemporanee agli esordi della musica barocca, sul genere di quelle contenute in Splender Solis [Lo splendore del sole] di Tresmosin (c.1582) e in The Amphiteatre oj Eternal Wisdom [L'anfiteatro dell'eterna saggezza] di Heinrich Khunrath (1609) mostrano la presenza di strumenti musicali nel laboratorio, o di gruppi di suonatori e cantanti come emblema degli stadi del procedimento alchimistico. La musica poteva quindi rivestire un ruolo magico nel laboratorio, per esempio evocando degli spiriti planetari; era anche una guida alle leggi cosmiche in cui il potere delIe vibrazioni, i suoni e i rapporti matematici potevano essere compresi. Un uso ancor più affascinante e diretto della musica nell'alchimia si trova negli Emblemi, Fughe ed Epigrammi di Michae1 Maier (1617), ora disponibile in una nuova «esecuzione» (tradotta e pubblicata da Joscelyn Godwin, con l'accompagnamento di una audiocassetta, Phanes Press 1989).

Qui Maier pone cinquanta fughe musicali a tre voci per illustrare con la musica i simboli alchimistici splendidamente disegnati, molti dei quali sono conosciuti di per se stessi. Sono molto più che illustrazioni: sono, dice Maier, «per la ricreazione dell'anima ... perché siano guardati, letti, meditati, compresi, soppesati, cantati e ascoltati, non senza un certo diletto». Musica ed alchimia avevano già trovato la loro fusione nel laboratorio alchimistico; mentre Maier coltivava questo legame con la sfera ermetica, compositori come Monteverdi la trasportarono in un campo culturale più vasto.

14/11/14

Alchimia e musica Barocca | L'Alchimia

.............che altrimenti può correre il rischio di cadere nelle mani sbagliate.[Qui]

ALCHIMIA E MUSICA BAROCCA
La nostra indagine, sulle orme di Donna Alchymia che avanza timidamente alle prime luci del giorno, incomincia con uno sguardo ai rapporti che leganoo alchlmia e musica barocca. Raramente si è pensato di associare questi due temi, mentre esiste in realtà uno stretto legame fra di loro. Il più grande compositore del tempo, Claudio Monteverdi si dedicò a pratiche alchimistiche, e anche altri famosi compositori dell'epoca si diedero a bussare alle fonti dell'antica saggezza e a incanalarle nella propria opera; gli studi di questo tipo, all'epoca fiorenti soprattutto nell 'Italia settentrionale, includevano alchimia, neoplatonismo, astrologia e Kabbalah. La musica barocca, termine con cui questa «nuova musica» divenne nota, sorse negli anni fra il 1570 e il 1610. I suoi effetti furono notevoli perché in quel breve periodo si ebbe una rivoluzione in campo musicale. Furono create nuove forme di canto solistico e di musica strumentale; la musica e il dramma si fusero in modo davvero completo, e dalla loro unione nacquero l'opera e l'oratorio.

La sua innovazione preannunciava un'era musicale che durò per circa due secoli e tra le file dei suoi compositori si annoverano nomi del calibro di ]ohann Sebastian Bach, Georg Friedrich Haendel, Henry Purcell e Antonio Vivaldi. Molte delle forme e delle cifre stilistiche da essa impiegate sono rimaste ancor oggi nel corrente linguaggio musicale e la stessa musica barocca, naturalmente, vive e prospera ancora sui palchi dei concerti. Questa musica sembra, di fatto, godere oggi, più che in passato, di grande apprezzamento; ciò che incanta in maniera crescente è il suo amore per le forme limpide, graziosamente architettoniche, per la sua chiarezza e per la sua bellezza, che si sposano ad una prorompente vitalità. Quando si incomincia a scavare in profondità per scoprire le connessioni tra l'alchimia e la musica barocca, ci si imbatte in prove di carattere differente.

Alcuni legami sono diretti: fra questi si può citare il provato interesse di Claudio Monteverdi per l'alchimia e il suo intento dichiarato di intessere nella sua musica verità filosofiche. Fra le deduzioni che si possono trarre c'è quella che la pratica dell'alchimia era all'epoca diffusa nel Nord Italia e che i gruppi di dotti e di compositori, che si adoperavano a creare una nuova forma di musica, possono quasi certamente avere incluso l'alchimia fra i loro studi di metafisica e di mistica. Infine, si può tracciare un parallelo fra la branca alchimistica e la musica barocca, nella misura in cui entrambe mirano ad una comprensione più ampia del processo creativo che sta alla base del lavoro di composizione.

Siamo solo agli inizi di questa affascinante esplorazione e penso che gli anni a venire getteranno sempre maggiore luce e daranno un più grande numero di prove delle connessioni che legarono queste due arti. Nei prossimi capitoli porterò esempi di ricerche già condotte sui legami fra l'alchimia e altre scienze ed arti; in questo capitolo presenterò l'area che ho indagato personalmente, sia come cantante specializzata su questo periodo musicale, sia come scrittrice che punta la sua attenzione su «filosofie magiche» quali l'alchimia.

13/11/14

Musica e Alchimia | L'Alchimia

 ............liberato e poi fssato in uno stato più elevato per poter giungere alla trasformazione.[Qui]

MUSICA E ALCHIMIA
Ci si può chiedere se uno studio così esclusivo, esoterico ed enigmatico come quello dell'alchimia abbia un ruolo determinante nelle vicende del mondo. Quali benefici può apportare all'umanità, o cosa può aggiungere al patrimonio delle nostre conoscenze, specialmente quando coloro che vi aderiscono ritengono una virtù mantenere il segreto sui loro studi, da confinare solo alla loro cerchia ristretta? Si potrebbe ribattere che ogni filosofia, ogni movimento religioso o studio esoterico, se è essenzialmente vero e sincero, costituisce una base di appoggio per qualsiasi tentativo umano di progresso. Se la sua struttura è radicata in principi universali, in ciò che talora si designa «la filosofia perenne», allora può davvero investire ogni livello dell'esistenza, dal piano spirituale a quello pratico.

Anche se gli insegnamenti più riposti rimangono celati, magari per un certo numero di anni, o addirittura per sempre, sarà comunque inevitabile che prima o poi essi abbiano ad influire sul corso della storia umana. Ciò che è esoterico diventa essoterico; la teoria si trasforma in pratica,l'astratto si muta in concreto. Si può dire che la capacità di una tradizione saggia di portare frutto nella vita quotidiana è tanto importante quanto il grado di illuminazione dei suoi seguaci. Nel caso dell'alchimia, la sua influenza può essere individuata nel campo delle scoperte scientitìche, nella letteratura, nelle arti e nello sviluppo della psicologia moderna. Talvolta questi sviluppi furono determinati dalle stesse persone che erano profondamente immerse nello studio dell'alchimia; in qualche caso si trattò di prestiti dalla struttura e dal linguaggio alchimistico.

Certe scoperte, segnatamente in campo scientifico, furono frutto di esperimenti condotti nel corso di procedimenti alchimistici, mentre altre applicazioni dell'alchimia ricevettero nuova linfa e furono, per così dire, create ex novo, dopo che si procedette a rielaborare alcuni principi essenziali estratti dalla filosofia e del simbolismo alchimistici. In questo capitolo e nei due successivi si darà uno sguardo al modo in cui l'alchimia svolse, in contesti diversi, una funzione ispiratrice. In alcuni casi il legame è molto immediato, in altri può essere più speculativo o intrecciato ad altre tradizioni occulte o filosofiche. Non è sempre agevole rintracciare i punti in cui l'alchimia ed altre scienze altrettanto esclusive e segrete valicano la soglia che le separa dal mondo esterno; la scoperta di questi punti può comunque dimostrarsi assai eccitante, perché dà modo di rimettersi in contatto con l'energia originale che li ha ispirati e quindi di ampliare e rivitalizzare la visione che si ha in melito all'argomento in questione.

Probabilmente non si azzarda troppo quando si dice che questo è un modo per completare il processo della creazione: l'impulso spirituale si fa strada attraverso la forma della materia, poi viene dimenticato, per essere in seguito riscoperto ad opera di uomini di un'epoca e di un paese differente, e legarsi cosi nuovamente alla forza creatrice divina (si pensi all'etimologia del termine re-ligio, che significa appunto «legare di nuovo»): in questo modo si viene a creare un nuovo collegamento fra la dimensione temporale e quella dell'eternità. A questo punto può verificarsi un'ulteriore creazione: è il caso, per fare un esempio, della filosofia degli antichi maestri Platone ed Aristotele, la quale, insieme con i testi ermetici, ispirò il Rinascimento europeo, periodo che indica, già nel nome, un concetto di «rinascita».

