Il-Trafiletto
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05/10/14

L'abilità doveva condurre a schivare i colpi d'offesa | LE TRE VIE

..... La pratica fu importata in Giappone insieme allo Zen, informa Suzuki.[Qui]


Nell'VIII secolo in Giappone ai banchetti si dispiegavano spettacoli di quello che poi si sarebbe chiamato judo, in seguito l'arte fu rmpartira in societa segrete. L'abilità doveva condurre a schivare i colpi d'offesa sfruttando l'intervallo, che sempre sussiste anche se brevissimo, e dopo ogni schivata si doveva vibrare istantaneamente, di rimando, una percossa. Il judo parve estinguersi all'inizio dell'epoca Meiji nel 1868, ma già nel 1882 in un tempio di Tokio riprese e in poco tempo si diffuse fino a entrare nel programma scolastico. Come il karate, fu vietato dagli alleati, ma riprese anch'esso subito dopo la loro partenza e oggi i praticanti in Giappone raggiungono il milione. Su pochi princìpi si basa la tecnica: ci si butta, si ghermisce, si percuotono i punti nevralgici; vincerà chi incessantemente avrà spostato il proprio peso fra i due piedi.

In Giappone le arti marziali erano sempre state unite in un fascio: scherma (kendo), tiro al bersaglio in cui ci si trasfonde nel bersaglio (kyudo), tiro del pugnale, uso della corda, arte della spia che si eclissa e scatta all'improvviso (ninjutsu), sputo di aghetti (fukumibari): tutte forme adottate accanto aljudo dai samurai. Il fine di queste forme è unico, di origine buddhista e quindi indiana: ottenere un « cuore di sasso» che sia costantemente in quieta attesa del colpo. I maestri sentono l'arrivo del nemico anche se immersi nel sonno. Il lottatore non si preoccupa di vivere, ma di illuminare vita e morte a cospetto del pericolo. La scuola Muto riassumeva il judo nella parola che echeggia salmodiata nelle aule dei templi zen: nulla (mu).

Eppure la presentazione non sarebbe integra se non si aggiungesse una forma purissima, nota già nel secolo XIV, ma emersa come nuova nel nostro con Ueshiba Morihei (morto nel 1969), seguace della scuola shintò Omoto. L'aikido che egli insegnava educa la fantasia come usa in India, si figura la mano che penetra a distanze irraggiungibili, si immagina l'estensione delle braccia fino ai cieli. L'aikido non coltiva colpi, ma soltanto parate, sicché uno scontro è inimmaginabile: il lottatore sta fermo spostando di continuo l'equilibno fra I due piedi, ravvisando nell'avversario un essere turbato e compassionevole che occorre attrarre nell'orbita imperniata sulla propria spina dorsale, pacificandolo.

Il praticante di aikido dovrà seguire puntualmente il colpo che lo minaccia, ruotando sulla spina, irid irizzanriolo dolcemente in avanti, provocando la caduta di chi l'ha sferrato. Questo studio attento dell'impeto avversario in Cina fu il metodo della scuola intitolata alla Mantide Religiosa. Credo che l'antichissima lotta indiana, che si propone di sbloccare, come lo yoga, i legamenti del corpo e dell'anima, facendo inspirare a scatti improvvisi per espirare sofficemente, lenti lenti, si possa ricostruire raccogliendone le tracce che monaci buddhisti trasferirono in Cina, in Corea e in Giappone, oltre che indagando in India, come ancora non s'è fatto, tra i sadhu, i monaci vaganti, dediti alla lotta.

Nell'India che permeò l'Asia intera, una mezza speranza di questo genere è lecita. Il patrimonio intellettuale indù s'è, negli ultimi tre secoli, giusto sfiorato; danze, dottrine tantriche sono appena appena riemerse. Per ottenebrare ogni cosa hanno svolto la loro parte il regime del silenzio che ha sempre imperato su ogni insegnamento nonché le guerre di sterminio. La storia dell'India infine per tanta parte rimane congettura e le sue date sono supposizioni. Eppure, ramingando per foreste, indagando angoli dimenticati di templi, percorrendo torridi, umidi, tenebrosi vicolacci, raccogliendo confidenze, lì ancora può capitare l'incontro con un qualche barbaglio del passato remoto, che ci tramuta.

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04/10/14

Il combattimento meditativo | LE TRE VIE

... a questo punto sopravvengono i testi dell.o yoga e del Tantra a promuovere infine la liberazione.[Qui]


IL COMBATTIMENTO MEDITATIVO
Fin dal VII secolo si ha testimonianza di yogin dediti alla lotta e alla vita militare, i loro luoghi di allenamento e di ascesi erano chiamati tane, àkhara. La loro trafila si faceva incominciare da Sankara. Spesso si trasformavano nello Siva furibondo, Bhairava. Su di loro scese inesorabile la repressione inglese. I lottatori indù sopravvivono oggi in associazioni legate a riti speciali in onore di Hanumat, celebri quelle del Kerala. La tecnica credo non si sia mantenuta saldamente, forse s'è sfaldata, ma è possibile ricostruirla raccogliendola là dove si diffuse col buddhismo lungo i secoli, prima in Cina, quindi in Giappone.

D'acchito una sorgente delle arti marziali si cercherebbe nella Cina stessa, l'adepto che me le illustrava a Taiwan si richiamava soltanto al taoismo; una fonte potrebbe sembrare Chenjaogou nello Henan, villaggetto di duemila abitanti di cui quasi tutti praticano intensamente il pugilato taiji. Il nome stesso taiji risale al Libro dei mutamenti, ma la tecnica non è di necessità cinese e la trasmissione, a partire da Chen Bu, dura soltanto da trecento anni. Consiste in un sistema di mosse sovrapposte alla lotta popolare wugong, prospettate entro un'ideologia perfettamente cinese di mediazione ininterrotta fra atteggiamenti aperti e chiusi, sciolti ed energici, lenti e rapidi, dritti e curvi; ma non è sicuramente e interamente cinese: l'origine mi pare si trovi in India e il tramite che ne permise l'introduzione furono i missionari buddhisti, si dice a principiare da Bodhidharma, nel VI secolo.

Il centro da cui si diffuse questa lotta fu il monastero di Shaolin, ancora oggi pienamente attivo, donde ebbe inizio la tradizione del gongfu e soprattutto il wushu, il cui fine è, come dice Yu Gongbao, raddolcire ogni movimento con mente sciolta e attenta, respiro lene e profondo. Ne sorsero truppe di monaci micidiali, che condussero campagne militari facendosi forti di questa loro tradizione. Imparavano e ancora imparano, commisurando la respirazione, a spezzare mattoni, un particolare che spinge a ravvisare nella loro lotta mistica l'origine del karate, tecnica adottata dai nobili di Okinawa, assai ligi alla Cina, allorché il loro sovrano vietò di portare armi. Il primo circolo di karate giapponese è addirittura del 1905. L'arte fu vietata dagli alleati, ripresa nel 1955, rifiorì in maniera sorprendente. Insegna colpi col pugno, col palmo, col gomito, con l'avambraccio.

L'avambraccio cala fendenti che spezzano mattoni o blocchi di legno. Dice un maestro giapponese: il vero combattente di karate si fonde con l'avversario, come in transe: è simile a un folto di alghe in fondo al mare, ogni fremito d'acque lo piega; sviluppa una sensibilità sottile. Chi risponde ai colpi inferti è sempre in ritardo, occorre avvertire la minaccia prima che si scatti, sviluppando questa trasognatezza sensitiva.

Il pugilato cinese, arma dei patrioti durante l'oppressione mongola e mancese, si fa risalire al monaco buddhista Bodhidharma. Nel VI secolo però lo si insegnava come esercizio di consapevolezza mattutino, per cui si situava nel punto fondamentale nella pancia per irradiarlo di lì nel palmo delle mani, a imitazione dell'oca selvatica. Fondamentale è mantenere la posa del cavallerizzo, eliminando ogni pensiero vagante, esalando con grande lentezza e inspirando di botto, imitando via via il drago, la tigre, il leopardo, il serpente e la gru.

Nella fase serpentina si diventa tutt'insierne un durissimo acciaio e una duttile corda, ma il culmine è l'imitazione delle gru: la forza si aspira dalla pianta dei piedi, le spalle cadono con dolcezza, la mente dardeggia dal cuore tranquillo e l'eccellenza si raggmnge quando le mosse scattino così svelte da non essere viste. La pratica fu importata in Giappone insieme allo Zen, informa Suzuki.

