02/08/14

... ma li atterrì la fine che fatalmente una volta o l'altra sarebbe dovuta arrivare | Seneca

...................il giorno lo perdono per l'attesa della notte, la notte per la paura della luce.[qui]

17, 1. Persino i loro piaceri sono trepidanti ed inquietati da paure di vario tipo, e si fa loro sotto, proprio quando giubilano, un angosciato pensiero: «Questo, quanto a lungo?». A causa di tale condizione psicologica, re piansero il loro potere, né li allietò la grandezza della loro fortuna, ma li atterrì la fine che fatalmente una volta o l'altra sarebbe dovuta arrivare.
2. Quando per grandi distese di campi spiegava il suo esercito e ne abbracciava non il numero, ma la misura, lacrime versò quel re dei Persiani superbissimo, perché, entro cento anni, nessuno fra tanti giovani era destino sopravvivesse: eppure, era destino che accostasse quelli alla morte proprio lui che li piangeva, e che ne perdesse alcuni per mare, altri in terra. alcuni in battaglia, altri durante la fuga, e che consumasse entro breve tempo coloro per i quali temeva il centesimo anno!
3. Che dire poi del fatto che trepidanti sono anche le loro gioie? non si basano infatti su salde cause, ma sono turbate dalla medesima vanità da cui nascono. Quali poi credi siano i loro momenti di vita, per loro stessa confessione infelici, se anche i motivi per i quali si elevano e si alzano al di sopra degli uomini, sono troppo poco genuini?
4. tutti i beni più grandi sono causa di preoccupazioni, né ad al cuna fortuna meno bene ci si affida che a quella migliore: di altra felicità c'è bisogno per difendere la felicità, e per difendere i voti che hanno avuto buon esito bisogna fare altri voti. Tutto quello che ci si fa incontro fortunosamente è infatti instabile; quanto più in alto si è alzato, tanto più è esposto alla caduta. Nessuno, poi, allietano le cose destinate a cadere: infelicissima, non solo brevissima deve essere pertanto la vita di coloro che con grande fatica si procurano ciò che debbono possedere con fatica maggiore.
5. Con pena conseguono quanto vogliono, con ansia tengono ciò che hanno conseguito; frattanto, non si fa conto alcuno del tempo, sebbene destinato a non più tornare: nuove faccende si sostituiscono alle vecchie, speranza eccita speranza, ambizione ambizione. Non si cerca la fine degli affanni, ma se ne cambia la materia. Le nostre cariche politiche hanno terminato di tormentarci: tempo maggiore se ne portano via le altrui; abbiamo finito di faticare come candidati: cominciamo ad essere sostenitori elettorali di altri; abbiamo deposto la molestia dell'essere accusatori: otteniamo quella di giudicare; ha cessato di essere giudice: è inquisitore; è invecchiato nella stipendiata amministrazione dei beni altrui: è tenuto in schiavitù dai propri beni.
6. Il sandalo militare ha congedato Mario: il consolato lo tiene in preoccupazioni. Quinzio si affretta ad uscire dalla dittatura: sarà richiamato dall'aratro. Andrà contro i Cartaginesi Scipione, non ancora maturo per un'impresa tanto grande: vincitore di Annibale, vincitore di Antioco, decoro del suo consolato, mallevadore di quello fraterno, se non ci fosse l'indugio voluto da lui, sarà posto accanto a Giove: civili discordie metteranno in agitazione il salvatore dello Stato e, dopo che da giovane ebbe a noia onori pari agli dei, già vecchio lo allieterà l'ambizione di un esilio arrogante. Mai mancheranno motivi fruttuosi o angosciosi di preoccupazione; in mezzo alle faccende sarà spinta la vita; l'appartata tranquillità mai sarà realmente vissuta, sempre sarà desiderata.
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