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24/02/14

Utile alla ricerca per la sua capacità di rigenerare parti del proprio corpo si estingue l'axolotl

L'inquinamento causa l'estinzione di una rara specie di salamandra che nasce e vive nel lago Xochimilco nei pressi di Città del Messico. Utile alla ricerca per la sua capacità di rigenerare parti del proprio corpo.


L’axolotl ha fattezze simili a quelle della salamandra, con corpo tozzo e la presenza di due ciuffi al lato del capo, all’altezza delle branchie. Può raggiungere i 30 centimetri di lunghezza, vive in acqua sui fondali di sabbia fine e si nasconde spesso tra le radici e le rocce per non farsi vedere dai predatori. Dalle popolazioni locali viene spesso chiamato “mostro d’acqua” ed è anche conosciuto con il nome di “pesce messicano che cammina”.

Dopo quattro mesi di ricerche nel lago di Xochimilco nei pressi di Città del Messico, un gruppo di ricerca della Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) non ha trovato un solo esemplare di axolotl, possibile indizio della sua estinzione in ambiente naturale. L’Ambystoma mexicanum, conosciuto con il più abbordabile nome axolotl, è una salamandra che compie il proprio intero ciclo vitale allo stadio di larva (neotenica) e che vive solamente in un ristretto numero di laghi nei pressi della capitale del Messico. È una specie ad altissimo rischio di estinzione e il fatto che non se ne trovino più esemplari in natura sta facendo temere il peggio a molti ricercatori.

L’axolotl è da tempo oggetto di studio per via della sua capacità di rigenerare parti del proprio corpo. Ne esistono quindi diversi esemplari conservati nei laboratori, che vengono incrociati tra loro per proseguire la specie e gli studi. Il problema è che incrociando esemplari che sono tra loro parenti stretti porta alla nascita di axolotl più deboli e con caratteristiche genetiche differenti da quelle degli animali in natura.

09/12/13

Dopo la delusione di settembre da Curiosity…ora tutta un’altra storia! Finche c'è speranza c'è VITA!

Dopo la delusione che fu annunciata nel mese di settembre, quando i dati rispediti a Terra da Curiosity avevano cancellato quasi del tutto l'ipotesi che esistesse il metano su Marte e conseguentemente, con ogni probabilità la possibilità di forme di vita, oggi pare tutta un’altra storia! Infatti le informazioni fornite dal rover spaziale, danno ad intendere tutt’altra storia. Almeno per quel che riguarda il lontano passato. Una serie di paper che sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Science, esclusivamente dedicati all’analisi della formazione dei vari sedimenti marziani, suggeriscono infatti che in passato su Marte ci fosse stata la presenza di un lago, e che questo bacino d’acqua aveva tutte le caratteristiche necessarie perchè ci si potesse ospitare la vita.

A fare intendere tutto questo ci sono le analisi effettuate dal rover su delle rocce sedimentarie, oggetto di studio per Curiosity, situate nei pressi della Yellowknife Bay, nel cratere Gale. Quello che le rocce hanno evidenziato è questo: su Marte, circa 3,6 miliardi di anni fa esisteva almeno un lago, che si mantenne per decine se non centinaia di migliaia di anni.
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Bacino d'acqua su Marte?
Era formato prevalentemente di acqua dolce, scrivono i ricercatori del Mars Science Laboratory (Msl) della Nasa e dell’Imperial College London, era calmo e gli elementi chimici più comuni erano idrogeno, carbonio, ossigeno, azoto, zolfo e fosforo. Per gli scienziati un ambiente del genere avrebbe potuto ospitare forme di vita semplici come i chemiolitotrofi, batteri in grado di estrarre l’energia necessaria per vivere da rocce e minerali e presenti sulla Terra di prossimità di grotte e sorgenti idrotermali.

“E’ importante considerare che non abbiamo trovato segni di vita antica su Marte”, precisa Sanjeev Gupta, tra gli autori che hanno preso parte agli studi del team del Msl: “Quello che abbiamo scoperto è che il cratere Gale è stato in grado di ospitare un lago sulla sua superficie almeno una volta nel suo antico passato che potrebbe essere stato favorevole per lo sviluppo di vita microbica, miliardi di anni fa”. E al momento la caccia a ambienti marziani abitabili continua.


