Il-Trafiletto
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06/07/14

Dalla coda delle lucertole l'elisir di eterna giovinezza

Mi rivolgo a voi lettori per farvi una domanda: chi di voi non è mai stato sfiorato dal desiderio di rimanere eternamente giovane? Beh, prima di rispondere riflettete bene, perchè in ognuno di noi, che sia latente o meno, questo desiderio alberga immerso nella speranza che un giorno si possa trovare l'elisir dell'eterna giovinezza.

Siamo sulla buona strada a quanto pare perchè uno studio svolto dai ricercatori del Centre for Genomic Regulation (CRG) di Barcellona,  partito dalla coda delle lucertole, che, come tutti sappiamo, ricresce spontaneamente dopo l'amputazione, è stato individuato, un gene denominato WNT responsabile della produzione di una proteina che a sua volta innesca, come in una reazione a catena, la rigenerazione cellulare.

Cambio pelle
immagine presa dal web
Questo gene, che è presente anche nell'uomo, ed il cui ruolo è importante sia per lo sviluppo cellulare che per la riprogrammazione delle cellule,  se opportunamente stimolato potrebbe provocare un ringiovanimento delle nostre cellule adulte.

Il team infatti ritiene che,  mentre nelle lucertole il gene ha conservato intatta questa sua capacità, nei mammiferi è stata persa. Francesco Aulicino, un altro dei nostri cervelli in fuga, conducendo ulteriori esperimenti, è  riuscito a scoprire che questo gene agisce in maniera intermittente. Sono state osservate due fasi distinte in cui il gene WNT svolge un ruolo diverso. Se si inibisce il gene all'inizio del processo e lo si attiva alla fine si può aumentare l'efficienza della riprogrammazione cellulare ottenendo un numero più elevato di cellule pluripotenti dette IPS.

Come si può facilmente intuire, molte potrebbero essere le benefiche implicazioni di questa scoperta. Sarebbe il primo passo per la produzione di  farmaci in grado di rigenerare i tessuti, si potrebbero combattere e curare le malattie come il cancro, il Parkinson, la sclerosi multipla, gli infarti cardiaci, i danni conseguenti a lesioni spinali, oltre a curare le malattie della pelle.

06/03/14

Il dolore | Dopo decenni di studi scoperta la molecola che fa...male!

Il dolore: dopo decenni di studi scoperta la molecola che fa...male!
Se sessant’anni fa Aldous Huxley, desiderava dare via libera “alla percezione”, oggi la scienza potrebbe essere sul punto di compiere l’esatto contrario.

Proprio cosi: finalmente, dopo decenni trascorsi a compiere ricerche e studi, gli scienziati della University of California di San Francisco sono riusciti nell'impresa di immortalare un’immagine ad altissima risoluzione della Trpv1, ovvero sia la proteina ritenuta responsabile della trasmissione delle sensazioni dolorose dalla pelle al sistema nervoso! Venendo così a conoscenza che la molecola è un vero e proprio portale capace di modificare la sua struttura, cioè dare via libera per l’appunto a reazione a stimoli, come bruciature o contatto con sostanze urticanti.

Molecola del dolore
Lo scorso dicembre, gli scienziati hanno pubblicato su Nature i dettagli della loro scoperta. La ricerca in realtà, era iniziata nei primi anni '90, quando il biologo David Julius si interessò alla capsaicina, la molecola che conferisce al peperoncino il tipico gusto piccante.

All’epoca non se ne sapeva granché: non era chiaro quale recettore vi si legasse e trasmettesse la sensazione al sistema nervoso. Il colpaccio arrivò nel 1997, quando l’équipe di Julius individuò un membro “piuttosto misterioso” di una famiglia di recettori i canali ionici Trp.
Nel corpo dei mammiferi sono disseminati circa 30 diversi canali di questo tipo: i ricercatori scelsero di concentrarsi sulla Trpv1, localizzata nelle fibre nervose sotto la pelle e la lingua e ne scoprirono le caratteristiche fondamentali. “Quando si morde un peperoncino, per esempio”, spiega Quanta Magazine, “la capsaicina si lega al canale Trpv1 e ne modifica la struttura, aprendo le porte per l’interno del neurone. A questo punto, gli ioni entrano nella cellula e innescano l’attività elettrica che invia segnali di dolore al cervello”.

