Il-Trafiletto
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17/06/14

Il conflitto è il padre di tutte le cose

«Il conflitto è il padre di tutte le cose». Una relazione sana cresce con il confronto, mentre la negazione del conflitto può farla ammalare lentamente

Quattro passi insieme:

Analizziamo in quattro fasi la gestione del confitto, con alcuni suggerimenti per ciascuna di esse: RICONOSCIMENTO.
Non anestetizzarsi di fronte ai conflitti (per sfiducia nelle proprie capacità di affrontarli o fatalismo): riuscire a definirli con chiarezza è un primo passo fondamentale.
INDUGIO
Accettare, tollerare, sostare nel conflitto: significa prendersi il tempo di elaborarlo emotivamente, sfuggire all'impulso di trovare subito una soluzione (magari stereotipata o aggressiva) per tamponare l'ansia. Ascoltarsi, e ascoltare l'altro, per comprendere. Contare fino a dieci, e anche di più.
COMUNICAZIONE
Spostare lo scontro dal piano immediato a quello simbolico: implica il sapersi decentrare, per ascoltare e accogliere il punto di vista altrui (è utile riassumerlo ad alta voce, per essere sicuri di aver compreso); esprimere le proprie emozioni e richieste, anziché giudizi (per esempio: «sono a disagio quando non rispetti gli orari, ti chiederei di essere più preciso» è più corretto che «sei il solito ritardatario»); restare sul tema, non deviare sul passato o su accuse tangenziali. Può essere utile la presenza di un facilitatore, e/o l'uso di rituali specifici.
SOLUZIONE.
La creatività è il principio vincente: la negoziazione è un processo che avviene per un certo periodo di tempo, in cui si cerca una soluzione senza perdenti, che soddisfi le esigenze di tutti o almeno rientri nella logica del minor danno. La crescita potenzialmente presente in questa fase è notevole, purché si riesca a non approfittare della superiorità di una parte sull'altra. La logica di potere è ricattatoria e involutiva, nonché aggressiva. Sono utili le tecniche di sviluppo della creatività, come il brainstorming. (Il brainstorming è una tecnica di creatività di gruppo per far emergere idee volte alla risoluzione di un problema)
Prima parte: Facciamo la pace | nè vinti nè vincitori.

15/06/14

Facciamo la pace | nè vinti nè vincitori.

COME COMPORTARSI DI FRONTE AD UN CONFLITTO PERSONALE

Vivere senza litigare è spesso un'utopia. Più facile, invece, imparare a disinnescare una situazione potenzialmente esplosiva. Con i parenti, come con i colleghi di lavoro. Senza creare nè vinti, nè vincitori.

Oggi parlare di pace sembra proprio difficile. Sarebbe bello poter essere promotori di armonia, almeno nel nostro microcosmo. E invece spesso ci troviamo a litigare proprio con chi amiamo di più, i genitori, i figli, il partner, noi stessi. Per non parlare poi di coloro che non amiamo affatto, con cui il conflitto è sempre pronto: i prepotenti, i furbi ... Si tende a colpevolizzarsi proprio per quest'incapacità di andar d'accordo, oppure, secondo il carattere, a colpevolizzare l'altro. In realtà convivere è un' arte che s'impara, e il primo passo è riconoscerne la complessità. Purtroppo, siamo stati educati a temere il conflitto, a evitarlo, non a gestirlo. Ma la pace costante non è possibile, finché siamo vivi. È un obiettivo irraggiungibile, che può solo generare ansia. Un'insegnante, per esempio, che si trova quotidianamente in una classe irrequieta, vive con frustrazione e sconforto la fatica di mantenere una disciplina. Eppure è fisiologico che i ragazzi si comportino così: il punto è capire con quale atteggiamento affrontarli, non pretendere che stiano buoni. La pace a tutti costi di solito porta alla guerra, che omogeneizza e impone la bontà. Un genitore che non tollera i litigi con i figli può arrivare a sopprimerli con 1'autorità. Ma i conflitti repressi, in ambito psicologico, conducono a comportamenti devianti. È dunque importante accettare che i conflitti inevitabili, e parte della vita: non hanno una connotazione negativa, dipende da come li si gestisce. Da essi nascono talvolta sviluppi impensati e profiqui.
Facciamo la pace