E' inevitabile che al suo ingresso nel mondo ordinario la conoscenza può subire un processo di dispersione o addirittura venire minata alla radice da tradizioni spirituali preesistenti. Come vedremo nel prossimo capitolo, Isaac Newton fu un mistico appassionato e un adepto dell'alchimia, purtuttavia le sue scoperte scientifiche sfociarono in una scuola di pensiero che rigettava tutto ciò che non si poteva pesare, misurare e quantificare. Dion Fortune, uno scrittore di scienze occulte associato all'Ordine della Golden Dawn e ad altri ordini esoterici, ha tenuto a precisare, in toni piuttosto oscuri, che le tecniche comunemente impiegate dalle agenzie pubblicitarie un tempo erano note solo agli esperti. In tal caso, si potrebbe ipotizzare che queste tecniche, che probabilmente implicano il potere dell'immaginazione e la forza di suggestione, possono essere state rese popolari e addirittura applicate per scopi estremamente ambigui. Esempi di questo tipo spiegano perché gli alchimisti siano così desiderosi di tenere nascosto il proprio sapere, che altrimenti può correre il rischio di cadere nelle mani sbagliate.


12/11/14

...CAOS...Dialogo sulla morale

....C A O S...

Dialogo sulla morale.

Interpreti: (Gabbianella Morin)
                 (Gabbiano Jonathan)

"Cara Gabbianella, oggi è davvero una bella giornata. Il cielo, libero da ogni affanno, c'invita per un volo nel suo azzurro baciato da Zefiro."
"Buongiorno Gabbiano Jonathan. Condivido: davvero una bella giornata. E lo sarà di più se questa mattina mi parlerai della tua morale. Me lo hai promesso da tempo."
"Veramente? Non ricordo. La memoria mi tradisce spesso ultimamente. Ma se lo dici tu , ti credo. Allora, mi hai colto di sorpresa, per cui devo riordinare le idee. Vediamo: cominciamo col dire che l’uomo non può sapere tutto. Poiché tutte le facoltà che presiedono alla crescita evolutiva dello scibile umano, hanno dei limiti, oltre i quali alle stesse facoltà non è stato concesso di conoscere oltre. Quindi di sapere se accettiamo un ipotetico ente superiore al nostro essere. Così non è scientemente eretico affermare che l’uomo è un'intelligenza alimentata dai sensi e che altrettanto è un’anima ingombrata da un corpo.

Come la coscienza che se pare sia la sembianza di un altro in noi e altresì pare non ammetta nessun dualità nel nostro inconscio, è affermabile accettare che possa anche non esistere. Allora chi urla, chi strepita, o sussurra o bisbiglia a volte, dentro di noi? Sgravati per caso su un angolo di questa terra, non è azzardato chiedere che cosa siamo venuti a farci. Ai nostri vagiti una società ci ha accolto nelle sue grazie e disgrazie, e bene o male ha sostenuto la nostra esistenza col vincolo però che la salariassimo con del lavoro od altro. Guide illuminate, toghe del potere, ministri della legge, veri capi settari di una società, al nostro arrivo ci hanno detto: ”Volete essere dei nostri?”. Magnifico, dico io, ma non ci hanno sottomesso benevolmente con firme e controfirme ai loro dogmi, ma obbligati.

Aggiungo risoluto. Ora, tante istruzioni per l’uso, fagocitate per meglio assimilare un decalogo di doveri, sono giuste o no? Siamo certi di aver seguìto in questo forzato esistere, la via naturale? E se no, quale avremmo dovuto prendere o scegliere? Ecco le interrogazioni cui dovremmo proporci di esaminare. Credo che il nostro destino dipenda dalla natura buona o malvagia di una possibile entità suprema. È questa natura che prima di tutto dovremmo approfondire. Ammesso e concesso che, dal Supremo siano stati svelati all’uomo alcuni principi, assiomi assoluti. Decolliamo da questi favori per scrutare lontano, anche se l’Assoluto non è immaginabile per il limite della mente umana.

Decolliamo postulando che si può ragionare secondo il proprio sapere e sbagliarsi perché non si sa tutto sul tutto. Le ripercussioni possono essere di facile come di difficile deduzione, se i principi sono indecifrabili per la propria indiscutibile verità. Ci si potrebbe sbagliare facendo un ragionamento esatto e viceversa. Un bel casino, l’armonia del caos! Se l’essenza del sensibile e sovrasensibile è eterna, perché non paragonarla a Dio? E se così è, allora ognuno di noi è Dio. Allora perché non idolatrare l’uomo piuttosto che Assoluti inconoscibili? Perché tanti templi, quando il vero tempio è l’uomo stesso nella sua possibile templare realtà?

Ma tralasciamo questo vasto e speculativo argomento ontologico già ampiamente trattato in secoli di storia e torniamo alla nostra ‘morale’. Che diavolo è questa benedetta morale? Quali sono gli ingredienti che la costituiscono e che ne fanno un fardello così greve che a volte riesce a creare gravi stati di conflittualità individuale? È l’ethos delle società umane, considerato in rapporto all’idea che si ha del bene e del male? Vero è, che l’armonia che regola l’intero universo è sorretta dalla legge degli eterni dualismi. Quindi l’idea in sé, non ha più ragion d’essere. È una legge dettata dalla coscienza? Allora qui dovremmo definire che cosa è la coscienza. È ciò che è conforme ai principi del giusto e dell’onesto?  Di solito un ‘principio’ rappresenta il fondamento che sta alla base di un ragionamento, una dottrina o una scienza, quindi norme create dalla speculazione mentale dell’uomo.

Ma tutto questo è solo retorica: oltre le leggi che regolano il tutto, altro non è che pura indagine creativa del pensiero dell’uomo. Poi, chi mai possiede l’assoluto del giusto e dell’onesto? Tanti incalliti moralisti asseriscono che questo benevolo fardello concerne solo lo spirito umano e non la natura o la materia, come se i sensi non fossero un dono della natura. Poi alla fine si scopre che questi sono più gaudenti dei così detti trasgressivi. Vogliamo mettere un altro ingrediente e dire che la morale riguarda o si fonda sul sentimento e sull’affettività? D’accordo. Ma pensare e credere  che la regione dei sentimenti sia vasta come l’universo stesso, da non porre confini o limiti, non è utopistico. Mi fermo con gli  ingredienti poiché mi verrebbe, cara Gabbianella, da citare la morale della chiesa che per millenni ha distillato dogmi distruttivi sul motore vitale dell’uomo, e che parafrasando Kant, a priori condanno al rogo.

 “Allora? Gabbiano Jonathan, non mi hai detto nulla che mi aiuti  a vincere la difficoltà della picchiata in verticale: le mie ali non reggono.”
“Hai ragione Gabbianella. Le nostre ali forse sono diverse. Anzi, lo sono senz'altro. Che posso dirti? Le parole non sono che parole: sì perdono nell’aria. E neppure gli antichi scritti servono a molto in questo  caso: in verità non leggiamo che parole di morti. E i più recenti non aggiungono nulla di nuovo. Dirti che la morale è l’arte delle azioni, arte estetica la cui materia è la vita pratica, dove l’arbitrio di un giusto pensare è l’arcobaleno della Bellezza che consiste nel conferire forme belle alla propria vita; aggiungere che l’onestà è qualcosa di più che compiere il proprio dovere, dove la nobiltà nella condotta presuppone un’alta intelligenza, un’arte nell’agire, pensi possa frantumare la barriera che ancora impedisce alle tue ali di superare la difficoltà della picchiata in verticale? Dirti, ‘agisci così, cosà, agisci bene’, significa schiavitù ma, dirti ‘agisci in modo bello’ che è arte, non è più schiavitù, ma libertà. È rivolgersi solo al genio creativo, mondo da ogni condizione.”

 “GJ, io affermo che l’identità di bello e di bene è consacrata nella parola ‘onore’: una buona reputazione acquistata con l’onestà, coi  meriti, la rispettabilità, coscienza della propria condotta e quindi delle virtù che l’hanno procurata.”

“Onore? Ma che roba è, mia dolce Gabbianella? Non esiste nei nostri cieli. Ok, d’accordo torniamo sulla terra. L’onore è anche il bello nell’uso della volontà, ma specialmente nelle nostre relazioni con gli altri. Mentre di fronte a noi stessi, il bene è la temperanza e poiché questa tende all’equilibrio e all’armonia, essa è anche bellezza. Così, considerando la morale da tutti i lati, non vedo che estetica. Arte estetica equivalente alle arti maggiori: musica, poesia, prosa d’arte, pittura, scultura, e perché no, amore e volare. Chi mai potrebbe delimitare dei confini alle arti belle?”...

