COME COMPORTARSI DI FRONTE AD UN CONFLITTO PERSONALE
Vivere senza litigare è spesso un'utopia. Più facile, invece, imparare a disinnescare una situazione potenzialmente esplosiva. Con i parenti, come con i colleghi di lavoro. Senza creare nè vinti, nè vincitori.
Oggi parlare di pace sembra proprio difficile. Sarebbe bello poter essere promotori di armonia, almeno nel nostro microcosmo. E invece spesso ci troviamo a litigare proprio con chi amiamo di più, i genitori, i figli, il partner, noi stessi. Per non parlare poi di coloro che non amiamo affatto, con cui il conflitto è sempre pronto: i prepotenti, i furbi ... Si tende a colpevolizzarsi proprio per quest'incapacità di andar d'accordo, oppure, secondo il carattere, a colpevolizzare l'altro. In realtà convivere è un' arte che s'impara, e il primo passo è riconoscerne la complessità. Purtroppo, siamo stati educati a temere il conflitto, a evitarlo, non a gestirlo. Ma la pace costante non è possibile, finché siamo vivi. È un obiettivo irraggiungibile, che può solo generare ansia. Un'insegnante, per esempio, che si trova quotidianamente in una classe irrequieta, vive con frustrazione e sconforto la fatica di mantenere una disciplina. Eppure è fisiologico che i ragazzi si comportino così: il punto è capire con quale atteggiamento affrontarli, non pretendere che stiano buoni. La pace a tutti costi di solito porta alla guerra, che omogeneizza e impone la bontà. Un genitore che non tollera i litigi con i figli può arrivare a sopprimerli con 1'autorità. Ma i conflitti repressi, in ambito psicologico, conducono a comportamenti devianti. È dunque importante accettare che i conflitti inevitabili, e parte della vita: non hanno una connotazione negativa, dipende da come li si gestisce. Da essi nascono talvolta sviluppi impensati e profiqui.Facciamo la pace |
ACCETTARE IL PRIMO PASSO Secondo Eraclito, il conflitto è il padre di tutte le cose. È bello vederlo come un elemento generativo, una risorsa creativa. Non solo tollerare o controllare le divergenze, ma accettarne la sfida e crescere. Nell'infanzia è il conflitto a determinare la costruzione della propria identità. Si pensi ai primi «no!», che servono a tracciare dei confini tra il bambino e la mamma, o a porre dei limiti all'onnipotenza infantile.
Accettare i conflitti significa riconoscerli e affrontarli senza temere di distruggere la relazione: che anzi ne può venire arricchita e migliorata. La separazione, l'allontanamento, la rottura: sono questi fantasmi a spaventarci e a farei temere il litigio. Ma una relazione sana cresce con il confronto, mentre la negazione del conflitto può farIa ammalare lentamente.
Quando i bambini si picchiano, gli adulti spesso intervengono picchiandoli a loro volta, oppure ergendosi a giudice e giuria. Secondo i pedagogisti è molto difficile per l'adulto, educato a reprimere i contrasti, tollerare il conflitto tra bambini, e aiutarli a trasformare l'esperienza, a volte indubbiamente dolorosa, del litigio in una dinamica di "competenza al conflitto", dove l'altro non viene trasformato in nemico, demonizzato, ma mantenuto in un rapporto di vicinanza, di empatia.
Eppure l'educazione alla pace nasce da questi episodi. Meglio lasciare il più possibile che i fratelli se la sbrighino da soli, nei loro frequenti e laceranti contrasti. Quando è necessario accorrere (si stanno facendo male o cercano alleanza contro l'altro) è importante aiutarli a negoziare fra di loro, senza suggerire delle soluzioni (Fate a turno) oppure prendere le difese di uno dei due (Lui è più piccolo!), ma facendo sì che entrambi apprendano a esporre le proprie ragioni, ascoltare quelle dell'altro, e a proporre delle mediazioni creative.
L'adulto diventa cioè un facilitatore, e insegna indirettamente a non dipendere dall'adulto-giudice; che non vince il più forte o il più debole, ma la soluzione migliore per tutti. Di fatto, non ci dovrebbero mai essere vincitori né vinti: la vera vittoria è la trasformazione di conflitti spesso insolubili in proposte comuni.
COME FARE? La condizione fondamentale perché questo avvenga è che si riesca a comunicare, cioè a mantenere il conflitto sul piano simbolico: nel momento in cui viene invece agito d'impulso con azioni aggressive dirette, diventa arduo uscirne indenni, comunque vada a finire. Un proverbio africano dice che: «Non ci sono mai due persone che non si capiscono; ci sono solo due persone che non hanno discusso ».
«Parlare senza pensare è come sparare senza mirare», diceva Sartre. Anche la comunicazione, per servire, deve essere corretta. Lo spiega bene Jerome Liss descrivendo la «comunicazione ecologica»: aiuta i gruppi a mantenere una coesione globale verso un comune obiettivo, pur rispettando la diversità di ciascun individuo e stimolandone le risorse.
In pratica si tratta di seguire alcune regole, magari con l'aiuto di un facilitatore (l'insegnante, il leader, il genitore, ma anche un membro qualsiasi a turno). In fondo sono semplici accorgimenti anche un po' ovvi, come quello di rispettare ciascuno il proprio spazio per parlare, essere concreti, evitare i giudizi e trasformarli in richieste specifiche, ascoltare con attenzione l'altro, ecc. Rifletterei su aiuta, perché sono abitudini non ben assimilate, da esercitare e trasmettere prima di tutto con l'esempio. Anche i rituali possono essere molto utili, a tutte le età: il libro delle lagnanze, il tavolo delle trattative, il cerchio (con o senza calumet della pace...)
SAPERSI ARRENDERE Eppure talvolta, pur consapevoli della scorrettezza di alcuni modi, non riusciamo a fare a meno di usarli: perché si vuole litigare? In particolare nelle coppie, è frequente che l'oggetto della lite sia in realtà un pretesto che fa da paravento, nella sua evidente irrilevanza, a tematiche ben più gravi di cui invece non si ha coscienza.
Allora negoziare sui fatti serve a poco, la rabbia ha altre sorgenti e motivazioni che vanno comprese innanzi tutto da se stessi...Meglio allora ritirarsi, non battere il ferro finché è caldo, in questo caso.
Ricordiamoci che sapersi arrendere, in molti casi, è un ingrediente dell'amore: con il partner, i figli, con alcune parti di noi stessi. Ma subire è diverso, ed è un errore da evitare perché invece allontana dall'amore.
L'arte della convivenza consiste nel saper equilibrare i nostri bisogni con quelli degli altri, senza sacrificarci e senza invadere, per il massimo benessere comune, o almeno per il minor danno. Ciò richiede una buona capacità di delineare dei confini invisibili, soggettivi, di rispettarli e di farli rispettare.
Come nell'aneddoto del filosofo Schopenhauer: .«Due porcospini morivano di freddo e decisero di scaldarsi stringendosi il più possibile, ma presto si accorsero che si pungevano terribilmente con i loro aculei; così si allontanarono, ma il freddo ricominciò a farsi sentire. Dopo numerose e faticose prove, trovarono la giusta distanza che consentiva loro di tenersi al caldo ma non pungersi troppo».
È importante dire dei no, tanto quanto accettarli, avere il coraggio di esporsi ed esprimere le nostre esigenze, darci il diritto di chiedere. Negoziare, collaborare nella ricerca creativa di soluzioni che accontentino tutti, sapendo che non è facile, ma che riuscirci assicura una crescita positiva dell'autostima e della qualità del rapporto.