03/10/14

Lo hascisch è usato perché aiuta nella meditazione | LE TRE VIE

..................Come comprendere questo genere di uomo?[Qui]

Lo descrive al suo termine la Hathasogapradipikà:
 « È libero da ogni stato e da ogni pensiero, simile a un defunto, ma padrone della morte, del destino, dei nemici. I suoi sensi sono estinti, non conosce né se stesso né altri. È libero già in vita, essendo la sua mente né sveglia né assopita, libera dal ricordo e dall'oblio. on vive e tuttavia non è morto. E immune da calore e freddezza, dolore e gioia, onore e ingiuria. Sembra dormire eppure è desto. Sono cessate in lui inalazione ed esalazione. Non lo offendono le armi, nessun potere umano lo sopravanza. Sta al di là delle maledizioni e degli incantesimi. Ma finché il suo pràna non entri nel meato centrale della spina dorsale per attingere la corona del cranio, finché l'assoluto non gli si manifesti nell'estasi, ed egli non gli si sia unificato, chi parla di dissolvimento nell'essere è soltanto un chiacchierone e un prevaricatore ». 
L'Àyurveda tende a questa suprema condizione, fine proprio e ultimo che lo informa e pervade in ogni suo aspetto. Nei laboratori àyurvedici indugia l'attenzione sugli operai dai movimenti lievissimi, essi osservano con sguardi accesi le iridescenze delle materie che occhieggiano dalle coppe via via infrante. Sono uomini intrisi di Siva: di hascisch o carasa o bhang o ganja; ne proviene loro grazia e intelligenza. Sono pervasi da un oceano senza opposizioni, ritornano alle origini, oltre a dispiegare un'impeccabile efficienza nella trattazione di oro, argento, stagno, rame, ferro, mercurio e piombo, nonché di mica, arsenico, zolfo fusi con succhi vegetali. Lo hascisch è usato perché aiuta nella meditazione e nel compimento dei riti sivaiti, oltre che di quelli in onore di Hanumat. È distribuito all'intera famiglia alla festa di holì, impiegato sempre per alleviare la fatica e la malattia. La conoscenza dei suoi pericoli è antica ed esauriente, ma ci si rimedia trattando la pianta con latte purificato e spalmando di pasta medicata, aspergendo di canfora e acqua fredda chi ne sia rimasto offeso.

Il suolo dove lo hascisch si coltiva va curato con attenzione rituale. È del pari sfruttata anche un'altra pianta, la terminalia chebula, priva di ogni effetto tossico, equilibrante e rafforzante senza controindicazioni. Si pratica inoltre una terapia speciale, con piante sottoposte a trattamenti particolari, da eseguire in una casa senza spifferi o correnti, osservando la castità, alimentandosi soltanto di riso e latte. Scrive Bhagwan Dush dopo la sua esposizione dell'Ayurveda: la pratica meditativa di staccarsi dalle proprie azioni e dall'idea di responsabilità è efficace dopo quattro fasi. Nella prima la mente è ancora avvinta ai sensi e alla volontà di potenza, nella seconda dominano la trivialità e l'ozio, nella terza l'energia e la tendenza alla virtù, sicché ormai senza indugi si osservono gli oggetti sensibili, e infine fase ultima, si trattiene giusto l'energia necessaria, si è puri e in grado di indagare con attenzione un oggetto; a questo punto sopravvengono i testi dell.o yoga e del Tantra a promuovere infine la liberazione.

02/10/14

Narra Marco Polo nel Milione che fra i «bregomanni » | LE TRE VIE

........come voi fate occasionalmente quando prescrivete morfina o atropina, androgeni o estrogeni.[Qui]


Narra Marco Polo nel Milione che fra i «bregomanni » (i brahmani) ci sono uomini regolati, che vivono fino a duecent'anni sempre in grande astinenza, chiamati «congiugati» ovvero yogin: «E' mangiano sempre buone vivande, cioè, lo più, riso e latte; e questi congiugati pigliano ogne mese uno cotale beveraggio: che tòlgono ariento vivo e solfo, e mìschiallo insieme coll'acqua e beollo : (Della provincia di Lar, ovvero il Cujàràt). Bevono cioè l'essenza dell'universo. Ma mercurio e zolfo sono veleni! È chiaro dunque che si svelenivano, come ancora oggi è d'uso in un laboratorio àyurvedico.

I metalli tossici si uccidono, vale a dire si seppelliscono in recipienti di terraglia e si cuociono durante mesi sottoterra, per essere estratti calcinati (bhasita), ridotti a bhasman, che in vedico significa innanzitutto ciò che mastica, divora, polverizza e in sanscrito ciò che è polverizzato o calcinato dal fuoco, le ceneri. Bhasmasùtakarana è la calcinazione del mercurio (bhasmàgni è la malattia che fa digerire in eccesso, calcinando il cibo). Per lo svelenimento del mercurio vige la pratica di introdurlo in un crogiolo di ferro con latice liquido d'euphorbia tirucalli e calotropis gigantia, nonché semi di butea frondosa. Poi lo si strofina con succhi di aloe indica tre o quattro volte e quindi per due o tre volte lo si lava in un caldo preparato di semi di cavolo. Infine lo si tritura dopo averlo mescolato a polvere di curcuma, pelo di pecora ed estratti di varie piante, fra le quali l'emblica. Risulta il preparato fondamentale dal quale si ricava una serie di medicamenti.

Una fra le tante ricette per svelenire il mercurio prescrive di sfregarlo su una pelle ovina con curcuma, polvere di mattone, fuliggine e succo di cedro. Quindi, avvolto con certe radici, salgemma e urina di caprone dentro a una pelle, lo si fa bollire sinché non evapora. In una storta quindi si rassoda e questo mercurio solido sarà in grado di penetrare rame, mica, oro e zolfo, metalli o minerali femmmei. Usa inoltre strofinare il mercurio con carbonato di calcio per settantadue ore e poi unirlo all'aglio, che lo annerisce, quindi lo si lava col succo caldo dei semi di cavolfiore. Si tritura infine questa polvere di mercurio con zolfo purificato. Tuttavia si è sostenuto, osservando topini, che questi medicinali sono pur sempre velenosi.' Concludo: la terapia comporterà una pur minima intossicazione. D'altronde, se in certe proporzioni il mercurio intossica, in minime dosi si è scoperto or ora che attiva il sistema immunitario, per la parte che concerne il tipo di linfociti modificati dal timo."

Osserviamo come si agisce col ferro: si riduce in sottilissime strisce, quindi si arde fino a farlo rosseggiare e si versa infine in un miscuglio vegetale con amala o emblica medicinalis. A questo punto il ferro è polverizzato e lo si conserva con amala e miele in un recipiente di terraglia, sigillato sottoterra per un anno. Così ossidato, il ferro diventa inoffensivo, ben diverso da quello che da noi si somministra. L'oro si sfrega con estratti vegetali di emblica o di myrobalans per qualche mese, fino a che il composto diventa un colloide rosso mattone, che si potrà consumare. In genere questo trattamento, chiamato sodhana, ovvero purificazione, va applicato a tutti i metalli. Il solfito nero di mercurio si lascia posare con dell'oro per settanta ore, dopo di che lo zolfo risulterà combusto e si raccoglierà ossido rosso di mercurio. Questo, associato a esercizi di respirazione ritmica yogica, produrrà, secondo il Rasàrnaua, il liberato in vita. Come comprendere questo genere di uomo?

01/10/14

Àyurveda e yoga tantrico è alchimia | LE TRE VIE

............ regge il torace, umetta la lingua, lega viscosamente le giunture.[Qui]


Tutto va equilibrato mercé medicine vegetali, minerali, metalliche o vegetominerali. Un vegetominerale composto di centella asiatica, phyllanthus emblica, withania somnifera, tinosphora cardifolia, prodotto col nome di geriforte da Himalaya Drug di Bombay, ha dimostrato la sua efficacia sul sistema enzimatico antiossidante del cervello. Si può anche rammentare l'introduzione della rauwolfia nelle nostre terapie. Spesso ci si avvale di massaggi con oli alla sommità del capo. Mi capitò nella campagna dello Sri Lanka di avvertire una lieve vertigine e fui da un medico àyurvedico. Mi sogguardò e si precipitò a misurarmi la pressione, che apparve straordinariamente alta. Mi porse alcune boccette di un olio sedativo nerastro, Maha Vata Gaja Vardini, da sfregare sul cranio, e in quattro giorni la pressione tornò normale. Non riuscii però a incuriosire nessun medico tanto da fargli analizzare quell'olio, quando ne portai qualche barattolo in Italia.