 “Scusa se obietto, vecchio gabbiano, ma la morale allora sarebbe dunque solo relativa come l’arte? Non ci sarebbe dunque bene assoluto più di quanto non ci sia bello assoluto?”

“Ma dobbiamo continuare ancora in quest’insensata discussione?  Noi che abbiamo la fortuna di possedere delle ali?  Che c’importa della terra? Voliamo finché il cielo ci accoglie. Ok, ok, non mi guardare di sbieco. Per me la tua obiezione è come un robusto albero ben piantato ma, con qualche ramo spezzato: io asserisco che agire bene ha due sensi che significa da una parte impiegare la propria volontà a fare ciò che si giudica bene e dall’altra compiere ciò che è buono. Noi possiamo sempre tendere a realizzare ciò che giudichiamo essere il bene, poiché la responsabilità dipende unicamente dalla nostra energia e dalla nostra opinione. Va bene siamo sempre responsabili, a meno che non ci troviamo in uno stato di completa idiozia. Ma dico anche che non possiamo sempre arrivare, per mancanza d’istruzione e intelligenza sufficiente, a sapere quello che è veramente il bene. In altre parole non siamo responsabili che nei limiti della nostra conoscenza. Così in un senso il bene è l’intenzione di fare bene, unita allo sforzo di arrivarci, e in un altro senso il bene è la legge assoluta della natura umana. Mi chiedi se esistono un bene assoluto e un bello assoluto? Bè, è come domandarci se è pensabile illuminare l’oscura, per quanto impossibile, decifrazione esistenziale dell’uomo. Lascio a te l’indagine. Io sono convinto che relativa è solo la conoscenza di queste leggi, la quale varia da uomo a uomo e da un secolo all’altro. E che nessuna singola condotta è arbitrariamente colpevolizzabile, se non da un giudice che presiede un tribunale che niente a da spartire con la naturale natura dell’uomo.”

 “GJ, non mi hai accennato nulla a proposito della ‘sessualità’ dell’uomo, in senso lato, riferita alla morale. Perché?”...

  “Giusta osservazione giovane Gabbianella. Anche se sono le innaturali morali pre-costruite e inculcate a priori a giocare un ruolo determinante sulla ‘sessualità’, che fondamentalmente in sé è naturale. Attorno a questo vasto pianeta, intendo la ‘sessualità’, vi gravitano oltre alla morale costruita dall’uomo, altri corpi di differente natura. Così dovremmo aprire un altro infinito capitolo. Quando invece  ora vorrei volare senza pensare. Se non ti spiace. Pensare è roba per pazzi. Agire d’istinto è la vera salute: non ci si ammala né di colpe né di rimorsi. Si può non piacere agli altri, ma non dispiacere a se stessi. Ed ora giù, in picchiata. Stai attenta a come piego le ali. Il segreto è di non pensare se arriverai in fondo sana e salva, ma di sentire la sensazione dell’attimo che muore………là dentro giace la bella morale……………………………………

…sai Gabbianella, che da quando abiti nella stanza della mia fantasia, la mia vita è cambiata? Sì, averti accanto, parlarti, guardarti negli occhi, sfiorare le tue ali, desiderare di accarezzarti e darti un bacio è tutto, come se fosse un altro mondo e credo sia quello dell’amore. Anzi ne sono certo……………………

Figlio della Notte

11/11/14

Della chiara e fresca acqua più dolce del miele | L'Alchimia

.....................E se non lo fa, allora lascialo andare ...».[Qui]

Alcuni dei racconti di iniziazione all'alchimia sono assai affascinanti, ma bisogna stare in guardia, perché spesso anche quelle che sembrano pure e semplici descrizioni di eventi possono contenere degli elementi allegorici. Gli storici citano sempre con un certo piacere la testimonianza di Helvetius (Johann Friedrich Schweitzer), poiché sembra una versione immediata e precisa di un incontro fra Helvetius e un aspirante alchimista. Questa è in sintesi la storia, contenuta in The Golden Calf [Il vitello d'oro]: il 27 dicembre 1666 un forestiero si presentò a casa di Helvetius e gli mostrò alcuni pezzi di un materiale «ciascuno delle dimensioni di una piccola noce, trasparenti, di un pallido color zolfo» dicendo ad Helvetius che si trattava della Pietra Filosofale. Costui si rifiutò di darne anche solo un pezzetto ad Helvetius, ma gli parlò delle sue capacità di trasformare le pietre in gemme, di produrre potenti medicine, e di rendere «della chiara e fresca acqua più dolce del miele» (probabilmente si trattava della famosa Acqua di Mercurio).

Mostrò ad Helvetius delle medaglie d'oro coniate con oro alchimistico. Dopo tre settimane tornò e, sollecitato dalle pressanti richieste di Helvetius, gli diede una minuscola «briciola» di pietra; poiché Helvetius si era mostrato alquanto scettico sulla possibilità che una quantità così esigua potesse produrre un qualche effetto, I'estraneo si riprese la pietra, la divise in due, ne gettò una parte nel fuoco e restituì il rimanente ad Helvetius. Passò quindi ad istruirlo sulla tecnica di preparazione della pietra, sostenendo che solo due sono le sostanze necessarie e che l'opera, che va eseguita in un crogiolo, non richiede né troppo tempo né troppa spesse la si comprende appieno. Non fece più ritorno, ma Helvetius, assistito dalla moglie, riuscì a compiere con successo una trasmutazione servendosi di quella pietra; l'oro prodotto fu saggiato in pubblico e lo si trovò di eccellente qualità.

La valutazione di questo racconto risulta piuttosto difficile per alcuni studiosi, da una parte, perché Helvetius è uno stimato scrittore di botanica e di medicina, che non ricorre mai deliberatamente alla frode; d'altro canto, non è facile dar credito a questa storia fantastica sulla fabbricazione dell'oro. L'ipotesi che credo più probabile è che ci si trovi in presenza di un racconto allegorico. Una persona del valore di Helvetius è certamente in grado di trasfondere le sue conoscenze relative all'apprendistato alchimistico in una specie di parabola, dove molti elementi sono sicuramente reali e finalizzati ad informare, ma non devono essere intesi in senso letterale. E invero molto più probabile che egli abbia scelto di ricorrere all'esposizione allegorica, piuttosto che spiegare apertamente gli insegnamenti che gli furono impartiti, perchè, come e noto, era preferibile che al riguardo si mantenesse Il segreto.

Nella descrizione di helvetius, il forestiero che giunge alla sua porta indossa un abito comune, il suo aspetto è grave ed onesto e dimostra di essere autorevole e serio; di bassa statura, viso piccolo ed allungato, lievemente butterato, una gran massa di capelli non compleramente lisci, glabro, fra i trenta e i quarant anni di età (per quanto sono riuscito a congetturare)». Una tale descrizone corrisponde perfettamente alla personifìcazione che i ritratti offrono di Saturno. Gli attributi astrologici di Saturno - e, come abbiamo visto, gli alchimisti si muovono molto bene nel campo dell'astrologia - riferiti ad una figura umana sono appunto magrezza, capelli scuri e aspetto generale tenebroso, trasandatezza nel vestire e statura piccola, contegno grave. Inoltre Saturno viene talora descritto come una saggia guida e un buon istruttore nell'arte dell'alchimia, che può condurre l'iniziato a comprenderne i misteri. Perfino il dettaglio aneddotico del forestiero che dimentica di togliere la neve e il fango dagli stivali al suo ingresso nella camera, riccamente ammobiliata, dì Helvetius riveste un particolare significato nel contesto, perche Saturno è il pianeta della sporcizia e della terra e si dice appunto che coloro che sono sotto il suo influsso siano a loro volta alquanto sudici nell'aspetto e nei modi.

Cosa si può dire del ritratto che Helvezius offre di se e del suo modo di reagire? Il suo comportamento è proprio In linea con quello di Mercurio, che in alchimia è l'elemento agente cioè sempre pronto a fare domande, a controbattere, in un certo punto perfino a rubare la Pietra.  Mercurio nell'alchimia è la forza naturale attiva; allo stato pnmario è volatile e inaffidabile e deve essere agitato, liberato e poi fssato in uno stato più elevato per poter giungere alla trasformazione.

