Il-Trafiletto
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16/07/14

"troppe tasse, io scapperei a...." Ecco alcuni luoghi dove si vive meglio.

“Se potessi, scapperei dall’Italia”, “Me ne andrei in qualche atollo”, “basta tasse, voglio vivere in un posto più tranquillo”; le nostre giornate sono piene di frasi di questo tipo, le sentiamo ovunque, al mercato, in banca, alle poste, nelle interminabili file di tutti i giorni. In effetti nel nostro pianeta ci sono dei luoghi nei quali si può vivere tranquillamente e serenamente, ma soprattutto economicamente, lontano da tasse, problemi di ogni tipo, e da tante altre scocciature che ci fanno rodere il fegato. Ci sono luoghi dove la benzina costa meno della metà, il cibo è buono e molto a buon mercato e in quanto a sicurezza non c’è un problema, insomma, si può vivere bene anche da pensionati. Ma dove andare? In ogni continente si può trovare la meta adatta alle nostre possibilità ed esigenze. Vediamone alcune. CONTINENTE ASIATICO. In Thailandia, per esempio, per avere un visto d’ingresso da pensionato è sufficiente dimostrare di avere una entrata fissa mensile, il tenore di vita è molto basso e città come Bangkok e Phuket sono abbastanza tranquille. Alternativa asiatica e l’Indonesia, dove l’importante è avere superato i 55 anni, avere un’assicurazione sanitaria e la dichiarazione di non voler lavorare. CONTINENTE AFRICANO. La Tunisia è molto ricercata dai nostri connazionali. In questo Stato dopo un visto di tre mesi si può fare richiesta per quello definitivo e dimostrare di avere un reddito mensile. Il Kenya concede la residenza a chi dimostra di avere una casa di proprietà. Alle Canarie si ha diritto alla reversibilità della pensione “in loco” dopo una residenza di almeno sei mesi, mentre a Capo Verde è sufficiente essere titolari di una pensione di almeno 1000 euro. CONTINENTE AMERICANO (Centro-sud). Nella Repubblica Dominicana si ottiene la residenza in 45 giorni dimostrando una rendita di circa 1200 euro, mentre in Costarica è ancora più semplice, occorre una rendita di 1000 euro. Anche in Europa non mancano paradisi fiscali, Irlanda, Cipro, isola di Man e isola di Jersey sono alcuni. (immagine presa dal web) .

03/02/14

A Mae la tolleranza è una necessità | Mae Sot esseri umani senza futuro!

A Mae Sot la tolleranza è una necessità! Vi è un posto nel pianeta che si trova esattamente al confine fra la Thailandia e la Birmania, dove vivono esseri umani, un popolo speciale, un popolo che ha subito un furto, un popolo a cui hanno trafugato un tesoro inestimabile: il loro futuro!

Sono a decine di migliaia i rifugiati politici e i profughi birmani che sin dagli anni '80 a seguito degli scontri fra le minoranze etniche in particolar modo di etnia Karen e la dittatura militare del paese birmano, hanno illegalmente varcato il confine stabilendosi in Thailandia e con il trascorrere del tempo, hanno ottenuto lo stato di rifugiati, lavorando per lo più come braccianti agricoli.
La situazione che si è venuta a creare negli ultimi decenni in questa area della Thailandia, abbinata alla povertà delle strutture in cui questo popolo si è stabilito, è affascinante e preoccupante al tempo stesso.

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Mae Sot
Preoccupante perché i birmani in Thailandia vivono in condizioni di indigenza, non possono lavorare regolarmente nel paese che li ospita perché privi di visto o cittadinanza, così come non possono godere delle strutture sanitarie e di altri diritti quali il riconoscimento a livello internazionale degli studi svolti negli accampamenti.
Affascinante perché, nella loro semplicità, vivono in villaggi dove la natura è padrona, e hanno saputo creare, anche grazie alle associazioni umanitarie presenti sul posto, forme di collaborazione sociale nuove e attive.

A circa 60 chilometri a nord di Mae Sot è possibile, previo preventivo permesso e superando un blando posto di blocco, raggiungere Mae La, il più grande dei campi profughi della zona, che oggi conta una popolazione di circa 50.000 birmani rifugiati. Le statistiche sono tuttavia incerte. Da tempo infatti il governo thailandese ha terminato la consegna dei numeri che sanciscono lo stato di rifugiato e che qui fra la popolazione del campo vengono scambiati in una sorta di "mercato nero" per garantirsi alcuni privilegi, tuttavia siamo ormai alla seconda generazione di nati in terra straniera.

Aperto nel 1984, Mae La offre una vista eccezionale all'arrivo. Composto da centinaia di baracche di bambù con tetti di foglie ordinatamente sistemate ai piedi della montagna nel mezzo di una vegetazione tropicale, il campo ospita oggi anche i figli dei figli dei primi rifugiati, bimbi che scorrazzano felici a piedi nudi per le strade sterrate, ignari delle loro origini e senza una precisa appartenenza futura.

Sebbene a gennaio 2012 il Governo dell'unione birmana abbia firmato un preliminare trattato di "cessate ostilità" con il Karen National Union (ancora in corso di negoziazione), teoricamente ponendo così fine all'origine della diaspora, e nonostante la situazione in Myanmar sia negli ultimi anni leggermente migliorata, con la riabilitazione del premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, oggi a capo dell'opposizione, i birmani thailandesi hanno ancora paura a rientrare nelle loro terre. Molti di loro, la seconda e terza generazione, non sentono in realtà nemmeno l'esigenza di tornare, perché sono nati in queste zone, sulle quali però non hanno diritti.
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