La medicina più efficace, che congiunge l'Àyurveda e lo yoga tantrico, s'è visto, è alchemica. In ogni facoltà di Ayurveda in un'università indù figurano un dipartimento e un laboratorio di rasasàstra, di alchimia o dottrina del succo. Succo (rasa) è una parola poliedrica. Denota il chilo del cibo, lo sperma nel corpo, la resina nella pianta, il carattere nella molteplicità degli umori, il mercurio fra i metalli. Questo è liquido a temperatura ambiente, ma ogni metallo diventa liquido a una certa temperatura, sicché si può dire che in ognuno è sempre latente la mercurialità, anche se non appare. Il mercurio è anche denominato pàrada, perché conduce, fa transitare (pr-) all'altra riva dell'esistenza, alla liberazione. Il mercurio è l'essenza di ogni metallo ed è lo sperma di Siva, sostanza penetrante e incisiva per eccellenza.

Il mondo intero è sostanziato di questo mercurio maschio, che intride la parte femminile, rappresentata dalla mica (abhra), la quale significa non soltanto i silicati che si sfaldano e rilucono, ma anche talco, oro, canfora e nube, atmosfera (imber latino); si presta a corrispettivo della femminilità tuttavia anche lo zolfo, sangue mestruale di Pàrvati, sposa di Siva. Lo sperma minerale o mercurio si introduce nel minerale vaginale producendo la vibrazione che suscita l'esistenza, l'accoppiamento di Siva con la sua potenza. Ma penetrare il senso di rasa è un'opera quasi infinita. Il vocabolo deriva da ras-, « gustare, percepire, amare ».

Denota il succo delle piante e dei frutti, ma anche la parte scelta di un corpo: midollo, elisir, brodo, siero o sciroppo. Designa il sapore e il piacere dell'amore, indica anche la bellezza che attrae e il processo di percezione della bellezza. Dice Abhinavagupta che rasa è la realtà per cui i sentimenti determinati, conseguenti e transitori, dopo aver raggiunto nella mente di uno spettatore un'unione perfetta, una relazione e una confluenza entro la quale verranno a trovarsi in posizione o dominante o subordinata, passano a essere la materia di una degustazione che consiste in una consapevolezza senza ostacoli e diversa dall'ordinaria. Questo rasa differisce dai sentimenti ordinari, è una pura degustazione.

Torniamo all'accoppiamento di Siva e Pàrvati: la vibrazione primaria che ne emana è simboleggiata dal tamburello (q,amaru) che Siva stringe nella mano o che pende dal suo tridente. Quanto a Pàrvati, è il ruscello o la caverna, la femminilità ristoratrice e nutritiva della montagna. Non a caso dappertutto in India riappare il fallo di Siva nella conca o chiostra di Pàrvati. Talvolta esso è variato nella figura di Ardhanàri Siva, l'Androgino, il mezzo-femmina: mercurio commisto a zolfo. L'opera àyurvedica non è che una promozione al congiungimento del virile e del femminile; mi disse un medico tamil: « Noi ci dedichiamo a correggere senza tregua le proporzioni di virilità e di femminilità, come voi fate occasionalmente quando prescrivete morfina o atropina, androgeni o estrogeni ».

30/09/14

Dimora nell'ombelico e sale in gola a far vibrare le corde vocali | LE TRE VIE

......... strofinamento alla schiena e al capo seguito da un bagno prima caldo e poi freddo?[Qui]


Capitolo introduttivo essenziale all'Àyurveda è dunque il massaggio. Ma chi soffra d'indigestione o costipazione, sia febbricitante o senta l'impulso al vomito, per carità, si guardi dal massaggio. L'Ayurveda deve prima riequilibrarlo; lo farà digiunare, individuerà le medicine opportune, valutando gli elementi. Essi sono:
  • 1) la terra (prthivi), che si manifesta nell'odorato, crea peso, solidità, ruvidezza, astringenza; 
  • 2) l'acqua (jala), che si rivela al gusto e suscita densità, mollezza, ftuidità, freddezza, acidità; 
  • 3) il fuoco (agni), che scaturisce dagli occhi e genera leggerezza, attività, calore, secchezza, sapore piccante; 
  • 4) l'aria (vayu), che pervade l'orecchio ed è penetrativa, espansiva, amarognola, astringente; 
  • 5) l'etere o spazio puro (akasa), penetrante, lieve, tenue, insapore, istantaneo come un veleno. 
A questi il Bhagavadabhisamayanama (del Kangiur) aggiunge, sesto elemento, la sostanza fisica della mente. Se nell'uomo prevale la combinazione di terra e acqua (kapha), egli sarà simile a un agricoltore: produttivo, fertile, melmoso; malattie kapha sono pallore, infreddatura, edema, costipazione, diabete, languore, tumori. Se invece prevale la combinazione di fuoco e terra, sarà puro (sattva), simile a un brahmano, caldo, viscido e amaro.

Se infine lo domineranno aria ed etere associati, avrà un carattere guerriero (rajas) e tutti gli elementi saranno in lui sospinti e guidati dall'energia. Va osservato il gioco corporeo dei cinque elementi. In primo luogo l'aria, a cui è dedicato l'XI, 4 dell'Atharvaveda. Spinge verso il basso, fa sputare, starnutire, eruttare, ingoiare l'aria primaria, pràna, «che soffia innanzi », e risiede in bocca.

Dimora nell'ombelico e sale in gola a far vibrare le corde vocali, rafforza memoria e intelligenza udàna, «che soffia verso l'alto ». E insediato nell'ombelico e fa digerire samàna, «che congiunge ». E insediato nel crasso, espelle feci, urine e sperma, trattiene o caccia fuori apàna, «che soffia in basso». Nel cuore fa sudare, apre le palpebre e fa sbadigliare vyana, «che soffia separando », e si muove tutt'attorno nel corpo, diffondendo i succhi. La Carakasamhità informa che l'aria alterata provoca reumi, dislocazioni, tremiti, crampi, rigidità, irregolarità peristaltiche, depressioni, tensioni o rilassamenti, espansioni o contrazioni, malattie addominali, irregolarità mestruali, sterilità, allucinazioni e convulsioni.

La combinazione fuoco-terra è un liquido caldo concentrato nel duodeno e separa le parti del cibo, appare rosso e acre nel fegato e nella milza, mentre nel cuore coopera a ravvivare la memoria e l'intelligenza; splende nelle pupille, effondendosi dalla pelle come un lustro. Si denomina pitta, che significa bile, ma comprende tutta la gamma di combinazioni terra-fuoco: ne dipendono l'assimilazione del cibo, la capacità di percezione o il suo onnubilarsi, la temperatura, la tensione nervosa, l'ira o la gioia, la confusione o la lucidità; genera infiammazioni, febbri, irritazioni, pus, un irregolare metabolismo. Terra-acqua invece è la schiuma che inumidìsce i cibi nello stomaco, regge il torace, umetta la lingua, lega viscosamente le giunture.



29/09/14

Il massaggio in India si prodiga senza interruzione già fra madre e figlio | LE TRE VIE

............« Il padre è giunto davanti al figlio ». Marpa è travolto dalla gioia.[Qui]

MEDICINA E ALCHIMIA
Surendranath Dasgupta tratta della medicina o Ayurveda, nella sua storia della filosofia indiana, come esplicitazione delle dottrine e non soltanto delle yogiche. Caraka la considerò il Veda primario, altri la denominò quinto Veda; si comincia a parlarne nel Mahabhàrata, dove già si elencano i tre elementi dei corpi viventi: vento, bile e muco. L'Ayurveda fu allineato accanto all'Atharva o quarto Veda, che provvide di riti, amuleti e preghiere la cura della salute, ma per formulario ci si restrinse alla conoscenza sperimentale, praticando fin dal 1000 a.c. la dissezione dei cadaveri; eppure esso presuppone la purezza che fu Herder a individuare in India: l'astensione dal vino e dalle carni il clima mite, l'assenza di eccessi vi crearono un popolo tenero e privo di forti passioni, « In contatto con lo spirito sottile degli elementi ».

