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29/09/14

Apple accusata di 'elusione fiscale' | Maximulta da Bruxelles

La commissione europea accusa la Apple di "elusione fiscale" e gli combima una multa di miliardi di euro


Il fatto era già noto da due anni, quando al Congresso di Washington, il chief executive di Apple, Tim Cook, fu messo alla gogna per la gigantesca elusione fiscale. In quell’occasione venne fuori il ruolo-chiave dell’Irlanda e l'accusa d'aver usufruito di aiuti di stato irlandesi.
Luca Maestri direttore finanziario della Apple, in un intervista al Financial Times, respinge tutte le accuse, dichiara che «non c’è mai stato un accordo col governo irlandese che configuri un aiuto di Stato». Ma la smentita si riferisce solo a un’interpretazione molto restrittiva e letterale degli aiuti di Stato.
La vicenda
Il governo irlandese per attirare investimenti esteri, ha offerto dei regimi regimi fiscali agevolati simili a quelli di un paradiso fiscale offshore. Nel caso di Apple, per esempio, il prelievo sugli utili è quasi inesistente, l’aliquota è del 2%, ma in pratica la Apple paga anche meno. Con un trattamento così invitante è chiaro che la Apple ha manovrato e convogliato utili fatti in altre aree del mondo verso le sue filiali in Irlanda, sottraendo in questo modo tasse al fisco americano.

All’epoca dell’audizione al Congresso, la Apple aveva accumulato cash per 150 miliardi di dollari, quasi tutto collocato dentro le sedi estere e quindi praticamente esentasse. Ma l’Irlanda cosa ci guadagnava? Poco, almeno secondo la commissione d’inchiesta del Congresso Usa, la quale dichiarò che molte filiali di Apple in Irlanda sono scatole vuote, contenitori finanziari, che non creano occupazione. E' sottinteso che la decisione della Commissione di Bruxelles condanna anche Dublino.

L'accusa d'aver approfittato degli aiuti di stato si ritorce anche verso chi li ha elargiti, anche se la multa colpisce solo Apple. Di fatto gli aiuti di Stato sono perseguibili nel diritto antitrust dell’Unione europea perché rappresentano una distorsione della concorrenza: le aziende che operano in mercati simili in altri Paesi vengono danneggiate. La multa contro Apple, quando verrà annunciata, segnerà un nuovo capitolo nella guerra tra Bruxelles e la Silicon Valley.

07/12/13

Buone nuove dalla Francia: Netflix presto anche da noi!

«Dalla Francia arriva una buona notizia, che assume importanza notevole per l'Italia: Netflix, piattaforma statunitense di video in streaming a noleggio che arriverà presto anche in Italia, è appena sbarcato in Francia (in realtà il lancio vero e proprio dovrebbe essere nell'autunno 12014, mentre in Germania il via è atteso in primavera, ndr) e ha scoperto che tra le condizioni che pone l'Eliseo c'è la necessità di avere una partita Iva francese». Tra le altre condizioni poste dai francesi, secondo Boccia «il finanziamento della produzione audiovisiva e cinematografica».

Questo è quanto riportava, Radio Radicale, delle dichiarazioni del presidente della Commissione Bilancio, Francesco Boccia, tornando sulla Web Tax proposta dal Pd (lo stesso Boccia è primo firmatario) come emendamento alla legge di Stabilità e che si propone di mettere un argine al fenomeno dell'elusione fiscale dal parte delle big dell'hi-tech.

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Netflix presto anche in Italia
«Tutto questo dimostra che quello della produzione del valore nella cosiddetta economia digitale - prosegue Boccia - è un campo in cui l'Ue è in un ritardo spaventoso e i flussi finanziari che ogni giorno perdono i singoli Stati membri si sommano alla perdita di gettito fiscale. Non possiamo più restare fermi di fronte ad una concentrazione di ricchezza mai vista prima dentro aziende tutte non europee con una elusione pari al 100% e ad un impoverimento graduale di alcuni settori nazionali che a mio avviso sono strategici nel mondo moderno».

«La proprosta francese di imporre l'Iva - aggiunge - è in linea con la nostra, che vedrà la luce nella legge di stabilità che ci apprestiamo a votare prima in commissione e poi in Aula con diversi emendamenti. A firma Fanucci e Carbone del Pd sostenuto anche da Sel con Boccadutri, oltre a Ncd e a tutti gli altri gruppi di maggioranza. Mi auguro che sostengano questa battaglia anche M5stelle e Fi».
Ma Raffaele Rizzardi, tra i massimi esperti in materia di Iva e componente del Comitato fiscale europeo, non concorda con l'esponente del Pd: «L'Iva è un problema Ue ed è già disciplinato nel senso che già si paga l'Iva del Paese del cliente privato. Dal 2003 per i provider non stabiliti nella Ue. A partire dal 2015 per quelli stabiliti nella Ue.

Ancora per un anno i provider stabiliti nella Ue pagheranno quindi l'Iva del loro Paese, ma non è inferiore al 15%». Il problema, secondo Rizzardi sta tutto da un'altra parte e non coincide affatto con quanto contemplato dal testo di cui si fa latore Boccia: «Il punto è fare pagare le imposte sui redditi, la partita Iva non c'entra per niente, anche per effetto del regolamento europeo 282/11 che esclude la presunzione di stabile organizzazione in presenza di una partita Iva. Quindi, occorre «considerare il server nazionale come una stabile organizzazione. Ma qui entra in gioco l'Ocse». (Al.An.)



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