Il-Trafiletto
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02/08/14

2 agosto 1980-2014: sono trascorsi 34 anni da quel tragico sabato di sangue alla stazione di Bologna.

La mattina di sabato 2 agosto 1980, alle ore 10,25 si compiva uno degli atti terroristici più gravi avvenuti in Italia nel secondo dopoguerra, da molti indicato come uno degli ultimi atti della strategia della tensione. L’esplosione di un ordigno a tempo avvenuto nella sala d’aspetto della 2 classe della stazione ferroviaria di Bologna, causò il crollo dell’ala ovest dell’edificio, e di circa 30 metri di pensilina, investendo anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti. Le indagini iniziali attribuirono l’esplosione ad una vecchia caldaia sita nel sotterraneo della stazione, in seguito dai rilievi effettuati e dalle testimonianze raccolte sul luogo dell'esplosione, venne appurata la natura dolosa dell'attentato, opera chiaramente di una matrice terrorista, e le indagini vennero indirizzate nell'ambiente del terrorismo nero. Molti furono i depistaggi nelle indagini, già fin dalle prime ore dell’attentato, il che, aggiunto all’iniziale ipotesi che questi non si trattasse appunto di un attentato, si diede modo agli esecutori di dileguarsi indisturbati. Ma il 26 agosto 1980 la Procura della Repubblica di Bologna emise ventotto ordini di cattura nei confronti altrettanti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Tra questi Francesca Mambro, Valerio Fioravanti, Roberto Fiore e Aldo Semerari,il criminologo amico di esponenti della camorra, della banda della Magliana e dell’estrema destra fascista. tutti saranno scarcerati nel 1981. Il 19 gennaio 1987 inizia il processo di primo grado per la strage alla stazione di fronte alla Corte d’Assise di Bologna e due anni dopo arriva la sentenza di primo grado: ergastolo per Francesca Mambro, Valerio Fioravanti, Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco, 10 anni a Licio Gelli (P2), Francesco Pazienza (legato al Sismi) per aver depistato le indagini. Il 18 luglio 1990 la sentenza di secondo grado assolve tutti i neofascisti dal reato di strage. Fioravanti, Mambro, Giuliani e Cavallini vengono condannati solo per il reato di banda armata. Venne richiesta la rimozione della lapide di commemorazione alla stazione che parla di “strage fascista” mentre il presidente del consiglio Giulio Andreotti e Cossiga, ancora al Quirinale, si scusano con il Movimento Sociale Italiano. Nel 1992 le sezioni penali unite della Corte di Cassazione annullano con rinvio la sentenza d’appello, mentre nel maggio 1994 si arriva alla nuova sentenza: ergastolo per Fioravanti, Mambro e Picciafuoco. Per i depistaggi 10 anni a Gelli e Pazienza. Anche quest’anno Bologna non dimentica, sono previste manifestazioni per ricordare la strage e per far sì che nessuno dimentichi, anche se nei sondaggi spesso effettuati rivelano come il ricordo stia svanendo, e i ragazzi di oggi non sanno cosa sia successo e cosa significhi quel 2 agosto di 34 anni fa.

24/03/14

Roma | 24 marzo 1944 - 24 marzo 2014: settanta anni esatti dall'eccidio delle Fosse Ardeatine.