La teoria del corpo sottile è sviluppata fin dai  primordi (anche se molte scuole lo negheranno): più piccolo di un pollice, pervade tutto Il.corpo, come una fiammellina impregna dei suoi raggi una stanza. Sottile è anche il soffio energetico che trasmette le vibrazioni della mente al corpo. Le cure sono un tesoro prezioso: fra le più antiche c'è esattamente la terapia cui Gurdjieff voleva sottoporre Katherine Mansfield: la dimora fra le mucche per un anno bevendo soltanto il loro latte. L'Indù soggiunge: meditando la gayatri, la preghiera «tat savitur varenyam, bhargo devasya, dhimahi dhiyo yo pracadajàt »: «Meditiamo la gloria del Sole, splendore divino, per essere illuminati ». Secondo la disamina di Harish Johari, parte intima, quotidiana, domestica dell'Ayurveda è il massaggio, amorevole cortesia che in India si prodiga senza interruzione già fra madre e figlio: 
stringe l'uno all'altro i loro organismi ben oltre la nascita in un nesso simbiotico. Vibra costante e lene la frizione prodigata dalla madre e il bambino a sua volta impara naturalmente a massaggiare, le sue prensili manine presto stropicceranno piedi e caviglie ai nonni. Ogni sposina è istruita dalla madre nell'arte di sfregare e stiracchiare lo sposo con i vari oli, specie quello di senape, vezzeggiandogli ventre, regione cardiaca, volto, premendogli con forza il collo, con energia risoluta piedi e cranio, tempestandogli poi coi pollici le vertebre della schiena, dal coccige alla nuca, sui due lati, come accarezzando e sciogliendo un serpente. Di continuo si picchiettano, impastano, sfregano e spremono i lottatori, i devoti a Hanumat, divino figlio del Vento e di una scimmia, il quale talvolta assume veste e aspetto di dea tantrica. Fu lui che massaggiò piedi e caviglie a Rama stremato. In lui s'immedesimò Ramakrishna. I lottatori volano come lui, s'appigliano come scimmie. Ma tutti in India ricevono il massaggio che raddolcisce e dispone alla transe e tutti ripetono il detto: «La malattia non sfiora colui al quale si massaggino i piedi prima del sonno, come alle aquile non si accostano i serpenti ». 
La linfa è risospinta nel sangue dalle frizioni e così nutre e ravviva dopo che il calore uniforme del massaggio l'ha purificata. La purificazione del cuore si raggiunge infine grazie alla magnetica fusione tra i corpi del massaggiatore e del massaggiato.

Costantemente in India ricompare l'immagine dell'essere non manifestato, Visnu assopito sul serpente, cui Laksmi massaggia piedi e caviglie. Sempre si ricanta l'episodio dell'esercito sfinito di Bharata, che dopo un bagno nel fiume è massaggiato da gruppi di fanciulle e subito, ringagliardito, si riprende. Chi potrebbe essere tormentato dall'insonnia, se lo rasserena uno strofinamento alla schiena e al capo seguito da un bagno prima caldo e poi freddo?

28/09/14

Tàrà doveva adorare come divinità le donne, ornamento dell'esistenza | LE TRE VIE

...... fatto risalire fino al cranio e qui arrestato, sino all'unificazione totale.[Qui]

I LEGAMI FRA L'INDIA TANTRICA E ALTRE NAZIONI 

È possibile che gli accoppiamenti tantrici derivassero dal taoismo: il Mahàcinakramàcara riferisce che Vasistha, figlio di Brahrnà, volle interrogare Visnu-Buddha sui riti della dea Tàrà e, mentre nella sua ricerca attraversava la Cina, scoprì il Buddha: era ebbro, circondato da migliaia di amanti, e gli svelò che se voleva attingere Tàrà doveva adorare come divinità le donne, ornamento dell'esistenza, adottando i riti cinesi. D'altra parte il Rudrayamala fu forse importato dalla Cina; vi si descrive l'insegnamento di un maestro che va accolto al suono di uno strumento, con una donna sensuale a sinistra e una coppa di vino a destra.

Si sa infine che Cinesi emigrati in India insegnavano le loro pratiche sessuali; ancora in tempi moderni certe donne apprendono in postriboli cinesi a reggere pesi sempre maggiori con le labbra del sesso commutate in tenaglia. Nel 716 un missionario partito da Nàlandà si recò alla corte dell'imperatore Xuan Zong e vi tradusse il Mahàvairocana Sùtra. Il primo maestro cinese di tantrismo, Huiguo, iniziò a sua volta il giapponese Kùkai, il quale identificò Mahàvairocana con il bodhicitta, riflesso del cosmo situato nel corpo. In Giappone Mahàvairocana fu identificato altresì con la dea shintò del sole. Invece in Birmania nel XIII secolo il tantrismo attecchì, come testimoniano ancora oggi i templi Payathonzou e Nandamana a Pagan e vi prosperò la setta di monaci tantrici ari.

Nel Tibet si formò la setta fondata da Padmasambhava, il « vecchio stile» o rnying mapa, che sopravvive oggigiorno. Dei loro riti ben poco è indigeno; secondo Il traduttore francese di Ma gcig Lab sgron, Jerome Édou, perfino il Gcod ha origine in India, nelle prajnaparamità; è la « resezione » d'ogni attaccamento, che si svolge in un cimitero con canti, danze e visualizzazioni, calpestando via via i vari desideri e infine amputando pezzo a pezzo il proprio corpo, che si getta alle dàkini. Nel secolo XV Tson k'apa fonderà i « virtuosi », dge lugs pa, ai quali appartiene il Dalai Lama, ovvero il maestro di oceanica sapienza, come suona il titolo largito al superiore dge lugs pa dai Mongoli nel secolo XVI. I dge lugs pa impongono vent'anni di vita intemerata prima dell'accesso al tantrismo, come i fratelli e le sorelle del Libero Spirito in Europa alla fine del Medioevo facevano premettere ai riti sessuali un vasto periodo d'ascesi.

Il principio fu statuito nei Cargatantra con la spiegazione che il neofita deve disciplinarsi e imparare con l'istinto, mercé un protratto allenamento, il valore simbolico di ogni atto. Altre sette tantriche tibetane hanno un rapporto mediato con la matrice indiana. Il concatenarsi dell'India tantrica al Tibet parte da Nàropà conducendo a Marpa e a Milarepa. I giovani tibetani migravano fino all'Università di Nàlandà in India, per cercare chi li volesse introdurre alle dottrine e alle pratiche più alte, portandosi l'oro per pagare l'iniziazione; Marpa il traduttore era uno di loro, vi andò e apprese le dottrine, e giunse al culmine solo incontrando il sommo Nàropà, Il quale lo mandò in una spedizione probabilmente immaginativa o, ancor più probabilmente, secondo il testo della Vita di Marpa, gli ispirò l'allucinazione di recarsi presso un maestro del Tantra-madre, che attiene alla vacuità essenziale di ogni fenomeno.

Tuttavia è in una successiva iniziazione che Marpa attinse la meta suprema, la trasposizione in un cadavere, che è possibile interpretare come metafora dell'impersonalità totale. Tornerà in seguito da Nàropà, e gli chiederà di continuare l'istruzione. Ormai vede il Buddha come Vajradhara « che brandisce il fulmine» e concepisce la triade suprema come intelligenza immutabile, conoscenza che nasce da se stessa, sintesi delle due; una volta compenetrato di questa triade, si porta nella beatitudine senza speranza e senza timore, senza base e senza radice. Ritorna ancora in Tibet, dove riceve il sogno di tre bellissime dàkini, fiori dello spazio puro: insegnano che soltanto il soffio nell'orecchio comunica la verità, che soltanto l'inesprimibile, che non si esterna in suoni, che non si può vedere, è la verità e soltanto un bambino la coglie.

Dopo questa illuminazione onirica Marpa deve tornare ancora da Nàropà, a dispetto dell'età ormai avanzata, dei lamenti di moglie e discepoli. Sulla strada incontra il sommo Atisa, ostile all'uso di inebrianti nella meditazione (ma soltanto per mantenere la disciplina nella comunità, ci informa l'autore della Vita). Atisa l'avverte che Nàropà è morto. Marpa non gli crede e per sei mesi cerca invano il maestro: il settimo mese ha la visione di un uomo che mangia un cadavere e che gli offre una manciata di costole. Gli fanno ribrezzo, si riscuote e vede sulla parete rocciosa davanti a sé una traccia del cadavere divorato: la ingoia ed è pervaso di gioia. Questo il preludio al supremo sogno che arriderà nel nono mese, quando vedrà il mandala di Hevajra e finalmente Nàropà stesso gli apparirà, facendosi trascorrere sul volto tutti e nove i sentimenti fondamentali dell'uomo, dichiarando: « Il padre è giunto davanti al figlio ». Marpa è travolto dalla gioia.