ACCETTARE IL PRIMO PASSO Secondo Eraclito, il conflitto è il padre di tutte le cose. È bello vederlo come un elemento generativo, una risorsa creativa. Non solo tollerare o controllare le divergenze, ma accettarne la sfida e crescere. Nell'infanzia è il conflitto a determinare la costruzione della propria identità. Si pensi ai primi «no!», che servono a tracciare dei confini tra il bambino e la mamma, o a porre dei limiti all'onnipotenza infantile.
Accettare i conflitti significa riconoscerli e affrontarli senza temere di distruggere la relazione: che anzi ne può venire arricchita e migliorata. La separazione, l'allontanamento, la rottura: sono questi fantasmi a spaventarci e a farei temere il litigio. Ma una relazione sana cresce con il confronto, mentre la negazione del conflitto può farIa ammalare lentamente.
Quando i bambini si picchiano, gli adulti spesso intervengono picchiandoli a loro volta, oppure ergendosi a giudice e giuria. Secondo i pedagogisti è molto difficile per l'adulto, educato a reprimere i contrasti, tollerare il conflitto tra bambini, e aiutarli a trasformare l'esperienza, a volte indubbiamente dolorosa, del litigio in una dinamica di "competenza al conflitto", dove l'altro non viene trasformato in nemico, demonizzato, ma mantenuto in un rapporto di vicinanza, di empatia.
Eppure l'educazione alla pace nasce da questi episodi. Meglio lasciare il più possibile che i fratelli se la sbrighino da soli, nei loro frequenti e laceranti contrasti. Quando è necessario accorrere (si stanno facendo male o cercano alleanza contro l'altro) è importante aiutarli a negoziare fra di loro, senza suggerire delle soluzioni (Fate a turno) oppure prendere le difese di uno dei due (Lui è più piccolo!), ma facendo sì che entrambi apprendano a esporre le proprie ragioni, ascoltare quelle dell'altro, e a proporre delle mediazioni creative.
L'adulto diventa cioè un facilitatore, e insegna indirettamente a non dipendere dall'adulto-giudice; che non vince il più forte o il più debole, ma la soluzione migliore per tutti. Di fatto, non ci dovrebbero mai essere vincitori né vinti: la vera vittoria è la trasformazione di conflitti spesso insolubili in proposte comuni.

COME FARE? La condizione fondamentale perché questo avvenga è che si riesca a comunicare, cioè a mantenere il conflitto sul piano simbolico: nel momento in cui viene invece agito d'impulso con azioni aggressive dirette, diventa arduo uscirne indenni, comunque vada a finire. Un proverbio africano dice che: «Non ci sono mai due persone che non si capiscono; ci sono solo due persone che non hanno discusso ». 
«Parlare senza pensare è come sparare senza mirare», diceva Sartre. Anche la comunicazione, per servire, deve essere corretta. Lo spiega bene Jerome Liss descrivendo la «comunicazione ecologica»: aiuta i gruppi a mantenere una coesione globale verso un comune obiettivo, pur rispettando la diversità di ciascun individuo e stimolandone le risorse.
In pratica si tratta di seguire alcune regole, magari con l'aiuto di un facilitatore (l'insegnante, il leader, il genitore, ma anche un membro qualsiasi a turno). In fondo sono semplici accorgimenti anche un po' ovvi, come quello di rispettare ciascuno il proprio spazio per parlare, essere concreti, evitare i giudizi e trasformarli in richieste specifiche, ascoltare con attenzione l'altro, ecc. Rifletterei su aiuta, perché sono abitudini non ben assimilate, da esercitare e trasmettere prima di tutto con l'esempio. Anche i rituali possono essere molto utili, a tutte le età: il libro delle lagnanze, il tavolo delle trattative, il cerchio (con o senza calumet della pace...)