04/11/13

Un "LAGO DORATO" avvelenato

Un "LAGO DORATO" avvelenato, l’odore arriva anche a distanza, oltre la montagna, ma per vedere quanto è grande la bomba ecologica bisogna superare la barriera di eucaliptus. Il mostro è tutto blu e fa molta paura. Il sole estivo lo rende scheletrico ma appena piove si rigonfia e continua a divorare le viscere di questo angolo nascosto di Sardegna.
Siamo lontani dal mare e di un tesoro che doveva far diventare tutti ricchi è rimasto lo scarto puzzolente: un grande lago di cianuro. La ricerca dell’oro ha fatto ricchi solo gli australiani che hanno sventrato la collina di Santu Miali e agli abitanti di Furtei, Guasila e Segariu è rimasto in eredità un disastro ambientale.
Lago inquinato di cianuro
 La Sardinia Gold Mining (controllata dalla canadese Buffalo Gold Itd, partecipata dalla Regione Sardegna e presieduta dal 2001 al 2003 dall’attuale governatore sardo Ugo Cappellacci) ha interrotto l’attività alla fine del 2008. E nel 2009 ha portato i libri in tribunale. Decretato il fallimento, gli operai sono stati licenziati e delle bonifiche nessuno si è preoccupato. A evitare l’esplosione ci pensa l’Igea, la società regionale che controlla le miniere dismesse, ma intanto il lago di acido nascosto dietro al monte diventa sempre più grande.
Gli uccelli che atterrano per sbaglio non hanno scampo e le carcasse nascoste tra i cespugli lanciano lo stesso messaggio di un cartello giallo con il teschio: alle rive di questa distesa di acidi è meglio non avvicinarsi troppo. I rubinetti che scaricano sono sempre aperti. Grossi tubi neri partono dai pozzi dismessi e rilasciano a valle una valanga di metalli disciolti: mercurio, ferro, piombo, cadmio e zolfo. Non è acqua di sorgente e il colore lo dimostra. Il liquido che si espande in ogni angolo si presenta con lo stesso colore dell’oro, ma quando il sole picchia forte i metalli si cristallizzano e formano grandi zolle blu. La contaminazione si allarga ulteriormente e tutto quello che non si vede è già nel sottosuolo. Eppure, oltre le sponde del lago dei veleni c’è qualche agricoltore che produce grano e carciofi. «Ogni tanto scaricano acqua, ma è solo un depistaggio, un modo per mescolare le sostanze – racconta Onofrio Giglio, 68 anni passati quasi tutti in campagna – In questo terreno che apparteneva al Comune avevamo piantato decine di eucaliptus, ma da quando è iniziata l’attività nelle miniere si è creato il deserto».
L’unico bel ricordo dell’oro di Furtei è il calice donato a Benedetto XVI. Per tutto il resto, questa è la storia di un fallimento e di un disastro. In dieci anni di scavi sono venute fuori meno di cinque tonnellate d’oro, sei d’argento e quindicimila di rame. Nel 1997 erano stati assunti in 110 ma pochi anni dopo erano solo 42. E così il sogno del nuovo Eldorado si è infranto. «La Regione deve spiegare perché dal fallimento a oggi nessuno ha bonificato la distesa di cianuro – denuncia il deputato Mauro Pili – E come se non bastasse non ha neppure riscosso le garanzie fideiussorie: ora che la società è sparita i sardi dovranno farsi carico di tutti i costi. È stata una grande operazione speculativa e l’indagine finanziaria internazionale lo dimostra».
Il governatore Ugo Cappellacci, che della miniera di Furtei conosce bene la storia, affida al portavoce il compito di spiegare i progetti e il lavoro fatto finora: «Abbiamo già effettuato la caratterizzazione del suolo e sottoscritto due convenzioni con Igea (4,2 milioni la prima e 2,5 la seconda) per un impianto di depurazione delle acque acide. Da poco abbiamo stanziato altri 9 milioni per la bonifica integrale».
                                                                                                                                                        fonte
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