Accade lo stesso quando si sorseggia una tazzina di caffè bollente, ma in quel caso è il calore ad aprire la strada verso il neurone. Da allora a oggi, gli scienziati hanno compreso molte altre caratteristiche del recettore, soprattutto grazie allo sviluppo di nuove tecniche di imaging (in particolare la microscopia crioelettronica) che hanno permesso di fotografarlo con estremo livello di dettaglio.
La Trpv1 a quanto pare, non è un semplice sensore, ma un vero e proprio computer in grado di raccogliere informazioni sul mondo circostante ed elaborarle per proteggerci da danni ulteriori. Funziona più o meno come una manopola del volume che regola l’intensità del dolore: quando è a contatto con la capsaicina per esempio, abbassa la soglia della tolleranza al calore (ecco perché un cibo bollente sembra ancora più caldo dopo aver morso un peperoncino).

Allo stesso modo, rende i neuroni più sensibili a bruciature e sostanze urticanti dopo una scottatura solare. Ma c’è di più. La struttura della Trpv1, secondo gli scienziati, è simile all’airlock delle navicelle spaziali. Sono presenti in realtà due porte – una che dà all’esterno e una che affaccia sul neurone – ed entrambe devono essere aperte perché gli ioni possano fluire e innescare l’attività elettrica. E non tutte le sostanze agiscono allo stesso modo: la capsaicina fa sì che le porte si aprano più frequentemente (dando luogo all’effetto che descrivevamo in precedenza), mentre il veleno del ragno, per esempio, è una specie di fermaporta e luogo a sensazioni di dolore più costanti e prolungate nel tempo. La scoperta, sostengono gli scienziati, aiuterà a mettere a punto nuovi antidolorifici, possibilmente più efficaci con meno effetti collaterali rispetto agli oppiacei attualmente utilizzati: “Più si agisce a livello periferico”, dice Julius, “meglio si può intercettare il dolore senza interferire con in sistema nervoso centrale”. Diamo il benvenuto al dolore nell’era molecolare.

05/03/14

L'elisir di lunga vita | Una proteina che allungherebbe la vita!

L'elisir di lunga vita: una proteina che allungherebbe la vita!
Nemmeno il tempo di venire alla luce che è stata già ribattezzata, ma non poteva essere diversamente, l’elisir di lunga vita e stando a quanto riportato su Cell Reports, dove la molecola che rende migliore lo stato di salute dei topi facendoli vivere più a lungo è stata resa manifesta, tutto indurrebbe a credere che sia proprio cosi!

I ricercatori, coordinati da Rafael de Cabo del National Institute on Aging hanno infatti messo in mostra come, attivando con un supplemento alimentare una proteina, per la precisione la sirtuina 1, è possibile non soltanto migliorare l’attività antiinfiammatoria dei tessuti, ridurre i fattori di rischio legati all’età, ma anche aumentare la vita media dei topi a cui viene fatta assumere: stiamo parlando di ben l’8,8% in più circa.

Perché proprio la sirtuina 1? Diversi studi precedenti hanno suggerito che questa proteina, coinvolta nel metabolismo cellulare, può apportare diversi benefici alla salute per esempio ritardando l’invecchiamento e l’insorgenza di patologie età correlate. Gli scienziati guidati da De Cabo hanno proseguito su questo filone di ricerca, testando gli effetti dell’aggiunta di SIRT1720, una piccola molecola che attiva la sirtuina 1 nella dieta di alcuni topolini.

La proteina che allunga la vita
In particolare a partire da sei mesi e per il resto della loro vita, un gruppo di animali è stato alimentato con una dieta standard con aggiunta di SIRT1720 in quantità pari a 100 mg/kg.
I ricercatori hanno quindi osservato che questa piccola molecola era in grado di migliorare la funzione muscolare e le abilità motorie dei topi, ma anche di ridurre il loro peso corporeo, la percentuale di grasso, nonché il colesterolo Ldl (quello cattivo, per intendersi), aumentando al tempo stesso la sensibilità all’insulina.