10/11/14

Padre della Luce ai Figli ed Eredi della conoscenza | L'Alchimia

.......................una parrucca che nuscii a porre in salvo la pelle ...»[Qui]

ISTRUZIONE E INSEGNAMENTO

Nel trattato si danno alcuni cortesi consigli al novizio alchimista nel modo seguente:
«In primo luogo, lasciategli continuare le operazioni. in grande segretezza di modo che nessuna persona sprezzante o triviale possa venirlo a sapere; nulla infatti scoraggia di più il principiante del dileggio, dei consigli ben intenzionati e delle beffe di sciocchi estranei. Inoltre, se non ha successo, la segretezza lo preservera dall'essere denso mentre in caso di successo sarà in grado di scampare alla pcrsecuzione di tiranni avidi. In secondo luogo, chi riesce nello studio di quest'Arte, dovrebbe essere perseverante, operoso, dotto, cortese, di buon carattere, uno studente zelante, mai scoraggiato né indolente; può lavorare in cooperazione con un amico, non di più, ma dovrebbe essere capace di mantenere indipendenza di giudizio; e necessario che abbia anche un piccolo capitale per procurarsi gli strumenti necessari ecc. e di provvedersi di cibo e vestiti, mentre segue questo studio così che la sua mente non venga distratta da preoccupazioni e ansie. Soprattutto, fate che sia onesto, timorato di Dio, dedito alla preghiera e santo. Così dotato, dovrebbe studiare la Natura, leggere i libri dei veri Savi, che non sono né impostori né ciarlatani gelosi e studiarli giorno e notte ...».

Molti aspiranti alchimisti cercarono di apprendere i segreti della disciplina da libri e manoscritti a loro disposizione. Questi potevano indurre in uno stato frenetico oscillante fra la speranza e lo scoraggiamento, man mano che si procedeva nello studio delle opere e poi essere messo da parte con l'enigma tuttora irrisolto. C'era una convenzione negli scritti di alchimia per cui ogni autore accennava al fatto che mai prima nessun'opera era stata così ardita, esplicita, così pronta a svelare segreti cui si è tanto afIezionati. A questo in genere seguiva una condanna di tutte le maledette falsità che erano state fatte passare per verità alchimistiche in altri libri:
«Quando ho considerato mentalmente il gran numero di libri ingannevoli e di presunte "ricette" alchimistiche, che sono state messe in circolazione da impostori senza scrupoli, anche se non contengono una scintilla di verità - come possono ancora così tante persone essere state ed essere quotidianamente tratte in inganno da questi? - mi è venuto in mente che non potevo fare cosa migliore che comunicare il Talento che mi è stato affidato dal Padre della Luce ai Figli ed Eredi della conoscenza».
Spesso il lettore è allettato da promesse di rivelazioni sincere. Ma non è mai il momento giusto perché ciò si verifichi; l'autore scivola in un 'apologia, per scusarsi di non poter procedere oltre, ma indica anche di aver già detto più di quanto gli fosse consentito. «Ma se il completamento è nascosto non fate che il figlio dell'apprendimento si meravigli. Perché non glielo abbiamo nascosto, ma gliela abbiamo consegnato in modo tale, poiché deve necessariamente essere tenuto nascosto dal male e dall'ingiustizia, e gli stolti non possono discemerlo», Il messaggio dei testi scritti sembra essere questo: lasciate comprendere a quelli che già capiscono il mio messaggio; lasciate che gli ignoranti rimangano tali. Sebbene alcuni studenti sostengano di essere diventati padroni della pratica alchimistica attraverso i libri, la maggior parte delle persone aveva bisogno di un contatto più diretto che non sia quello della tradizione. Gli alchimisti pongono con grande insistenza l'accento sul fatto che se il mistero non viene rivelato per via diretta da un sogno o da una visione, allora deve provenire da «Maestri viventi».

Thomas Norton ci dice che «deve essere insegnato a voce» e che neppure i propri figli hanno il diritto di apprenderlo. Egli stesso ci dice che il suo maestro (George Ripley) mise in vario modo alla prova la sua fedeltà, per esempio chiedendogli di cavalcare per un centinaio di miglia in ogni direzione per passare un periodo di studio di quaranta giorni con il suo maestro. Un altro ammonimento rivolto agli studenti è quello di non sprecare i propri soldi per farsi addestrare dal primo imbroglione che pretende di essere un alchimista con anni di esperienza. Solo coloro che non sanno, parlano liberamente. Se ti vengono offerti degli ammaestramenti:
«Non gettare i tuoi soldi al vento,
Non dare credito ad ogni parola;
Ma prima esamina, tasta e assaggia;
E quando hai provato, dagli confidenza,
E sta' sempre in guardia da grosse spese ....
Una cosa, un vetro, una fornace e mente più,
Attieniti a questo principio se ti prende,
E se non lo fa, allora lascialo andare ...».

09/11/14

Un ingresso aperto nel chiuso palazzo del Re | L'Alchimia

.............. ma poi riprese la ricerca alchimistica.[Qui]


Alcuni testi, come The Sophic Hydrolyth [L'idrolito sofico], offrono agli alchimisti una guida per poter giudicare quando la sostanza non sta procedendo in modo soddisfacente. Un arrossamento prematuro, la mancanza di coagulazione e così via sono sintomi di una composizione e di una temperatura errata, o di qualche disattenzione. L'autore prosegue: se non ci si accorge subito di questi difetti, ben presto non vi si potrà più porre rimedio. Un adepto accorto dovrebbe essere pratico dei vari espedienti con cui poter rimediare; e io qui li esporrò loro per il bene del principiante ...
Una sorte ben peggiore viene prospettata da un antico scrittore cinese nel caso lo studioso si senta smarrito:
«I gas prodotti dal cibo consumato provocheranno dei rumori nell'intestino e nello stomaco. Si espirerà la giusta essenza e si inalerà quella cattiva. Si passerà giorno e notte senza dormire, mese, dopo mese. Il corpo allora sarà spossato, e assumerà un aspetto malato. Centinaia di vibrazioni fremeranno e ribolliranno in modo cosi violento da allontanare qualsiasi pace di spirito e di corpo ... Vi saranno apparizioni spettrali, dalle quali resterà turbato perfino nel sonno. Poi sarà condotto nuovamente a rallegrarsi, al pensiero che gli è assicurata la longevità. Ma all'improvviso sarà colto da morte prematura».
Potrebbe essere pericoloso divulgare che si è praticata l'alchimia: se le persone associassero l'alchimia con il demonio, potrebbero impiccarti; se pensassero che tu sei in possesso del segreto per fabbricare l'oro ti darebbero la caccia con avidità: nel caso di re e potenti si trattava spesso di «provarlo o morire». Talvolta venivano emanate leggi che bandivano l'alchimia o che altrimenti insistevano sulla necessità per l'alchimista di ottenere una licenza speciale se voleva provare di essere un ricercatore autentico. L'anonimo autore di Un ingresso aperto nel chiuso palazzo del Re dipinge un ritratto alquanto patetico della sorte degli alchimisti:
«Fino a che il segreto è in mano ad un numero relativamente piccolo di filosofi, la loro sorte non può che essere brillante e felice; circondati, come siamo, da ogni parte dall'ingordigia crudele e dalla moltitudine sospettosa e impicciona, siamo costretti, come Caino, a vagare sulla terra senza casa e senza un'amicizia. Non sono destinati a noi i benefici influssi della serenità domestica; non sono per noi le deliziose confidenze dell'amicizia. Gli uomini che agognano il nostro aureo segreto ci inseguono per ogni dove e la paura serra le nostre labbra, quando l'amore ci induce alla tentazione di aprire liberamente il nostro cuore ad un fratello. Per questo motivo a volte ci sentiamo di poter prorompere nella desolata esclamazione di Caino: "Chiunque mi troverà, mi assassinerà!". Eppure noi non siamo gli uccisori dei nostri fratelli· siamo solo desiderosi di fare del bene al nostn simili. Ma la nostra gentilezza e la nostra compassione caritatevole vengono ricambiate con nera ingratitudine - ingratitudine che grida vendetta al cospetto di Dio. Non molto tempo fa, dopo aver visitato i ritrovi colpiti dalla peste di una certa città, e dopo aver completamente risanato i malati con una medicina miracolosa, mi sono trovato circondato da una marmaglia urlante, che pretendeva che dessi loro il mio Elisir dei Saggi; fu solo cambiandomi di abito e mutando il mio nome, rasandomi la barba e indossando una parrucca cheriuscii a porre insalvo la pelle ...»

08/11/14

I laboratori e i loro frequentatori | L'Alchimia

..........alchimiste i cui sforzi non sono stati registrati dalla storia.[Qui]

I LABORATORI E I LORO FREQUENTATORI
Dipinti contemporanei mostrano spesso il laboratorio come un luogo affollato e ci si potrebbe sorprendere nel vedere il numero di lavoranti impegnati ad attizzare, pesare, versare, Non tutti gli alchimisti lavoravano in questo modo; l'impiego di assistenti , per un certo verso, contrario allo spirito dell'alchimia, che esige segretezza e coinvolgimento totale del praticante, piuttosto che la delega del lavoro. Comunque, le esigenze pratiche della fornace, il cui grado di calore doveva essere continuamente sorvegliato e mantenuto costante, e la sorveglianza dei calderoni per evitare che bollissero, rese in parecchi casi necessario tenere degli assistenti. Thomas Norton decretò che il numero ideale fosse di otto, ma gli alchimisti di condizioni economiche meno agiate potevano accontentarsi di quattro "due istituzionali e due che dormano o vadano in chiesa». Egli raccomandò anche all'alchimista di consultare Il proprio oroscopo, specialmente quello della sesta casa, per vedere quale fosse il modo migliore per avere a che fare con i propri servi.