27/09/14

Il bodhicitta in quanto relativo è l'essenza dell'esistente | LE TRE VIE

............mostrandogli all'interno tutti gli dèi, i pacifici e gli iracondi.[Qui]

Questa suddivisione del corpo in divinità corrisponde alla meditazione prescritta dal Visuddhimagga (XI, 2): «Come sezionando una mucca questa cessa di esistere, chi desideri sbarazzarsi dei concetti di natura, uomo, individuo, basta che si suddivida nei suoi elementi, terra, acqua, fuoco, aria». Padmasambhava entrò nel palazzo e s'imbatté nella suprema dakini troneggiante fra sole e luna, che lo trasformò nella formula OM MANI PADME HUM, gemma-fallo nella vulva vuoto, e l'ingoiò. Egli le discese dentro, assimilando via via l'impeto di ciascuno dei suoi centri d'energia, fino al mulinello più svelto, che tutto sorregge, all'altezza dell'ano.

Questa narrazione è conforme alla dottrina che fa del bodhicitta il fuoco nato da sole e luna, lo sperma prodotto tra fallo e vulva, il germe che sorge dalla mescolanza di seme e sangue mestruale, la sillaba che si forma quando una vocale si unisce a una consonante, la giuntura dei due condotti paralleli che legano il coccige al cranio. Bodhicitta è l'essenza dei cinque elementi e dei cinque Buddha:
  • l) Splendente (Vairocana), bianco, centrale, situato nella testa, che diverrà Mahàvairocana, principio e somma del cosmo; 
  • 2) Incrollabile (Aksobhya), azzurro, orientale, aria e tatto, cuore; 
  • 3) Matrice di gioie (Ratnasambhava), giallo, meridionale, fuoco e visione ombelico.
  • 4) Luce sconfinata (Amitabha), rosso, 'occidentale, acqua e gusto, bocca;
  • 5) Perfezione infallibile (Amoghasiddhi), verde, nordico, odorato e terra, gambe. 
Il bodhicitta in quanto relativo è l'essenza dell'esistente; in quanto assoluto è la beatitudine che si ottiene invertendo il flusso dello sperma e conducendolo al sommo del cranio tramite i vari centri: il trasformativo (nirmana) dell'ombelico, l'esistente (dharma) del cuore, il gaudioso (sambhoga) del collo, per finire alla gran gioia (mahasukha) della testa. Questa esultanza finale si tocca nel kundalini yoga con un calore trabocchevole, accompagnato da sensazioni acuminate e seguito dal rumore di un mare o di un tuono o di una cascata, terminante nell'esile timbro di un flauto. A tal punto si barcolla, il cuore si attenua e sfilano vampate, colori, nubi, i cosiddetti nimitta, ai quali succede una luce uniforme costante.

Nàropà, un maestro di Nàlandà, nel X secolo fu iniziato da Tilopà, il quale gli insegnò che pensare senza nessun fine è il « gran gesto» (mahamudra) con cui ci si salva dalla realtà fenomenica, trascendendo ogni pensiero diretto a un fine, portandosi al di là del dualismo e di ogni linguaggio. Il capolavoro di Nàropà, il Kàlacakra, fu tradotto in italiano nel 1994 da Raniero Gnoli dopo che da vari anni il Dalai Lama aveva proceduto a iniziazioni di folle al rito kàlacahra, in cui ci si raffigura come bambini appena nati, posti dinanzi a un mandala che rappresenta l'universo. Si cresce progressivamente mercé l'aiuto del maestro e della sua compagna, fino al momento supremo in cui i due concedono di partecipare al loro abbraccio e si assaggia il seme in forma di latte cagliato e le secrezioni vaginali in forma di tè.

Quindi il maestro porge la compagna e, uniti a lei, si perviene al vuoto, disciolti nel suo grembo come un tozzo di sale nell'acqua. Il testo di Nàropà fornisce una trattazione integra dei riti e delle loro premesse teoriche, espone la condizione preliminare dell'iniziatore, capace di vista e udito soprannaturali, che gli consentono di penetrare nella mente umana e di rammentare le vite anteriori proprie e altrui, oltre che di volare. La capacità di volo è stata accordata nella premessa all'iniziazione maggiore, quando si è subito l'invasamento dell'ira, frantumando ogni cosa, percuotendo tutti i presenti, sempre ballando e saltando, per culminare in una fragorosa risata e nell'ululio di HUM senza ombra di vergogna, senza traccia di ritegno.

Ora ci si inoltra, forse per allucinazione, in volo nelle regioni sotterranee, sviluppando una duttile eloquenza e la penetrazione nelle altrui menti. Dopo questa prova il maestro, acquietato il discepolo, introduce l'adepta, e con lei amoreggerà come le figure terrifiche delle t'an ka tibetane con le dee accoccolate in grembo. Il discepolo parteciperà al loro amore e quindi offrirà una sua fanciulla al maestro. Maestro e discepolo apprenderanno infine a proiettarsi nell'uretra il seme e sapranno trattenerlo mentre con la fantasia concepiranno il Buddha che si estende nei tre mondi e li colma. Segue lo yoga sestuplice, che si suddivide nella ritrazione del mondo esterno, nella contemplazione di se stessi, nella concentrazione del respiro al di qua di ogni alternità, fatto risalire fino al cranio e qui arrestato, sino all'unificazione totale.

26/09/14

Bhaga: significa «fortuna, amore, piacere, sesso femminile» | LE TRE VIE

...fu spezzata con stragi e incendi dall'invasione islamica del 1200. [Qui]

La coppia Sakti-Siva nel vajrayana è sostituita da quella di prajna e upaya: la conoscenza del vuoto, o donna, e il mezzo che consente di raggiungerla, che sarà il linguaggio metaforico, il rito, la finzione: l'uomo. Il sesso femminile è conoscenza, il fallo mezzo di conoscenza. Upasa, «mezzo », porta alla luce ciò che nella conoscenza del vuoto è implicito e latente. Dasgupta invita a osservare la parola bhaga: significa «fortuna, amore, piacere, sesso femminile», denota il godimento sessuale ma è anche il principio dell'essere verso il quale la conoscenza ci indirizza; mezzo per raggiungerlo è il fallo.

L'idea nuova che il buddhismo introduce nel Tantra è bodhicitta, il « pensiero dell'illuminazione» o meglio la volontà di raggiungerla. Nàgàrjuna lo interpreta come l'affrancamento da qualsiasi determinazione, vuota universalità e Vasubandhu lo paragona all'oceano, da cui ogni gemma è scaturita; si denota come infinito, smisurato, indistruttibile, al di là dell'idea di origine. È rappresentato dal vajra, fulmine, diamante, fallo. Fu identificato dalla scuola sahaja con lo sperma che sale fino al cranio. Fra le opere tantriche buddhiste primeggia lo Hevajratantra dell'VIII secolo, cui s'aggiunge il commentario del secolo successivo Yogarainamàlà o Hevajrapanjika. Snellgrove tradusse il testo.

Più tardi si aggiunse una versione dei commenti. L'inizio è un compendio stringato dell'insieme: «Così ho udito dire: un tempo il Signore [Bhagavat, il seme] sostò nel grembo della Dama Fulmine [Sapienza, vulva], corpo, verbo e mente di tutti i Buddha ». Il trattato insegna che ogni realtà è creata dalla mente e che si viene a saperlo soltanto al di là del linguaggio e della coscienza di sé congiunti a una compagna, avendo unificato i condotti sottili del corpo: fantasia, mente dipendente e mente del tutto manifestata. Ogni forma è un errore della mente che la proietta, nella veglia come nel sogno. Ma che cos'è la mente? Si definisce come la totalità dell'esperienza consapevole, che non è a sua volta una sostanza, ma si prospetta e configura soltanto per ottenere un piano dal quale togliere di mezzo l'attaccamento alle forme: la mente di per sé non esiste, è un mezzo.