Settant’anni esatti dalla strage delle Fosse Ardeatine. Infatti il 24 marzo 1944, a Roma, venne perpetrato uno dei massacri più atroci e criminali non solo della Seconda Guerra Mondiale, ma di tutto il Novecento in Italia. Da sempre, infatti, sentiamo parlare delle Fosse Ardeatine come di un simbolo dell’assurdità della guerra, come una supremazia del male nella sua natura, che non si arresta neppure di fronte ai deboli e agli indifesi, anzi si accanisce proprio contro di loro. Furono 335 i morti nella strage delle Fosse Ardeatine: oggi tutti li ricordano, ma pochi, soprattutto tra i più giovani, sanno bene il perché. Perché l'eccidio delle “ Fosse Ardeatine”? A Roma, nelle vicinanze di via Ardeatina, le cave di tufo presenti nella zona settant’anni fa furono il teatro dell’esecuzione da parte dei generali nazisti dei 335 cittadini italiani, alcuni civili, altri militari. Un evento che ha reso quest’area uno dei monumenti nazionali, simbolo della Resistenza in Italia e soprattutto nella Capitale. Infatti Dopo l’8 settembre 1943, l’Italia era nel pieno della guerra civile e Roma, dichiarata città aperta nell’agosto dello stesso anno, era in balia dei raid nazisti, con i gruppi spontanei di partigiani a creare un’opposizione via via sempre più diffusa e organizzata alle calcagna dei tedeschi. LA STORIA.Per contrastare questa crescente ondata di terrore e terrorismo da parte delle truppe naziste, i nascenti gruppi partigiani si organizzarono per una rappresaglia il 23 marzo del 1944, cioè nel venticinquesimo anniversario della nascita dei Fasci di combattimento da parte di Benito Mussolini. Così, nella data stabilita, una bomba con 18 chilogrammi di esplosivo fece fatta scoppiare in via Rasella, nel centro di Roma, uccidendo ben 32 ufficiali tedeschi del battaglione “Bozen” sotto indicazione del noto antifascista Giorgio Amendola, abituato a vedere marciare i militari nazisti in quelle zone. LA REAZIONE TEDESCA. I nazisti organizzarono una ritorsione inaudita, uno dei crimini di guerra più feroci mai registrati in Europa: i marescialli hitleriani arrivarono alla conclusione che per ogni ufficiale rimasto vittima dell’attentato, sarebbero stati uccisi dieci italiani. La popolazione e i gruppi combattenti vennero tenuti all’oscuro fino all’ultimo: non fu intimato ai responsabili di consegnarsi per evitare azioni eclatanti, né vennero diramati avvertimenti pubblici. L’ordine di questa orribile esecuzione partì dal generale Kurt Mälzer, comandante militare in quel periodo a Roma e primo ad arrivare sul posto dopo lo scoppio della bomba partigiana, insieme al questore filofascista Caruso. A occuparsi delle operazioni, venne chiamato il colonnello delle SS Herbert Kappler, uno degli ufficiali più spietati, che aveva già legato il proprio nome a episodi cruenti in quei mesi difficili nella Capitale. Furono loro a intavolare le trattative con il Reich, da una parte, e la Repubblica di Salò, dall’altra, trovando il supporto delle autorità fasciste ancora insediate. LE VITTIME.Inizialmente, si pensò di ricorrere ai condannati a morte come vittime di questa strage predeterminata a scopo intimidatorio, dopo l’atto ostile compiuto dai partigiani. Poi, accortisi dell’insufficienza dei numeri tra coloro in attesa di pena capitale, la lista arrivò presto a comprendere ebrei, antifascisti, “noti comunisti”, militari complici dell’arresto di Mussolini il 25 luglio del 1943, e 50 detenuti dal carcere di Regina Coeli, alcuni indicati dai fascisti, altri presi sommariamente per far quadrare i conti, più sacerdoti, professori, partigiani, cittadini "colpevoli" per il loro essere antifascisti. LA STRAGE. Tra le 12 e le 20 del 24 marzo 1944, 335 persone furono trasportate alle cave di tufo in via Ardeatina e qui fucilate in 67 turni di esecuzioni,cinque alla volta, una vera e propria carneficina, con i racconti da pelle d’oca, tra montagne di cadaveri e soldati imprecisi a sparare che infieriscono sui corpi delle vittime. La lista delle vittime venne affidata al capitano Priebke, il quale si occupò personalmente di verificare che gli ordini fossero eseguiti. I RESPONSABILI. Kappler e Priebke,a distanza di anni uno dall’altro, furono condannati all’ergastolo, mentre il generale Albert Kesserling venne condannato a morte, condanna poi commutata nel carcere a vita. Priebke è morto pochi mesi fa, a Roma. La strage delle Fosse Ardeatine è stato un crimine di violenza inaudita, realizzato da un regime in decadenza che stava cercando di ribaltare con le atrocità la china di un conflitto che lo vedeva ormai battuto. Solo una scarsa conoscenza dei fatti, o una rilettura fugace e opportunistica, può affermare il contrario. Anche se, negli ultimi anni, di opinioni strambe che hanno trovato cittadinanza in Italia, se ne sono sentite, purtroppo, parecchie.

29/12/13

Strage in Russia: 15 le vittime!

Identificata l'autrice dell'attentato suicida in Russia che  facendosi esplodere alla stazione centrale di Volgograd, ha provocato la morte di 15 persone e il ferimento di altre 34, di queste 8 versano in condizioni molto gravi (fra queste, una bambina di nove anni). In base a quanto ha reso noto il sito di notizie vicino ai servizi dell'Fsb Life News, dovrebbe trattars di Oksana Aslanova, 26 anni, originaria del Daghestan, la regione in cui sono concentrati i gruppi jihadisti.
L'esplosione è avvenuta intorno alle 12.45 ora locale (le 9:45 in Italia) nella zona dei metal detector posta all'entrata della principale stazione ferroviaria della città. L'esplosivo indossato dall'attentatrice aveva una potenza equivalente a 10 chilogrammi di tritolo. I controlli della sicurezza avrebbero fatto si d'impedire all'attentatrice di raggiungere la sala d'aspetto, riducendo di gran lunga così il numero delle vittime.
Due mesi fa un'altra kamikaze originaria del Daghestan aveva ucciso sei persone facendosi saltare in aria in un autobus pieno di studenti chestavano recandosi a Volgog . La città, di circa un milione di abitanti, che si trova nelle vicinanze del Caucaso russo, una zona politicamente  e a 690 chilometri da Sochi, dove sono in programma le olimpiadi invernali del prossimo anno.
Dopo l'attentato, il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto alla Commissione inquirente l'adozione di tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza. Putin ha anche chiesto di assicurare tutta l'assistenza necessaria alle persone ferite dell'esplosione, provvedendo al loro trasporto a Mosca se necessario.
Le misure di sicurezza, inoltre, saranno rafforzate in stazioni e aeroporti, ha aggiunto un portavoce della polizia, Vladimir Kolesnikov. Due giorni fa un'autobomba era esplosa nella città meridionale russa di Pyatigorsk, vicino al Caucaso, uccidendo tre persone.
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