L'athanor (fornace) sembra essere stata una costruzione indipendente, fatta di mattoni e alta circa quattro metri e mezzo, con una copertura conica in cima che poteva essere rimossa per permettere al recipiente di essere posto nella camera sopra il fuoco stesso. Siccome si utilizzavano recipienti di ceramica e di vetro uno dei problemi più grossi era che si rompevano, specialmente alle alte temperature. Thomas Charnock discute della difficoltà di ordinare i recipienti appropriati, e di illustrare al fabbricante di vetro o ceramica il modello preciso senza fargli capire che deve servire a scopi alchimistico. il suo consiglio è quello di dire al ceramista che gli strumenti richiesti servono a distillare acqua per la cura della cecità; la preparazione del tabernacolo (o supporto dell'alambicco) abbisogna della cooperazione di un saldatore, a cui si può dire che si tratta di una trappola per volpi! .. Charnock fa l'esperienza diretta di un disastro in laboratorio:
«Ti dirò una verità,
Quale grande catastrofe è successa al mio lavoro;
Era quasi mezzogiorno di Capodanno,
Il mio tabernacolo aveva preso fuoco, era distrutto:
In un'ora ero quasi riuscito ad aggiustare tutto,
E sentii d'un tratto odore di bruciato.
Corsi in fretta al mio lavoro,
E quando vi giunsi era tutto in fiamme:
Ne fui cosi spaventato che incominciai a barcollare,
Come se fossi stato trafitto al cuore da un pugnale;
Puoi biasimarmi? Non penso proprio, . .
Perché se almeno fossi stato ricco, avrei dato 100 marchi al Povero, per evitare che quel destino si abbattesse su di me.
Ero così ben avviato nel lavoro».

Esplosioni e avvelenamenti sono rischi tipici in un laboratorio di alchimista, perciò non c'è molto da meravigliarsi se la ricerca alchimistica veniva considerata pericolosa, e lo sforzo costante dedicatole poteva trasformarsi facilmente in una mania ossessionante. Bernardo di Treves e Godfrey Leporis (XIV sec.), per esempio, passarono dieci anni in esperimenti infruttuosi, usando più di duemila uova di gallina per un progetto. Bernardo desistette solo quando i vapori del vetriolo gli fecero perdere coscienza per quattordici mesi. Quando si riprese dovette vendere tutte le sue fortune per pagare i debiti, ma poi riprese la ricerca alchimistica.


07/11/14

Ella (la donna) rimane, dunque, alla destra degli arcani | L'Alchimia

............e furono licenziati e lasciati in condizioni di miseria, dopo di che si separarono.[Qui]

LE DONNE NELL'ALCHIMIA
Le donne hanno svolto un ruolo meno rilevante degli uomini nell'alchimia. Semplicemente, le esigenze di un'arte che richiedeva un'attenzione protratta e costante rendeva impossibile alla maggior parte delle donne di applicarvisi seriamente, perché non si sarebbe potuta adattare all'allevamento dei bambini o alla cura della casa. In ogni caso, si sa che sono esistite alcune donne che si sono occupate di alchimia; ci sono casi di collaborazione fra mariti e mogli ed è possibile che ulteriori ricerche mettano in luce contributi di altre donne che si sono interessate di alchimia. Abbiamo già visto che Maria l'Ebrea e Cleopatra furono famose alchimiste dell'antichità.

Zosimo, l'alchimista greco, aveva una sorella di nome Theosebeia che si occupava di alchimia, ma sappiamo della sua esistenza solo attraverso frammenti di lettere che Zosimo le scrisse. Le età successive non registrano donne dedite all'alchimia, ma questo può essere frutto di negligenza da parte degli autori e degli alchimisti del periodo. Pochi sono gli accenni: John Aubrey (lo storico del XVII secolo) dice che Mary Sidney (moglie del Conte di Pembroke) era «un grande chimico e trascorse molti anni in questo tipo di studi». Lady Anne Conway (1642-1684) è già stata citata per avere subito il forte influsso del contemporaneo circolo dei Rosacroce, i cui membri sembra includessero l'alchimia fra i loro studi principali.

Un tema piuttosto difficile da analizzare, ma per certi versi più interessante da prendere in esame, è quello della collaborazione fra uomini e donne nella Grande Opera: Il procedimento alchemico si basa sulla corretta comprensione dei rapporti fra il principio maschile e quello femminile presenti nella materia (zolfo e mercurio), della loro separazione e della loro unione armonica.; è quindi perfettamente comprensibile che gli alchimisti abbiano cercato di far risuonare questa idea nel loro lavoro. Le illustrazioni del Liber Mutus (1677) mostrano un uomo e una donna che lavorano insieme per raccogliere della rugiada, che riscaldano l'alambicco e la fornace e assistono vicendevolmente alle fasi dell'Opera. Le illustrazioni indicano con precisione le differenti azioni compiute da ciascuno dei due. In una illustrazione, essi sono inginocchiati su ciascun lato della fornace; l'uomo ha le mani giunte e il capo reclino nell'atto di pregare, mentre la donna ha lo sguardo rivolto verso l'alto, e un braccio graziosamente sollevato in gesto di benedizione.

Armand Barbault, un noto alchimista del XX secolo, che ha sempre lavorato con un partner femminile, ha questa opinione sul ruolo della donna e dell'uomo nelle operazioni:
«Grazie alla sua estrema sensibilità e alla mobilità dei suoi fluidi corporei, la donna è per una certa misura posta in una posizione favorevole per captare i livelli più alti e ricevere così le istruzioni per il suo partner. Il suo ruolo, d'altra parte, è molto più legato alla terra. L'uomo costruisce il lavoro sul materiale nudo e crudo e a questo livello la donna ha una posizione secondaria. Ella rimane, dunque, alla destra degli arcani, è il "lato passivo", il lato della psiche».
Talora è implicito che, mentre l'uomo può condurre esperimenti e lavorare con le sue storte e i suoi materiali, la donna è indispensabile per dare il tocco necessario a portare la vita nel lavoro. Un antico testo cinese fornisce un esempio adatto ad illustrare questo concetto:
«Un gentiluomo della Porta Gialla [alla Corte Imperiale] Han, Chen Wei, amava l'arte dell' [alchimia] Bianca e Gialla. Prese moglie e si assicurò una ragazza di una famiglia che conosceva delle ricette ... [cercò di] produrre dell'oro in accordo con "Il Grande Tesoro" nel cuscino [del Re di Huai Nan, ma] non riusciva. Sua moglie però venne ad osservare ....Wei stava allora attizzando le ceneri per scaldare la bottiglia. Nella bottiglia c'era del mercurio. Sua moglie disse: "Voglio provare a mostrarti qualcosa". Allora prese un preparato da una sacca e ne gettò un po' [nella storta]. Fu assorbito e in poco tempo lei estrasse [il contenuto della storta]. Era già diventato argento. Wei era completamente sbalordito e disse: "Il metodo [dell'alchimia] era vicino a te e tu lo possedevi. Ma perché non me lo hai detto prima?". Sua moglie replicò: "Per farlo, è necessario aspettare il momento [giusto] "».
Sia Helvetius, che incontreremo sul finire di questo capitolo, sia Nicolas Flamel lavoravano in stretta cooperazione con le loro mogli. Nel caso di Helvetius, sua moglie lo incitava a fare esperimenti con la polvere di pietra che gli era stata data, quando ormai disperava di riuscire ad avere successo con qualsiasi sostanza:
«Nel cuor della notte mia moglie (che studiava e faceva ricerche in quell'arte con grande curiosità) venne a sollecitarmi con insistenza perché facessi l'esperimento con quel piccolo frammento ... dicendomi che, se non lo avessi fatto non avremmo più potuto dormire per quella notte»
Flamel, per tutti gli anni della sua lunga ricerca, dipese in maniera notevole dall'aiuto e dall'incoraggiamento di sua moglie Pernelle. Insieme eseguirono la perfetta trasformazione alchimistica e Flamel fu prontissimo a riconoscere il contributo essenziale apportato da Pernelle: «Posso parlare sinceramente: l'ho fatto tre, volte, con l'aiuto di Pernelle, che lo ha compreso bene perche mi ha aiutato nelle mie operazioni e, senza dubbio, se avesse cercato di farlo da sola, sarebbe giunta al risultato finale e perfetto»." Nel complesso l'alchimia fu, certo, praticata principalmente da uomini, ma non era assolutamente preclusa alle donne, ed è probabile che ci fossero molte donne alchimiste i cui sforzi non sono stati registrati dalla storia.