Chi partorisce l'universo è la Madre, la quale è una danzatrice perché non si riesce in alcun modo a fermarla ed è senza casta perché non rientra fra le cose percettibili. Si chiama «Entrata in un cadavere»: torna in essere così l'antico concetto indù che si espresse nel mito di Prajàpati, il quale incorpora il proprio decesso, come il sacrificatore vedico incorpora il proprio trapasso offrendo in sacrificio i beni, in attesa che altri sacrifichi e lo inviti a partecipare, entro un perenne circuito di scambi. Nel Tantra la morte preziosa, che si notò fra le accezioni di moksa, si ottiene con una bella compagna dai vasti occhi colore del loto azzurro, misericordiosa e consacrata, che porge nel piacere erotico un infinito istante. Si sia certi di essere liberi da ogni legge, si abbia coscienza di emanare l'universo e di non esistere come persona, intima lo Hevajratantra.

Nell'VIII secolo un sovrano vide il maestro kashmiro Padmasambhava nell'alto del cielo, circondato da terrificanti dakini il sovrano volle nominarlo erede, ma egli rifiutò il regno, preferendo un cimitero, dove convertì al buddhismo le dakini che lo infestavano. S'inoltrò quindi in un boschetto di sandali, la seduzione delle apparenze, e scorse al centro un palazzo di teschi. Era in procinto di entrarvi un'ancella ed egli l'arrestò con la potenza del suo yoga. Lei si voltò e si squarciò il corpo, mostrandogli all'interno tutti gli dèi, i pacifici e gli iracondi.


25/09/14

IL TANTRA BUDDHISTA | LE TRE VIE

......vibrazione generata dalla Madre (matrka): l'insieme delle lettere a partire dalle vocali.[Qui]


La letteratura tantrica fu esposta da Avalon come culto della Dea che è potere e pura coscienza(cit) , anteriore alla manifestazione dell'universo, alla dualità di conoscente e conosciuto, abbastanza simile alla coscienza che si può avere risvegliandosi con un vago ricordo della gioia goduta nel sonno, coesistenza del puro essere (sattva), della coscienza primordiale e della beatitudine, quando si può dire, secondo Il Visvasàratantra «Chi sta qui sta anche altrove. Chi non è qui non è in nessun luogo ». Per arrivarci bisogna aver infranto le restrizioni (pasa): pietà, ignoranza, vergogna, famiglia, moralità, casta, come le elenca il Kulàrnavatantra: Finché Kundalini è addormentata avvolta al coccige, si è perfettamente svegli. Quando si sia ridestata, la nostra coscienza è trasfusa nella luce e di fronte agli inganni, alle illusioni del mondo si resta del tutto assopiti.

Mercé i riti si attribuisce alla Dea, all'assoluta potenza, il cuore come seggio, il pensiero come dono, l'inquietudine come danza. Questi riti non sono solamente documentati dai testi, ma anche da certa architettura, come quella dei templi circolari dedicati alle 64 (8 x 8) yogini, emanazioni di Durgà, le signore della vegetazione e del destino umano, che si possono incarnare nell'adepta dei riti tantrici. In questi templi, sia a Hiràpur che a Rànipur-j harial, nell'Orissa, le 64 statue di yogini sono disposte sul circuito delle pareti in direzione dello Siva centrale. Secondo Heinrich von Stietenkron esse rappresentano le passioni e il loro intreccio con il calendario lunare, mentre Siva è l'emblema del sole. Contemplando l'iconologia dell'arte indù, quante volte, via via che se ne svelano gli equilibri interni, ci si trova nel cuore del Tantra!

IL TANTRA BUDDHISTA 
 Fin qui si è presentato il Tantra come eresia induista, terza fra le vie alla liberazione. Il buddhismo lo condannò quanto l'induismo ortodosso ma ne fu altresì compenetrato e lo assunse come dottrina maggiore nella massima sua università a Nàlandà, dotata dai Gupta d'una vastissima biblioteca. Si generò così il vajrayana, la via del forte e duro, dello scoppio, che conduce a conoscere la vacuità del reale, rimasta a tutt'oggi intatta in Tibet, nel Nepal e a Bali a fianco dell'induismo.

Tre missionari tantrici dall'India raggiunsero il tempio a forma di mandala a Famen nello Shaanxi di dove, dopo cent'anni di nascondimento, il Tantra si diffuse nella Cina dei Tang. Ci vissero le scuole tantriche Zhenyanzong, Jushezong, Chengshizong, ma nessuna riuscì a impiantarsi. La straordinaria civiltà tantrica indiana fu spezzata con stragi e incendi dall'invasione islamica del 1200.

24/09/14

Le energie assopite e inconsce si scatenano Kundalini si srotola | LE TRE VIE

.... che i suoni inglobino l'universo e designino gli archetipi immaginabili.[Qui]

Da questa simulazione, che i significanti raccolgano tutta la nostra esperienza di significati, proviene una serie di vantaggi, l'espressività dell'idioma si dilata, sicché la lettura dei testi consacrati diventa misterica. Di qui capolavori come il Tantraloka di Abhinavagupta, dove tutto l'universo si squaderna. Secondo Abhinavagupta ogni manifestazione emerge dal cuore di Dio e l'uomo vi può partecipare grazie al tremito inconsapevole del proprio cuore. Per avvertirlo occorre spingersi al di là del vuoto, fino al punto in cui si cessa di distinguere il corpo dal mondo esterno.

Ci si arriva mediante la forza della negazione, apohanasakti, la quale rallenta la vibrazione della consapevolezza e l'emissione del respiro. Chi giunga a questo stadio di apprendimento vi si potrà anche insediare stabilmente. Potrà poi progredire verso l'indicibilità: non è afferrabile, ma se ne può ottenere coscienza in grazia del Tantra, il quale nulla nega perché si tiene alla vibrazione fondamentale di tutti i soffi in completo abbandono, in una quiete esente da ogni distinzione, al di là di spazio e tempo; in esso si scorda d'essere nati e d'essere esposti al futuro.

Per spingersi fin qui è stato necessario generare un turbine cieco e impersonale, facendo combinare e fondere insieme la coagulazione e il discioglimento. A questo punto ci si proietta in uno spazio che sta al centro dell'universo (kha), dove ci si integra entro il tutto istantaneo e discontinuo, nel quale si spalanca una breccia sul nulla e sul vuoto. L. Silburn cita il commento di Mahesvarànanda al suo stesso inno Mahàrthamaiiiari: «Quando ti apri il cammino verso il centro di kha fino al bindu [il punto senza dimensioni, Siva stesso], ti si conosce col nome di khecari [energia che erra nell' etere della coscienza] ».

Non si tratta di nirvàna: esiste una forza che porta al di là del nirvàna, nella pace suprema di Siva-che-gioca. Non si è neanche riusciti a capire che cosa sia questa pace finché ci si concepisce come separati dagli altri, per un pregiudizio nato dall'immaginazione. L'uomo perfetto e potente (siddha) si manifesta nell'unità eseguendo riti sessuali col discepolo e con la compagna: da un tale incontro emerge oceanico e androgino, freme alla congiunzione dei sessi e dei loro ritmi opposti, nell'intervallo fra due pensieri, stando esattamente tra l'uno e l'altro, nella fusione di Siva e della sua sakti. Ora che sono cessati i pensieri a duplice polarità insieme al respiro in inspirazione ed espirazione, le energie assopite e inconsce si scatenano, Kundalini si srotola, cominciando dalle pulsazioni all'ano che generano innanzitutto meraviglia (camatkara), quindi un turbine di tremiti che estinguono la coscienza, fino a esplodere nella risata fragorosa di Siva.

Il maestro partecipa alla trasformazione dei discepoli penetrando nella loro anima in maniera che l'effervescenza sensibile si rifletta nell'intima coscienza di ciascuno di loro come in una molteplicità di specchi. Nell'ultima fase del processo si sarà scossi da brividi d'orrore, da profluvi di lacrime, da sbadigli e balbuzie, via via che scattano i nodi nel condotto della spina (susumna). Alla fine si perverrà all'identificazione totale con Siva. Abhinavagupta si riallaccia al sistema vedico, ma ne fornisce un'interpretazione del tutto esoterica. Dà un'esegesi ,della Bhagaoadgità che capovolge quella di Sankara, riferendo ogni asserzione del poema alla liberazione come identificazione con Siva.

Ogni rimprovero al desiderio, ogni limite alla podestà di liberarsi dalle caste sono cancellati. Abhinavagupta invoca l'unificazione di tutte le tradizioni religiose e filosofiche (Sastrananam melanam); presso di noi soltanto il Pico saprà attingere questa radicale, innovativa conflagrazione e trasfigurazione. Ksernaràja ribadirà che il nostro sé non è certo il corpo, né il soffio, né l'intelligenza, né il vuoto, bensì la pura coscienza illuminata fusione d'oggetto e soggetto, vibrazione generata dalla Madre (matrka): l'insieme delle lettere a partire dalle vocali.