E, non da ultimo, il supplemento con SIRT1720 aumentava di circa l’8% la durata media della vita degli animali. Per i ricercatori, secondo i quali l’effetto protettivo contro le patologie cardiovascolari, il diabete e l’infiammazione della molecola potrebbero spiegare in parte quanto osservato, lo studio mostra che possono essere sviluppate sostanze in grado di migliorare l’impatto delle malattie metaboliche e croniche associate con l’invecchiamento. Ma per ora gli scienziati lo hanno fatto sui topi.

01/03/14

USA | SIRTUINA 1, una proteina che fa vivere meglio e più a lungo.

Uno studio condotto dal Dott Rafael de Cabo del National Insitute on Aging del National Institutes of Health negli Stati Uniti, ha scoperto un nuovo impiego possibile di una proteina, la sirtuina 1. Fino ad oggi si sapeva che questa proteina era fondamentale per mantenere l’equilibrio metabolico dei tessuti umani. Lo studio ha dimostrato che inducendo l’attivazione della proteina sirtuina 1 si estende la durata della vita, ritarda l'insorgenza delle malattie metaboliche correlate all'eta' e migliora la salute generale. Per il momento la sperimentazione è stata fatta su animali, nello specifico topi di laboratorio, ai quali è stata data una integrazione quotidiana corrispondente a 100mg/kg di SIRT1720, una molecola che attiva la SIRT1, per la durata di sei mesi. La somministrazione di tale molecola ha esteso significativamente la vita media dei topi dell'8,8 per cento, oltre a ridurre il peso corporeo e la percentuale di grasso, migliorando la funzione muscolare e la coordinazione motoria. In ulteriori studi incentrati sugli effetti di SRT1720 su diverse variabili metaboliche, i ricercatori hanno trovato che la supplementazione di SRT1720 ha portato alla diminuzione dei livelli di colesterolo totale e di colesterolo LDL, che potrebbero aiutare a proteggere contro le malattie cardiache, e miglioramenti nella sensibilità all’insulina che potrebbero aiutare a prevenire diabete. La dieta particolare ha avuto anche effetti anti-infiammatori in diversi tessuti, un dato importante, perché un basso grado di infiammazione cronica contribuisce contro l’invecchiamento e le malattie legate all’età. Se le ricerche dovessero confermare questa tesi e se la proteina dovesse funzionare anche sull’uomo, si tratterebbe davvero di aver scoperto l’elisir di lunga vita che ci permetterebbe, non solo di raggiungere una età considerevole ma soprattutto di arrivarci nel pieno possesso delle nostre facoltà fisiche e mentali.

16/02/14

Addio cara dolce "bottiglia!" | In caso di cuore "spezzato" scordatevi della cara e fedele "bottiglia" da oggi arriva suo fratello! Il "flacone"!

Addio cara e dolce "bottiglia!" In caso di cuore "spezzato" scordatevi della cara e fedele "bottiglia" da oggi arriva in soccorso dei cuori infranti suo fratello. Il "flacone"!
San Valentino è passato ormai, è certamente tra tanti cuori innamorati c'è ne sarà qualcuno spezzato che fino ad oggi per dimenticare, sarebbe stato sufficente attaccarsi alla cara e semper fidelis bottiglia per dimenticare dolori e disperazione. Ma da "domani" in poi troveremo ad aspettarci suo fratello: il flacone.