06/11/14

John Dee una figura controversa di età elisabettiana | L'Alchimia

......«Thomas Norton of Briseto un perfetto maestro davvero lo potete ritenere».[Qui]

Anche Thomas Charnock, nato intorno al 1524, apprese l'alchimia dai monaci. Non si conosce la sua professione e si sa che non fu molto istruito, anche se questo non lo distolse dalla ricerca. Il resoconto che egli stesso traccia della sua opera è gustoso e fresco e anch'egli trae piacere dai suoi versi. Charnock spiega il suo incontro con un frate cieco, il quale gli dice che insegnerà l'arte alchimistica solo a un giovane uomo assai dotato e straordinario, di cui ha sentito parlare, di nome Charnock! Le sue virtù sono in apparenza tali che: «Per quello che è il suo sapere, la sua serietà e il suo acume, Può ben essere incoronato Poeta Laureato».

 Chamock dovette subire molte battute d'arresto nel suo lavoro d'alchimista. La più irritante gli giunse quando fu chiamato a combattere a Calais: «Quando vidi che non c'era nessun'altra utilità, ma che dovevo andare, prima che il mio cuore mettesse radici; nella mia furia presi un'accetta in mano, E interruppi tutto il mio lavoro'ove si trovava, in quanto alle mie pentole le feci cozzare l'una sull'altra E mandai in frantumi i miei vetri ...». Dal XVI secolo in avanti l'alchimia calamitò l'interesse degli uomini dotti, specialmente quelli che cercavano una conoscenza globale dell'universo. Il loro credo era quello che non ci dovessero essere legami fra le arti, le scienze, il misticismo e le scienze occulte.

Ogni disciplina era vista come un valido mezzo per ottenere la conoscenza del mondo creato e per imparare ad operare in esso. Una comprensione metafisica avrebbe aiutato a spiegare i fenomeni fisici e ad ispirare invenzioni pratiche. Tuttavia, sebbene l'alchimia fosse presa seriamente dagli uomini che godevano di grande stima intellettuale, certo non incontrò mai il favore generale. Alcuni manifestavano sostanzialmente dello scetticismo di fronte alle pretese dell'alchimia, ma altri videro nell'alchimia e nelle arti occulte delle macchinazioni diaboliche.

John Dee (1527-1608), una figura controversa di età elisabettiana, fu sospettato di essere un incantatore, quando inventò per un'opera teatrale un elaborato scarafaggio che dava l'impressione di volare! Dee era un uomo notevole, profondamente interessato all'alchimia: già avanti negli anni si fece costruire dei laboratori nella sua casa a Mortlake. Fu un favorito della regina Elisabetta, che lo consultò per sapere il giorno e l'ora astrologicamente propizia per la sua incoronazione. Dee era dotato di grandi abilità in meccanica, ottica, navigazione, storia e matematica e fu così lungimirante da proporre un piano nazionale per la conservazione dei monumenti antichi, e una Biblioteca Reale nazionale.

Si interessò particolarmente di chiaroveggenza e lo si ricorda spesso per il suo legame con l'ambiguo Edward Kelley, che agì da intermediario per lui nei suoi tentativi di mettersi in comunicazione con il mondo degli spiriti e degli angeli. Dee, però, non fu l'ingenuo credulone che alcuni studiosi di chiara fama hanno ipotizzato, perché spesso si dimostrò molto critico nei confronti di Kelley. Ad ogni modo, Dee trovò in Kelley delle qualità o delle capacità psichiche di cui aveva grande stima, ed insieme tentarono sia la divinazione con la sfera di cristallo, sia la ricerca di tesori perduti con bacchette da rabdomante. Dee e Kelley si recarono insieme in Polonia, dove si impegnarono a dimostrare la trasformazione alchemica all'Imperatore della Boemia; il tentativo fallì, purtroppo, e furono licenziati e lasciati in condizioni di miseria, dopo di che si separarono.

05/11/14

I Cavalieri di San Giovanni | L'Alchimia

...............lo sono il capo e il più alto e il più bello a vedersi ...».[Qui]

John Dastin, membro di un austero ordine monastico, è ricordato per la sua coraggiosa lotta volta a preservare incorrotto il nome dell'alchimia. Visse nella prima metà del XIV secolo, nell'epoca in cui Papa Giovanni XXII aveva condannato l'alchimia a causa del proliferare di ciarlatani e imbroglioni. Egli emise un editto stando al quale chi fosse stato sorpreso a falsificare oro ed argento doveva versare l'equivalente in denaro nel tesoro comune; i recidivi subivano la confisca dei beni ed erano bollati come criminali; nel caso di chierici, questi dovevano essere privati delle loro abitazioni. Dastin scrisse sia al Papa sia al cardinale Orsini assicurando loro che l'alchimia era ben di più della ciarlataneria diffusa e sostenne che la preparazione dell' elisir alchimistico era nelle possibilità della natura.

Il Papa sarà rimasto sconcertato da tanta erudizione; in ogni caso, Dastin non sembra aver subito dei danni per i suoi tentativi; EJ. Holmyard ci dice che quando il Papa morì, egli lasciò un'enorme fortuna che si credeva fosse di origine alchimistica! Il più famoso monaco alchimista è Sir George Ripley, che proveniva da una famiglia aristocratica ed era un canonico regolare del priorato agostiniano a Bridlington nello Yorkshire. Questo priorato aveva una grande tradizione di studi e nel XV secolo Ripley ne fece la base per i suoi esperimenti di alchimia, cosa per cui fu perennemente in lotta con gli altri abitanti a causa dell'odore e dei fumi provenienti dal suo laboratorio. Un caso singolare: per accrescere le sue conoscenze alchemiche Ripley trascorse alcuni anni a Rodi, ospite dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme.

 Cavalieri si trovavano a Rodi dal 1310 e si guadagnarono ben presto la reputazione di centro cosmopolita di cultura, un po' sul modello dell'antica Alessandria. La comunità dei Cavalieri, per quanto basata su principi cattolici, era pronta ad accogliere idee innovative, che altrove sarebbero state ritenute sospette, e molti vennero a Rodi per apprendere ed insegnare in un'atmosfera di libero confronto intellettuale. Poiché una delle principali innovazioni dei Cavalieri di San Giovanni era la cura dei malati, si veniva a creare una naturale connessione fra i loro sforzi di promozione degli studi di medicina ed erboristeria e l'alchimia, il cui Elisir aveva la reputazione di essere una panacea. Nel tardo Medioevo, Jacques Millac, un erborista e farmacista francese che si era messo in urto con la Chiesa cattolica nel suo paese per i suoi interessi di alchimia, si uni all'Ordine per poter vivere a Rodi e fare esperimenti come desiderava.

Là era stata stabilita un'università che era nota per i suoi insegnamenti di medicina, mentre una scuola apposita per farmacisti era stata annessa all'ospedale tenuto dai Cavalieri. Ci sono fondati motivi per credere che Ripley, nel XV secolo, abbia acquisito parte delle sue capacità alchimistiche durante la permanenza a Rodi. Un altro noto alchimista, Bernardo di Treves (probabilmente nel XIV secolo) completò i suoi studi di alchimia a Rodi, dove si dice che ebbe un incontro con un «religioso» la cui biblioteca alchimistica esercitò su di lui un tale fascino da indurlo a rimanere per otto anni. Ripley divenne molto noto per opere come The Compound of Alchemy [Il composto alchemico] (che contiene il famoso passo sulle Dodici Porte), testo che divenne ben presto un classico dell'alchimia.

Thomas Norton, un benestante mercante di Bristol, sosteneva che Ripley fosse stato suo maestro. Norton, che potrebbe avere detenuto la carica di consigliere privato di Edoardo IV, pubblicò anonima la sua opera The Ordinall of Alcherny [L'Ordinale dell'alchimia] nel 1477. Nonostante le pretese di modestia e di discrezione, egli sperava che qualcuno avrebbe riconosciuto nel libro la sua mano, poiché aveva nascosto il suo nome in un facile enigma che svelava il motto:
«Thomas Norton of Briseto
un perfetto maestro davvero lo potete ritenere».