23/09/14

Il triangolo si chiama Desiderio-Tempo | LE TRE VIE

........... il suo volo sospeso e quieto simboleggia la vita nella sua essenza.[qui]

Siva e Sakti formano il triangolo dell'essere, al cui vertice sta il sole con il fuoco a sinistra e la luna a destra. Sul lato sole-luna si pongono le sedici vocali e semivocali. Al lato fuoco-luna spettano la vibrazione centripeta e le sedici consonanti da ka a ta. Sul lato luna-sole si situano la vibrazione centrifuga e le sedici consonanti da tha a sa.

Il triangolo si chiama Desiderio-Tempo, dalla sua osservazione si parte per spiegare la bocca come microcosmo e le lettere come vibrazioni archetipali dell'essere: a è la bocca spalancata, meravigliata (adbhuta); i è l'energia della manifestazione, la volontà (iccha); u è lo scatto della manifestazione tunmesas, A, i, u sono i tre fili che tessono la realtà; il bianco a crea lo spazio fra sole e stella polare, la religione; il rosso i orbita fra espansione e contrazione, creando dolore, autorità, magia, sangue mestruale, atmosfera ventosa; il nero u è centri peto, denota distruzione e produzione, voluttà e terra. Allungandosi, le tre vocali formano: il la beatitudine (ananda); l l'impero, il potere (lsana); il la deficienza (ilnata). A si trasforma in r, il fuoco; l in {, la terra; u in v, l'acqua; il in y, l'aria. Le consonanti o serpenti o scorpioni sono le madri che raccolgono il seme delle vocali per portare alla luce le realtà, con i suoni celesti gutturali, k, kh, g, gh, li, guerrieri palatali o dentali, c, eh, j, jh, ii, t, th, 4, dh, 'YJ, t, th, d, dh, n; infine dalle labbra escono i suoni terrestri: p, ph, b, bh, m. È quasi fuor del limite labiale che si formano S, s, s, h, le ultime lettere, simboli sibilanti o aspiranti di magia nera.

Così a ogni lettera corrisponde un settore del cosmo, una direzione dello spazio, un genere di piante, un tipo di minerale, un'occupazione umana, un settore delle città, un organo del corpo, un colore. Ogni mattina, quando ci si sveglia, su ogni parte del corpo si impone una lettera, con un gesto chiamato nyasa, e le lettere diventano « un ornamento di gioielli », fanno del corpo l'universo in piccolo. Questo gioco alfabetico-cosmologico nitidamente formulato da Abhinavagupta fu presente anche nella Qabbàlàh. Sanscrito ed ebraico si trasformano così in registri fedeli del cosmo, assurgono a un massimo di sacralità, i loro testi più riveriti si prestano a mille letture, proliferando, scherzando, diventando piste inesplorate, lampeggiamenti d'una miriade di lumi, simili alle volte dell'Alhambra.

Stupirà che ogni singola lettera si carichi di simboli? In realtà questo metodo è diffuso in molte civiltà; oltre che fra gli Ebrei, dimostrava Robert Eisler, fu usato dai Greci, dominò inoltre fra i Germanici come sistema delle rune e fiorì nel sufismo Hurifi. A noi sembra una via inaccostabile, siamo fondati sulla linguistica moderna e ogni idioma ci appare come un temporaneo disporsi dei suoni secondo lo sviluppo da un'originaria lingua ipotetica unica, destinata a diramarsi, un 17000 anni fa, tra tante altre famiglie, nel « nostratico », come lo chiamarono i sommi linguisti russi degli anni Sessanta, Illich-Svitych e Dolgopolskij. Questa parlata doveva suddividersi in seguito, diventando protosemitico, cartvelio (da cui emanerà il georgiano), uralico, dravidico, eschimese, tunguso, giapponese e indoeuropeo.

Alcune parole mostrano una persistenza strabiliante, come il nostratico kujna, che persiste da noi come «cane ». In questo gioco di incessanti mutazioni e di rare persistenze, come isolare una lingua più sacra, come trarre da fonemi il sistema del mondo e dell'oltremondo? Eppure sarebbe forse un errore trincerarsi nella nostra scienza fino a negarci l'accesso al gioco dei sistemi sacrali. Si sa per certo che i significanti non danno mai accesso al significato.

Basterebbe riflettere sulla povertà, che a volte diventa assenza, di vocaboli a denotare la varietà di odori, sapori, suoni, cenestesi, sensibilità magnetiche o elettriche o d'altro genere, l'impressione cioè delle molteplici onde che attraversano l'universo; sul sesto senso, col quale l'uomo non saprà mai percepire alla maniera del becca fico o del pipistrello, ma pure qualcosa avvertirà; sul fatto che molti nell'orbe dischiuso dalle nari, dalla lingua, dalle orecchie, dall'interno del corpo, si espandono, raccogliendo esperienze delicate, sottili, poetiche, imparando che i significanti non potranno mai colmare questi spazi muti, questi significati inappuntabili a parole.

Ma in civiltà assestate e approfondite come l'indiana, l'ebraica, l'araba ci si può tuttavia perfino fingere che i suoni inglobino l'universo e designino gli archetipi immaginabili.

22/09/14

Destare la serpe avvolta al coccige facendone scorrere l'empito fino al cervello | LE TRE VIE

......... nel quale si mescolerà il contenuto del bacile.[Qui]

Nel II secolo apparve la scuola pasupata, del signore degli animali, che perdura oggi nel Nepal; i seguaci erano sivaiti dediti alla sacra follia, fingevano il sonno profondo, passeggiavano in disordine facendo gesti furiosi o osceni, ballando e ripetendo om. Si consacravano al canto, ai mantra, al ballo, alla risata, si spargevano di cenere il corpo. Il Tantra pasupata invita a compiere tutti i peccati per negare la negazione; dice il Pasupata Sùtra, tradotto da Raniero Gnoli:
|"Immanifesti i contrassegni [dell'asceta], manifesta la sua condotta, disistimato, in mezzo a tutti gli esseri, vilipeso si aggiri, soppressa ogni maculazione. Perché mal considerato dagli altri, dà maculazione a coloro che lo disprezzano e si prende i loro meriti spirituali. Perciò, a mo' di un morto si aggiri; o russi; o si dimeni; o zoppichi; o amoreggi. Agisca, insomma, e parli sconvenientemente di modo che ottenga il disprezzo (voluto). Disprezzato, infatti, il saggio raggiunge la perfezione dell'ascesi» (1I1, 1-19).
Questo comportamento implica che ogni traccia, nonché di orgoglio, di io, sia stata soppressa. In seguito apparvero i « portatori di teschi » (kapalika) adoratori di Càmundà e i « visi neri » (kalamukha) che ritenevano di riconoscere mercé lo yoga l'uguaglianza di tutte le creature e celebravano il coito con una donna capace di identificarsi con Pàrvati, perché nel sesso femminile riconoscevano la sede dell'identità assoluta. Setta analoga formavano i « non terrificanti » (aghora), che sopravvivono tuttora mangiando immondizie e carne umana.

Fra i visnuiti esistettero, nel I secolo, i «seguaci delle cinque notti » (pancaratrin). Tra il IX e il XII secolo il Laksmitarura disserta sulle lettere dell'alfabeto come archetipi dell'universo, sui riti sessuali e sui mantra, formulando una teologia che attribuisce a Laksmi il ruolo di creatrice dell'universo. Il Kashmir attorno all'anno mille fu sede della più alta scuola filosofica indiana. Abhinavagupta, fra il 933 e il l015, vi insegnò che tutte le costruzioni (vikalpa) si lasciano cadere allorché si è travolti dalla liberazione, la quale fa tacere ogni rimembranza: il Signore scende come potenza (Sakti), risonanza e soffio, illuminandoci. La scuola kashmira in genere scandagliò con attenzione rifinita il concetto fondamentale di vibrazione, inizio e sostanza del mondo: la verità s'intende soltanto scoprendo la vibrazione sottostante.

