Suolo marziano |
Si tratta di una notizia di cui possiamo andare particolarmente fieri, in quanto che a capo del progetto di ricerca c’è l’italiano Giancarlo Genta, docente al Politecnico di Torino. Il team di scienziati coordinato da Genta, produrrà uno studio definitivo fra 2 anni, ma ha già presentato un documento preliminare al vertice dei presidenti delle agenzie spaziali in corso a Washington in questi giorni.
“La International Academy of Astronautics ha messo in piedi un gruppo di studio per produrre una ricerca riguardo a una missione umana su Marte”, si legge nel rapporto.
“Spiegheremo le motivazioni di una missione del genere, poi esploreremo gli aspetti umani e tecnologici e la ricerca ancora necessaria per costruire la tecnologia richiesta”.
Per portare l’uomo sul pianeta rosso, gli scienziati hanno individuato sei diversi tipi di approcci, ordinandoli per complessità crescente: missione fly-by, ovvero sia il passaggio ravvicinato vicino alla superficie; missione verso uno dei satelliti di Marte, da cui gli astronauti potrebbero telecomandare veicoli sulla superficie del pianeta; missione di breve durata (“flag-and-footprint”, come si dice in gergo, cioè “pianto una bandiera, lascio un’impronta e riparto”).
E tre tipi di missioni di lunga durata, con operabilità scientifiche ed esplorative diverse. Lo scopo finale di queste ultime è “un primo passo verso obiettivi più ambiziosi, come la colonizzazione”.
Le ragioni per cui bisogna andare su Marte, spiegano ancora gli scienziati, sono molteplici. Anzitutto c’è, naturalmente, il valore scientifico di una missione del genere. Ma anche interessi politici, nel senso che un progetto internazionale di questo tipo favorirebbe la cooperazione su larga scala tra paesi diversi e che “Marte potrebbe diventare un secondo pianeta per gli esseri umani”, contributi all’innovazione e allo sviluppo economico e aspetti sociali, come creazione di nuove imprese e posti di lavoro.
Gli scienziati, inoltre, sono convinti che il futuro economico e industriale della Terra è strettamente legato alle risorse extraterrestri: sarà indispensabile cercare gli elementi utili sugli asteroidi, sulla Luna e sul pianeta rosso. In un’intervista a La Repubblica, Genta ha spiegato che “per andare sul pianeta rosso ci vogliono ancora almeno 20 o 25 anni con una missione finanziata dalle agenzie spaziali”, sebbene “parlare di date sia molto pericoloso in questo campo. Di date ne sono già state fatte tante e alla fine si rischia di perdere credibilità”.
Per arrivare su Marte, afferma lo scienziato, sarà comunque prima necessario rifinire il know-how attuale, completando esplorazioni sulla Luna e sugli asteroidi, “tappe già definite dalle agenzie spaziali e che non si possono saltare: l’esperienza sul satellite naturale terrestre e la permanenza più lunga nelle missioni spaziali sono indispensabili per capire come si reagirà su Marte”. Il pianeta rosso è un buon candidato a ospitare gli esseri umani, dice Genta, perché “la sua superficie è uguale al totale di tutte le terre emerse sul nostro pianeta, quindi raddoppia lo spazio disponibile per l’umanità”. Certo, sulla Terra c’è aria. E acqua. E vita. “Terraformare Marte, cioè renderlo simile alla Terra”, secondo Genta, “è possibile, ma le tecnologie necessarie sono ancora lontane dall’essere sviluppate. Ci vorranno tempi lunghissimi. Invece, vivere su Marte, anche se in condizioni disagiate, si può. Oggi il grosso problema, più che la permanenza, è il viaggio”.
Già... ma come arrivare sul pianeta rosso? Gli scienziati propongono di usare veicoli a propulsione nucleare, che impiegherebbero circa quattro-cinque mesi per la sola andata. La tecnologia è stata già provata sulla Terra, negli anni Settanta, ma deve essere ancora raffinata. Certo, non si tratta di un sogno proprio a buon mercato. Il costo totale si aggirerebbe intorno ai 500 miliardi. “Però”, fa presente Genta, “divisi in vent’anni e fra tutte le agenzie spaziali partecipanti. Però attenzione: non sono soldi che buttiamo su Marte, ma che si spendono sulla Terra e vanno a rivitalizzare l’economia del nostro pianeta”.