03/11/14

lo sono Madre dello Specchio e creatore di luce | L'alchimista

..............e che il corpo terrestre è stato ridotto ad una sostanza celeste».[Qui]

GLI ALCHIMISTI: LEGGENDA E VERITÀ
Che immagine evoca la parola «alchimista»? Forse quella di una figura barbuta e ricurva, che indossa una vestaglia scura e polverosa, mentre borbotta incantesimi misteriosi, curva sui calderoni e sulle storte gorgoglianti. Quando si procede allo studio della storia dell'alchimia, appare subito ovvio che questo ritratto è assai lontano dalla verità; bisogna notare tuttavia che anche nel periodo del suo splendore l'alchimia era oggetto di ridicolo. La maggior parte della gente non aveva le idee chiare sugli intenti degli alchimisti e sulle loro pratiche, in parte perché parecchi alchimisti seri erano molto riservati a riguardo, in parte perché quelli che professavano pubblicamente di essere alchimisti erano spesso degli sciocchi o dei ciarlatani. È dall'attività di costoro che deriva l'immagine popolare degli alchimisti.
«I loro abiti sono osceni e logori, Gli uomini possono sentirne l'odore a miglia di distanza; Non nsparmiano di segnare le loro dita con acidi, 1oro occhi sono velati e le loro guance sono scavate e blu. Ricercano la pietra nella fuliggine, nel letame, nell'urina, nel vino, nel sangue e nelle uova. Vedere le loro case è un nobile passatempo, Che fornaci ci siano che vetri di diversa guisa; Quali sali, quali polveri, quali oli e quali acque, Con quanta eloquenza applaudono de materia prima E tuttavia non hanno fretta di cercare la verità».

Molti andarono in rovina per cercare la pietra filosofale, oltre al fatto che per ricercare l'oro spesero tutto il loro tempo e le loro risorse in esperimenti infruttuosi. Gli alchimisti che non riuscivano nel loro intento erano riconoscibili da un leggero odore e colore di zolfo, da vestiti consunti, da un colore della pelle che rivelava una salute cagionevole e da un aspetto generale di miseria. I ciarlatani si potevano distinguere per la loro aria di saccenza e per le loro vanterie, la loro prontezza a parlare di alchimia e dal desiderio di stupire con la promessa di trasformazioni particolari; vivevano spesso da vagabondi, e certo per ovvie ragioni. Al di là di questo ritratto superficiale, si trovano comunque tipi diversi di persone, seriamente impegnate nello studio dell'alchimia.

Nel Medioevo si trattava spesso di monaci, ma, sia allora sia in epoche successive, nelle file degli aspiranti alchimisti figuravano anche nobili, uomini di affari, eruditi, e anche alcune donne. Tutti avevano abbastanza. tempo e denaro per sostenere le proprie ricerche, poiché era molto probabile che ci volessero mesi, se non anni, di lunghi esperimenti, durante i quali compito dell'alchimista era regolare l'intensità del fuoco, aggiungere e mescolare le sostanze nel recipiente e soprattutto aspettare di osservare il verificarsi delle reazioni giuste. In età medievale l'ambiente monastico offriva delle eccellenti opportunità per il lavoro degli alchimisti.

I monasteri erano centri naturali del sapere, poiché tutti i libri erano sotto forma di manoscritti, ed una delle occupazioni principali dei monaci era ricopiare i testi e ornarli con miniature. Molti monasteri avevano belle biblioteche e ricevevano visitatori provenienti anche da molto lontano, che portavano con sé nuovi modi di vedere di altri maestri e altri paesi. Ci sono molte testimonianze di monaci alchimisti. Nell'antologia della poesia alchimistica di Elias Ashmole (Theatrum Chemicum Britannicum) si trova un'attestazione di un autore dal nome piuttosto sinistro, «Pearce, il Monaco Nero» che dimostra un discreto talento per la poesia e il cui stile sembrerebbe collocarlo nel Medioevo:

«Io sono Mercurio il fiore potente,
lo sono il più alto di tutti gli onori;
lo sono la fonte di Sole, Luna e Marte,
lo sono colui che ha originato Saturno e sono la fonte di Venere,
lo sono Imperatrice, Principessa e Regina delle Regine,
lo sono Madre dello Specchio, e creatore di luce,
lo sono il capo e il più alto e il più bello a vedersi ...».

02/11/14

Con la mia saggezza governo il principio primo del movimento | L'Alchimista

..............senza tenere conto di eventuali nozioni di «teoria degli atomi» da possedere.[Qui]

L'INFLUSSO CELESTE
I rapporti fra la Terra, il sistema solare e le stelle erano considerate molto importanti dall'alchimia. Di fatto, fino al XVIII secolo, la maggioranza delle persone credeva che i corpi celesti fossero animati e in possesso di qualità particolari, che avevano la capacità di influire sulla vita della Terra. Di conseguenza si riteneva che fossero strumenti, o agenti, del Volere Divino, e talvolta (ancor più direttamente) gli strumenti della Natura, che presiedono alla crescita di tutto ciò che si trova sulla Terra, inclusi i metalli. La citazione che segue mostra il potere della Natura e il ruolo svolto dai pianeti:
«Con la mia saggezza governo il principio primo del movimento, Le mie mani sono l'ottava sfera, così come mio Padre ha ordinato· i miei martelli sono i sette pianeti con cui modello le cose belle. La sostanza con cui do corpo a tutte le mie opere, e tutte le cose sotto il cielo, le ottengo dai soli quattro elementi.. Per la mia virtù e la mia potenza rendo imperfetto ciò che è perfetto, sia esso un metallo o un corpo umano, ne mescolo gli ingredienti e regolo la quantità dei quattro elementi. Riconcilio gli opposti e calmo la loro Discordia. Questa è la catena d'oro con Cui ho legato saldamente le mie virtù celesti e le Sostanze della terra».

Si diceva che ciascun metallo corrispondesse ad un particolare pianeta, e che quando il pianeta esercitava un forte influsso la «crescita» del metallo che si trovava nella terra sarebbe stata accelerata. Con l'astrologia si poteva determinare l'influsso del pianeta, attraverso l'esame delle reciproche relazioni dei pianeti e lo studio delle loro posizioni in rapporto ai segni dello zodiaco nel periodo in questione. L'associazione dei pianeti con i metalli era assai precisa e messa in relazione al principio attivo del pianeta definito per via astrologica o mitologica.
Saturno, per esempio, tendeva ad essere considerato lento, profondo, pesante. e corrispondeva perciò al piombo, il più pesante dei metalli In questione.
Venere, il pianeta della comodità, del piacere, della bellezza e della malleabilità corrispondeva al rame un metallo duttile e lucente.
Il Sole era connesso all'oro
La Luna all'argento,
Mercurio all'omonimo metallo,
Marte al ferro e
Giove allo stagno.
L'alchimista era costretto a sapere e a comprendere bene queste corrispondenze, poiché era una pratica comune quella di cercare di preparare elisir con altri metalli separati da argento ed oro, specialmente come rimedi medicinali. Nei testi alchimistici ricorrono spesso casi in cui i metalli sono chiamati con il nome del pianeta cui corrispondono. Dal momento che si diceva che la natura operasse per tramite del pianeta, l'alchimista, che cerca di usare l'arte per accelerare e perfezionare i processi naturali, deve capire e utilizzare i principi degli influssi astraIi. Molti alchimisti, perciò, erano astrologì esperti; era una pratica comune scegliere il momento astrologicamente più propizio per cominciare la Grande Opera.

L'avvio delle nuove fasi del processo poteva essere regolato anche dalle condizioni astrologiche. L'equinozio invernale, cioè Il momento in cui il Sole entra nella costellazione dell'Ariete il primo segno dello zodiaco, era reputato il periodo più favorevole per dare inizio al lavoro. Si ricorreva di frequente a calcoli e determinazioni di posizioni più complicate, esattamente come farebbe un giardiniere che avesse intenzione di seminare qualcosa in una settimana ben precisa, ma sceglierebbe il momento adatto in base alle condizioni del clima e del terreno. Gli alchimisti mantennero viva l'opinione che il cosmo sia un tutto vitale e che tutti i suoi componenti abbiano uno spirito e un fine; le stelle e i pianeti forniscono un «campo» di energia che l'uomo può subire passivamente o impiegare attivamente e in modo creativo per i propri scopi. L'alchimista, perciò, non può operare contro gli influssi astrali e della natura, ma può incanalarli per attuarne la trasformazione:
«Lasciatemi riassumere in poche parole ciò che devo dire. La sostanza è di origine celeste, è mantenuta in vita dalle stelle e nutrita dai quattro elementi; poi è destinata a perire e ad andare in putrefazione; di nuovo, per l'influsso degli astri, che opera sugli elementi, viene riportata in vita e diventa ancor più una cosa celeste che dimora nelle più alte regioni del firmamento. Poi troverete che ciò che è celeste ha assunto un corpo terrestre e che il corpo terrestre è stato ridotto ad una sostanza celeste».