Da ogni parte del mondo ieri si è festeggiato San Valentino, la festa degli innamorati per antonomasia, il giorno in cui si ribadisce, si risalda il prorpio amore l'uno per l'altra, oppure si prende la decisione di dividersi, andando ognuno per la propria strada, anche se ammetto che questa azione poco si addice all'evento ma comunque sia qualcuno liberamente può decidere di andare in controtendenza.
Cuori spezzati

A tal proposito mi piacerebbe raccontarvi le ultime novità in fatto di farmaci anti-amore in quanto che grazie alle nuove scoperte riguardo alla base neurale dell’amore, la scienza sta mettendo a punto una serie di rimedi farmacologici per curare i cuori spezzati. Prima di tutto, racconta il New Scientist, c’è da definire cosa sia, dal punto di vista neurochimico, il famoso apostrofo rosa tra le parole t’amo. Poco poeticamente, gli scienziati lo descrivono come un fenomeno neurobiologico che si divide in tre sottocategorie:
  • innamoramento
  • attrazione 
  • attaccamento
Alla base di tutte e tre c’è l’aumento del successo riproduttivo e quindi la continuazione della specie. Ognuno di questi aspetti, racconta Helen Fisher, della Rutgers University nel New Jersey, è legato all’interazione di diversi meccanismi chimici cerebrali. L’innamoramento delle prime ore per esempio, ha diverse caratteristiche in comune con i disturbi ossessivi-compulsivi (Ocd).
Donatella Marazziti, scienziata dell’Università di Pisa, ha comparato il cervello di venti persone alle prese con le prime pene d’amore con quello di altrettante affette da Ocd, scoprendo in entrambi i gruppi livelli insolitamente bassi di una proteina che trasporta la serotonina, l’ormone responsabile della regolazione dell’umore.

Ricontrollando gli amanti l’anno successivo, quando erano scemate le attenzioni compulsive nei confronti del partner, la ricercatrice ha scoperto che i livelli di serotonina erano tornati ai valori normali. È quindi ragionevole pensare che i farmaci regolatori della serotonina possano smorzare le pene d’amore del primo periodo di una relazione. Si tratta di molecole già usate per il trattamento degli Ocd, tra le quali gli inibitori della ricaptazione della serotonina, che smussano le emozioni estreme e rendono più difficile la formazione di legami romantici. Reazioni che di solito sono considerati effetti collaterali, ma che potrebbero risultare utili per chi vuole interrompere l’ossessione per il partner.

Lo studio dei comportamenti animali può insegnare qualcosa per quel che riguarda, invece, i legami più duraturi. L’arvicola della prateria, per esempio, è notoriamente monogama. Larry Young, della Emory University, ha somministrato all’animale un farmaco che bloccava dopamina e ossitocina con il risultato di farlo diventare poligamo.
“Pensiamo quindi”, spiega il ricercatore al NewScientist, “che il blocco di queste sostanze possa servire per recidere attaccamenti a lungo termine”. Attenzione, però, agli effetti collaterali: l’ossitocina è importante per tutte le relazioni, non solo per l’amore romantico e quindi intaccherebbe tutti i rapporti umani.

Allo stesso modo, il blocco del fattore di rilascio della corticotropina (Crf), un ormone coinvolto nella risposta allo stress, allevia la depressione dell’arvicola dopo la morte dell’unico partner. E forse potrebbe servire per casi analoghi anche nell’essere umano. Un altro possibile approccio potrebbe essere simile a quello usato per curare i disturbi da stress post-traumatico: si cerca di sostituire il ricordo che genera sofferenza con una memoria emotivamente meno negativa.

Le persone che provano dolore dopo un amore finito male, infatti, hanno mostrato una maggiore attività cerebrale nel pallidum ventrale, la zona legata all’attaccamento, rispetto alle persone che vivono una relazione felice: un giorno, secondo Fisher, potrebbe essere possibile usare la stimolazione cerebrale per diminuire l’attività in quest’area del cervello e velocizzare l’effetto curatore del tempo. Naturalmente, ci sono molti scettici. Il neuro-eticista Brian Darp, per esempio, consiglia di provare prima i rimedi tradizionali: “Esistono strategie provate per secoli. Creare una distanza fisica e non passare più tempo con la persona che ci fa soffrire è un buon inizio. Un trucco moderno potrebbe essere quello di smetterla di guardare il suo profilo Facebook. Se tutto fallisce e se si prova che i farmaci anti-amore possono davvero aiutare le persone a superare la crisi e andare avanti, potrebbero esserci buone ragioni per usarli”.
Romeo dunque, passa in farmacia!
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