SAPERSI ARRENDERE Eppure talvolta, pur consapevoli della scorrettezza di alcuni modi, non riusciamo a fare a meno di usarli: perché si vuole litigare? In particolare nelle coppie, è frequente che l'oggetto della lite sia in realtà un pretesto che fa da paravento, nella sua evidente irrilevanza, a tematiche ben più gravi di cui invece non si ha coscienza.
Allora negoziare sui fatti serve a poco, la rabbia ha altre sorgenti e motivazioni che vanno comprese innanzi tutto da se stessi...Meglio allora ritirarsi, non battere il ferro finché è caldo, in questo caso.
 Ricordiamoci che sapersi arrendere, in molti casi, è un ingrediente dell'amore: con il partner, i figli, con alcune parti di noi stessi. Ma subire è diverso, ed è un errore da evitare perché invece allontana dall'amore.
L'arte della convivenza consiste nel saper equilibrare i nostri bisogni con quelli degli altri, senza sacrificarci e senza invadere, per il massimo benessere comune, o almeno per il minor danno. Ciò richiede una buona capacità di delineare dei confini invisibili, soggettivi, di rispettarli e di farli rispettare.
Come nell'aneddoto del filosofo Schopenhauer: .«Due porcospini morivano di freddo e decisero di scaldarsi stringendosi il più possibile, ma presto si accorsero che si pungevano terribilmente con i loro aculei; così si allontanarono, ma il freddo ricominciò a farsi sentire. Dopo numerose e faticose prove, trovarono la giusta distanza che consentiva loro di tenersi al caldo ma non pungersi troppo». 
È importante dire dei no, tanto quanto accettarli, avere il coraggio di esporsi ed esprimere le nostre esigenze, darci il diritto di chiedere. Negoziare, collaborare nella ricerca creativa di soluzioni che accontentino tutti, sapendo che non è facile, ma che riuscirci assicura una crescita positiva dell'autostima e della qualità del rapporto.

05/02/14

Progetto di Giuseppe Siano: Oltre la Destra e la Sinistra | parte prima

Questo è un saggio scritto da Giuseppe Siano, è pubblicato due volte a settimana (mercoledì e venerdì) suddiviso in capitoli. Potete comunque vederlo in sequenza di pubblicazione al link "Saggistica"

Sono adesso convinto che solo se il popolo avrà una SUA moneta come in Ungheria con Orban sarà possibile realizzare quanto scritto nel mio saggio.
Purtroppo il politico locale di cui faccio menzione nel saggio si è rivelato poco coraggioso e si è tirato indietro.
Il mio saggio verte sulla "teoria del linguaggio" del De Saussure approfondendo il discorso e chiarendo l'affinità fra realta ( significato) e la sua  verbalizzazione( significante) e il loro rapporto  ed interdipendenza indissolubili.
Arrivo alle stesse conclusioni alle quali arriva il prof. Tre-Monti nel suo libro " uscita di sicurezza".
Il Tre- Monti affronta il problema da un punto di vista economico, quindi parziale.
Io vedo più in profondità e chiarisco i motivi per cui i grandi imperi sono crollati, augurandomi che finalmente anche l'impero americano si tolga dai piedi.