01/11/14

Nelle Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz | L'Alchimista

.....spesso indica anche il completamento dell'opera.[Qui]




Nelle Nozze chimiche di Christian Rosenkreutz (1690), una lunga allegoria alchimistica imperniata sulla vicenda di un iniziato che cerca di essere accettato ed ammesso ad un matrimonio regale, il procedimeno alchemico viene descritto come un uccello che esce da un uovo, cambia colore e forma ed è sacrificato per ottenerne il sangue:
«Il nostro Uovo, ormai pronto, fu estratto; ma non fu necessario romperlo, perché l'Uccello che era al suo interno si liberò da solo, si mostrò molto gaio, anche se appariva sanguinante e informe.... l'Uccello cresceva così rapidamente davanti ai nostri occhi che noi ben comprendemmo il perché dell'avvertimento che la Vergine ci aveva dato su di lui. Si mordeva e si graffiava in modo così furioso e indiavolato, che, se solo avesse avuto potere sopra uno di noi, l'avrebbe ben presto ridotto in misero stato. Ora, egli era completamente nero, e selvaggio; gli fu dunque portata dell'altra carne ... allora tutte le sue Penne Nere mutarono di nuovo, e al loro posto comparvero delle Penne Bianche come la neve. Egli era piuttosto addomesticato e si sforzava di mostrarsi più trattabile, ma noi non gli accordammo fiducia. Quando fu nutrito per la terza volta le sue Penne incominciarono ad assumere colori così singolari che in vita mia non ho mai visto colori simili della Bellezza. Si dimostrava anche eccessivamente sottomesso si comportava con noi in modo così amichevole, che (con il consenso della Vergine) lo liberammo dal suo stato di prigionia».
Le immagini e i simboli dell'alchimia aiutavano a comprendere la profondità e la complessità delle operazioni di laboratorio. L'alchimista considerava la sua opera un grande mistero, un modo di penetrare nel cuore della creazione. Non dava nulla per scontato; non trattava i suoi processi di laboratorio in modo ripetitivo e meccanico, ma come un processo dinamico e vivente a cui doveva prendere parte. Il suo scopo era quello di andare al di là del regno delle normali apparenze e degli effetti ordinari, per giungere alle cause di quegli effetti, dove avrebbe potuto dare un'occhiata a «Venere disvelata» nella sua camera, esperienza così intensa e potente da essere considerata molto pericolosa per un alchimista non adeguatamente preparato.

Per fare un confronto, basterebbe pensare ad un fisico atomico che avesse incominciato da principio a fare esperimenti e a percepire tutte le cose solo a livello degli atomi che le compongono. I normali concetti di solidità, figura e identità cesserebbero di avere un significato; è pi ù che evidente che l' esperimento rischia di essere completamente sconvolgente se non si è ben preparati ad affrontarlo ed allenati, dal punto di vista sia mentale sia emozionale, senza tenere conto di eventuali nozioni di «teoria degli atomi» da possedere.

31/10/14

"La rugiada delle luci è la tua rugiada" | L'Alchimia

............. Signor Filosofo, se lo sai lo puoi fare, se non lo sai, non lo puoi fare ...» [Qui]

I SIMBOLI DEGLI ELEMENTI
Abbiamo già esaminato il ruolo fondamentale dei quattro elementi nell'alchimia e le qualità che vengono a loro associate. La loro funzione specifica nell'alchimia, ad ogni modo, anche se spesso è oscura e misteriosa, si riconnette ad immagini ed associazioni di idee assai interessanti. Le idee più importanti riguardanti la terra sono state considerate nella sezione sulla Materia Prima, ma la terra può essere rappresentata anche da figure come il cervo e l'unicorno. I pesci sono creature dell'acqua, gli uccelli dell'aria e le salamandre del fuoco. In alchimia il fuoco è più che altro una forza esterna; l'alchimista sistema la sua fornace in modo molto scrupoloso e deve usare il giusto grado di calore per i diversi stadi dell'operazione. Il calore spesso deve essere moderato, simile a quello di una gallina che cova le sue uova. Il periodo di gestazione, dopo che il «seme» della Pietra è stato generato e rimane nell'alambicco ermeticamente sigillato fino al tempo prestabilito, è supportato dal calore del fuoco utilizzato. Spesso si fa cenno al fatto che una sostanza che subisce una trasformazione deve cedere il suo fuoco segreto, che aiuterà la Pietra a ricevere il suo potere detìnitivo. La salamandra deve essere estratta dalla sua caverna:

«[La Salamandra] è catturata e perforata
Così che muore e cede la sua vita con il suo sangue.
Ma anche questo accade per il suo bene:
Dal suo sangue essa riceve la vita immortale,
E allora la morte non ha più potere su di essa»."
L'acqua è strettamente associata a Mercurio. È il solvente universale e può anche servire a far acquistare alla sostanza il colore giusto durante i vari stadi della lavorazione: nero, bianco, giallo o rosso. Abbiamo già visto come il colore fosse considerato una specie di spirito, dotato di proprietà e di poteri particolari. Tutti gli elementi erano ritenuti in possesso di una forma superiore, alquanto differente da quella della normale acqua, aria, fuoco e terra. Sono probabilmente queste forme che ci sono note come «il nostro fuoco» e «la nostra acqua». «La nostra acqua Pontica e Cattolica ... è dolce, bella, chiara, limpida e più splendente dell'oro, dell'argento, dei carbonchi o dei diamanti »; «la nostra acqua è tale che non bagna le mani; è un'acqua celeste, e pure non è acqua di pioggia»; «la nostra acqua è serena, cristallina, pura e bella». Un tipo di acqua che nei testi alchirnistici riveste particolare importanza è la rugiada.

Una famosa tavola contenuta nel Mutus Liber (1667) mostra due alchimisti, un maschio e una femmina, che cercano di strizzare in una coppa della rugiada che hanno raccolto esponendo delle ampie lenzuola all'aria. La rugiada potrebbe essere impiegata per inumidire la Materia alchimistica, per bagnarla o per alimentarla .. Cosa rende dunque la rugiada tanto speciale? In proposito ci sono due scuole di pensiero. Alcuni alchimisti come Armand Barbault, alchimista francese del XX secolo, credono che la rugiada sia permeata dell'elemento vitale delle piante, dalle quali la si raccoglie; essa dunque immette nella Materia un «fuoco verde», un alimento che le arricchisce. Altri ritengono che la rugiada discenda dall'atmosfera, un tramite mistico, il ricettacolo di tutti gli influssi celesti. Nello Zohar (una collezione di scritti cabalistici di età medievale) la rugiada viene citata come attributo sacro:
«v.47 - E sta scritto, Isaia XXVI. 19: "La rugiada delle luci è la tua rugiada". Delle luci, cioè dallo splendore dell'Antico.
«48 - E da quella rugiada sono nutriti i santi del cielo.
«49 - E questa è quella manna che è preparata per il giusto nel mondo futuro.
«50- E quella rugiada stilla sul suolo degli alberi di mele sacri ...
«51 - E l'aspetto di questa rugiada è bianco, come il colore del cristallo, il quale raduna in sé tutti i colori» .

Emblema dell'elemento dell'aria sono gli uccelli, che nei testi alchimisti ci compaiono in forme diverse. Si potrebbe dedicare un libro intero solo al simbolismo dei differenti uccelli nell'alchimia.
Una figura di corvo o cornacchia è il simbolo della nigredo, o putrefazione della Materia Prima.

Un uccello bianco, come il cigno o la colomba, può essere posto in relazione con la prima volta che si è liberata l' «anima» della materia; le polarità di quest'ultima sono appunto il nero del corvo e il bianco dell'uccello più elevato.

Il pavone ha la qualità di messaggero, perché la comparsa della Coda del Pavone, lo spettacolo magnifico di colori iridescenti nell'alambicco, avverte l'alchimista che la sua opera ha innescato il processo di trasformazione e che questo è in corso.

Il pellicano è connesso alla leggenda secondo la quale questo uccello nutre i suoi piccoli con il sangue del suo seno, il che simboleggia il fatto che la materia prima contiene in sé tutto ciò che è necessario alla trasformazione e al perfezionamento, inclusa la sua stessa alimentazione; questo concetto è molto simile a quello dell' «acqua» segreta, che viene estratta dalla sostanza e poi le viene nuovamente somministrata per aiutarla a crescere.

L'aquila è in stretto rapporto con Mercurio; due aquile in combattimento si riferiscono alla battaglia interna che ha luogo nelle fasi iniziali per sciogliere i legami che tengono uniti gli elementi. L'aquila posta in alto o sospesa a mezz'aria è Mercurio nel suo stadio sublime, simbolo di ispirazione; spesso indica anche il completamento dell'opera.
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