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30/10/14

Tim Cook sostituto di Steve Jobs: 'Orgoglioso di essere gay'

L'amministratore delegato di Apple con una lettera pubblicata su Bloomberg Businessweek fa coming out. "Essere gay mi ha fatto capire profondamente cosa voglia dire fare parte di una minoranza. Felice di esserlo ed orgoglioso di esser gay".


Sono stato fortunato a lavorare in un'azienda che valorizza le differenze- orgoglioso di essere gay. Tim Cook l’amministratore delegato di Apple, successore di Steve Jobs alla guida della casa della Mela, per la prima volta in pubblico racconta della sua omosessualità.. Nell’ambiente era noto da tempo, ma Cook, 53 anni, non si era mai esposto pubblicamente. Ci tiene a mantenere un livello minimo di privacy, non vuole attirare curisità sulla sua persona ma sul lavoro che fa, ma ha sempre creduto alle parole di Martin Luther King, che ha detto ‘Cosa stai facendo per gli atri?’ […]
" Mi sono reso conto che il desiderio di tutelare la mia privacy personale mi ha trattenuto dal fare qualcosa di importante. […] Non ho mai negato la mia sessualità, ma non l’ho neanche mai riconosciuta fino a ora. Permettetemi di essere chiaro: io sono orgoglioso di essere gay.
Lo scorso giugno, Cook si era congratulato con un tweet per la partecipazione di 5 mila dipendenti di Apple al Gay pride di San Francisco senza dare dare nessun'altra spiegazione. s

Tim Cook
"Essere gay ha reso la mia vita più ricca, mi ha fatto capire profondamente cosa voglia dire fare parte di una minoranza […]. Mi ha reso più empatico. È stata dura e difficile, a volte, ma mi ha dato il coraggio di essere me stesso, di seguire la mia strada e di superare le avversità e il bigottismo», racconta. E dice il suo parere sui matrimoni omosessuali, riconoscendo come il mondo sia «cambiato così tanto da quando ero un ragazzino". Continueremo a combattere per i nostri valori». Conclude: «Dobbiamo costruire un percorso illuminato verso la giustizia tutti insieme, mattone su mattone. Questo è il mio mattone».


03/02/14

A Mae la tolleranza è una necessità | Mae Sot esseri umani senza futuro!

A Mae Sot la tolleranza è una necessità! Vi è un posto nel pianeta che si trova esattamente al confine fra la Thailandia e la Birmania, dove vivono esseri umani, un popolo speciale, un popolo che ha subito un furto, un popolo a cui hanno trafugato un tesoro inestimabile: il loro futuro!

Sono a decine di migliaia i rifugiati politici e i profughi birmani che sin dagli anni '80 a seguito degli scontri fra le minoranze etniche in particolar modo di etnia Karen e la dittatura militare del paese birmano, hanno illegalmente varcato il confine stabilendosi in Thailandia e con il trascorrere del tempo, hanno ottenuto lo stato di rifugiati, lavorando per lo più come braccianti agricoli.
La situazione che si è venuta a creare negli ultimi decenni in questa area della Thailandia, abbinata alla povertà delle strutture in cui questo popolo si è stabilito, è affascinante e preoccupante al tempo stesso.

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Mae Sot
Preoccupante perché i birmani in Thailandia vivono in condizioni di indigenza, non possono lavorare regolarmente nel paese che li ospita perché privi di visto o cittadinanza, così come non possono godere delle strutture sanitarie e di altri diritti quali il riconoscimento a livello internazionale degli studi svolti negli accampamenti.
Affascinante perché, nella loro semplicità, vivono in villaggi dove la natura è padrona, e hanno saputo creare, anche grazie alle associazioni umanitarie presenti sul posto, forme di collaborazione sociale nuove e attive.

A circa 60 chilometri a nord di Mae Sot è possibile, previo preventivo permesso e superando un blando posto di blocco, raggiungere Mae La, il più grande dei campi profughi della zona, che oggi conta una popolazione di circa 50.000 birmani rifugiati. Le statistiche sono tuttavia incerte. Da tempo infatti il governo thailandese ha terminato la consegna dei numeri che sanciscono lo stato di rifugiato e che qui fra la popolazione del campo vengono scambiati in una sorta di "mercato nero" per garantirsi alcuni privilegi, tuttavia siamo ormai alla seconda generazione di nati in terra straniera.

Aperto nel 1984, Mae La offre una vista eccezionale all'arrivo. Composto da centinaia di baracche di bambù con tetti di foglie ordinatamente sistemate ai piedi della montagna nel mezzo di una vegetazione tropicale, il campo ospita oggi anche i figli dei figli dei primi rifugiati, bimbi che scorrazzano felici a piedi nudi per le strade sterrate, ignari delle loro origini e senza una precisa appartenenza futura.

Sebbene a gennaio 2012 il Governo dell'unione birmana abbia firmato un preliminare trattato di "cessate ostilità" con il Karen National Union (ancora in corso di negoziazione), teoricamente ponendo così fine all'origine della diaspora, e nonostante la situazione in Myanmar sia negli ultimi anni leggermente migliorata, con la riabilitazione del premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, oggi a capo dell'opposizione, i birmani thailandesi hanno ancora paura a rientrare nelle loro terre. Molti di loro, la seconda e terza generazione, non sentono in realtà nemmeno l'esigenza di tornare, perché sono nati in queste zone, sulle quali però non hanno diritti.
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