Introduzione
Quando sono venuto ad abitare in questo paese, ho ritenuto mio dovere impegnarmi nel partito nel
quale avevo militato per circa trent'anni, cercando di portare un mio contributo di idee.
Mi sono accorto che ciò non era gradito ai “ personaggi” locali.
Dopo essermi reso conto che ciò era caduto in disuso non solo qui, ma ormai in tutta l'Italia e
questo mio “ritardo” era determinato dalla prolungata permanenza all'estero, siccome non me
l'aveva ordinato il medico di fare politica e ritenevo inoltre che “ ogni paese ha i politici che si
merita” ho deciso di dedicarmi ai miei libri.
Nel frattempo sono successe molte cose, perché ho conosciuto meglio gli abitanti di questo paese e
mi sono accorto di essere venuto ad abitare fra gente civilissima e disponibilissima; però una cosa
non ho capito ancora adesso: come mai tale gente affida la cosa pubblica e quindi il proprio
destino in mano a simili personaggi.
I libri che leggo s'interessano di solito dell'interpretazione dei nostri tempi, dell'attualità.
Più leggevo e più mi convincevo che, nella situazione attuale, da solo non sarei stato in grado di
risolvere nessuno dei miei problemi, perché erano problemi comuni, risolvibili solo appunto ”in
comune”.
Avevo sempre la scusa che “Non esistevano nel paese le condizioni oggettive per un impegno
personale” ma anche questa argomentazione è saltata quando, dopo una lunga discussione con un
politico locale , notavo una disponibilità inusuale non solo ad ascoltare, ma anche a fare proprie
molte delle argomentazioni che espongo in questo scritto.
Incoraggiato da questo inizio, ho deciso di mettere per iscritto queste idee, affinché diventino
patrimonio di tutti coloro, che fanno politica accettando il confronto e la discussione.
Perciò: buon divertimento!
Dopo il conseguimento della laurea ed il primo periodo di lavoro nella scuola, tenni il primo
discorso pubblico, al quale partecipavano alunni e loro genitori.
Alla conclusione del mio discorso si avvicinò l'alunna più brava che avevo e mi disse:” signor
pezzelatied, ha fatto un discorso bellissimo, peccato che non abbia capito nemmeno una parola”.
Questa ragazza mi stava aiutando.
Se non aveva capito lei che era la più brava della classe.... figuriamoci gli altri.
Quello fu uno di quei momenti topici, che incidono sui destini di una persona; mi resi conto di
trovarmi ad un bivio: continuare ad usare il linguaggio cifrato e complesso, che aveva caratterizzato
i miei studi universitari ed accettare di conseguenza di restare incompreso, oppure reimparare a
parlare in un italiano piano, semplice e comprensibile.
La prima ipotesi sarebbe servita ad impressionare e spaventare la gente e quindi a fare soldi, perché
gente impaurita, sopratutto da paroloni che non capisce, si lascia facilmente derubare; ma per un
fine simile avevo scelto la professione sbagliata: i paroloni incomprensibili vanno bene per i
medici... gli avvocati, ma chi può spaventare un insegnante anche se usa parole difficili?
Quindi mi decisi a rendere comprensibile il mio linguaggio, perché alla base della mia professione
c'era appunto la chiarezza.
Da quarant'anni non sto facendo altro che cercare di rendere semplice la mia lingua, per poter
rendere accessibili a tutti i miei concetti.
Ho raccontato questo aneddoto, perché da quando sono venuto a vivere qui ed ho cercato di
partecipare alla vita pubblica del paese una delle argomentazioni con la quale venivano accantonate
le mie proposte era quella, che i concittadini non erano in grado di capire.
Siccome nel frattempo, dopo quarant'anni di allenamento, ritengo di essere in grado di rendere
comprensibili anche i concetti più difficili, sono sicuro di venire capito anche dai “cretini” nostrani,
perché nel frattempo mi sono convinto, che non sono cretini i nostri compaesani, ma non hanno
niente da dire coloro che li denigrano, i quali, in questo modo, si ritengono esonerati dal presentare
dei programmi e delle proposte, che non hanno.
Prima però di presentare da parte mia delle proposte devo fare una serie di premesse, che sono alla
base delle proposte che farò, altrimenti queste diventerebbero incomprensibili. 
 [ Venerdi la seconda parte]                                                scritto da Giuseppe Siano
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