Ksernaràja, discepolo di Abhinavagupta, individuò tre tipi di vibrazione: la vibrazione della propria specifica natura, quella da cui sorge la conoscenza innata, quella che annuncia i poteri. Chi si concentri su di esse e con esse si identifichi assume l'aspetto di Siva Creatore ebbro con occhi roteanti. Questa ricerca della vibrazione era stata anche un perno del buddhismo, che suddivideva ogni pensiero cosciente in diciassette istanti, ma sostenendo che esso può restare inconscio, confinarsi a una mera reazione. Anche in questo caso alla sua radice c'è stata una vibrazione, che l'ha generato; e che rafforzandosi lo fa irrompere nella mente. La propria specifica natura si attinge per Abhinavagupta destando la serpe avvolta al coccige e facendone scorrere l'empito fino al cervello, provando in successione la beatitudine, un sobbalzo, un tremito, un assopìmento e accorgendosi infine della pulsazione primordiale che ci costituisce.

Bisogna saper individuare questo fremito dopo aver sperimentato i tanti e vari tremori dell'amore, dell'odio, dell'ira, del piacere, e lo si percepisce quando ci si lasci affondare nel sonno preservando una lucidità sottile, che è dono di Dio. Una delle opere sivaite tamil, il Pauskaràgamajana, esamina il rapporto fra Siva e la creazione, ponendo come trapasso il bindu, ovvero il punto presupposto anche dalla geometria, come spesso si è ripetuto, come istante di nascita della linea, il quale non occupa spazio: è la pura potenzialità della manifestazione. Non sarebbe bastevole questo punto da solo come origine del mondo? Che bisogno c'è di postulare Siva?. Gli autori kashmiri rispondono che Siva muove il punto verso l'esistenza spaziale con la sua, immaginazione (samkalpa).

La presenza di Siva sognante è causa strumentale sufficiente alla manifestazione del punto, causa materiale del mondo. Considerato insieme al punto, Siva si chiama Ìsvara, il Signore. Da queste premesse si comprende la parte più lirica della speculazione di Abhinavagupta, là dove afferma che quando Siva trapassa dal non-manifestato alla manifestazione mercé il punto (bindu), emette un suono, il gioiello (bija) che rappresenta la potenza (Sakti), lo scatto di manifestazione corrispondente all'uno, all'individuazione, all'inspirazione, alla sillaba HAM, mentre l'espirazione ed estinzione si rappresenta nella sillaba SAH. La connessione dei due momenti è hamsah, che significa l'anatra maschio, capace di levarsi sulle acque e di planare a lungo nei cieli; il suo volo sospeso e quieto simboleggia la vita nella sua essenza.

21/09/14

Per ridestare Kundalini è necessaria la « grazia del maestro» | LE TRE VIE

.......« cerchia di dove si lanciano maledizioni ».[Qui]

Per ridestare Kundalini è necessaria la « grazia del maestro» e la « rottura dei nodi»: delle girandole di energia disposte a tappe sulla spina. Il tallone sinistro andrà posto sotto l'ano e si dovrà stendere la gamba destra stringendosi l'alluce, in quella che si denomina la grande posizione (mahamudra). Il trattato impartisce l'arte di assumere un aspetto cadaverico e di tagliare a poco a poco il frenulo sotto la lingua, in modo che questa possa spingersi in alto fino allo spazio tra le sopracciglia (khecari mudra), e, ritorta indietro, blocchi naso, faringe e trachea (akasacakra): così saranno superati il destino e la temporalità e si riuscirà a rovesciare il getto di sperma nella propria uretra. La lingua, serrando le tre aperture della gola, si dice che «mangi la vacca» e la discesa dall'alto del nettare, che così avviene, si denomina « bevuta di vino ».

Le posizioni di questo yoga sono ottantaquattro. Si può rammentare il kùrmàsana, in cui ci si siede sui piedi incrociati, e il padmàsana, coi piedi che poggiano sulle cosce mentre le mani stanno abbandonate nel grembo e il mento cade sul petto; così accoccolati si spinge in basso l'aria del petto (prana), serrando la gola, mentre si contrae lo sfintere anale spingendo l'aria dell'intestino contro Kundalini.

Altra posizione: ci si concentra sull'interno del corpo respirando alternamente attraverso la narice sinistra, che simboleggia luna e sperma, e attraverso la destra, sole e sangue mestruale, quindi si trattiene il respiro (kumbhaka) tremando e sudando finché il fiato (prana) giunga al sommo della testa. Si fanno anche roteare le viscere e lo stomaco per forzare i tre nodi del canale al centro della spina dorsale (susumna), dopo di che si può eseguire il layayoga o yoga del dissolvimento, grazie al quale si dimentica ogni sensazione. A questo punto si è pronti alla sambhavi mudrà, con cui si raccoglie l'attenzione su ogni cakra o centro di rotazione sottile del corpo, fissando intensamente un oggetto sì da agevolare una lieve ipnosi.

Allora è giunto il momento di percepìre ogni cosa come manifestazione di Siva al di là del contrasto fra vuoto e pieno, di scorgere la luce primordiale e di ascoltare i suoni segreti del corpo fino a quello finissimo che somiglia al flauto e alla vina o liuto. Il trattato disserta anche di vajroli, lo sviluppo della capacità assorbente dell'uretra, che giunge a ritrarre lo sperma emesso; sahajoli, la stessa facoltà, che raccoglie le secrezioni femminili; amaroli, l'abitudine di bere la propria urina e di usarla per lavacri nasali. Una decina d'anni fa ci fu una rinascenza di amaroli nell'India, con la pubblicazione di trattatelli sulla tecnica e dichiarazioni a suo favore di politici eminenti. Del resto nel buddhismo i monaci si curavano con l'ammoniaca dell'urina di mucca, spiega il Cattàri Sutta.

La Hathayogapradipika loda il capo della setta dei « protettori » o nàtha, che soggiogava i serpenti e i cui seguaci ricevevano l'iniziazione da una tigre (nella letteratura, ruithà equivale a donna), viaggiando fuor del corpo dopo aver pigiato i talloni sull'ano. Molte scuole bengalesi denominate natha coltivavano l'ideale dello yogin che diventa una montagna immutevole e pratica l'alchimia, unendo sole e luna, i due soffi contrari del corpo, il cibo che dal sole proviene e al sole risale dentro al mangiatore, che ne dipende come la luna dal sole: vulva e fallo, Sakti e Siva. L'influsso del ruitha si protrae in sette di fuoricasta del Ràjasthan, dove uomini e donne si radunano in cerchio a cospetto d'un diagramma della Dea (sriyantra). Le donne gettano in un bacile di terracotta (kunda) i loro corsetti e si tira fuori a caso quello della prima che andrà a unirsi con un adepto dietro una cortina.

Tanto meglio se la donna ha i mestrui o se capita un incesto. Alla fine la donna riceve in mano il seme « gioiello », che va a deporre nel bacile. Così faranno via via le varie coppie. Tutti alla fine mangeranno il classico pasto scandaloso di carne, pesce, fagioli e grano con vino, che finirà con un bollito di miglio dolcificato e intriso di burro depurato, nel quale si mescolerà il contenuto del bacile.

20/09/14

Dedicata al risveglio della Serpe Avvoltolata o Kundalini | LE TRE VIE

....Tutta la popolazione di spiriti va interpretata come un quadro trasposto delle possessioni, dei desideri, delle conquiste, delle paure umane.[Qui]

Proiettati in questa cornice, i Tantra diventano più pienamente leggibili. La parola significa trama o tessuto (il sole è chiamato tantràyin. perché emette raggi come fili un tessuto). Tantra denota anche il modello, il sistema, la dottrina o la pratica, in genere ciò che si dispiega. Si associa naturalmente ai sistemi bene intessuti sia di figurazioni (yantra) che di suoni (mantra). Nell'accezione più stretta il vocabolo designa un insegnamento esoterico non vedico, o legato ai Veda da una liberissima interpretazione. Esso ha per tema l'emanazione dell'universo a partire da un suono originario inudibile, che si tramuta prima in un atomo sonoro percepito dai veggenti, poi nel suono potenziale che infine diviene percettibile a chicchessia; da questi elementi primordiali si dipana il mondo fino all'oggi, l'epoca nostra, retta dai Tantra. Inoltre implica un culto non vedico ché si congiunge a sogni, allucinazioni volontarie, autoipnosi; chi partecipa s'identifica con Dio, Visnu o, più di frequente, Siva, e dovrebbe ricevere poteri magici (siddhi) oltre alla liberazione.

Fra i riti prevale il consumo delle cinque M: vino o Sakti (mada), carne o Siva (mamsa), pesce (matsya), cereali o legumi, che taluno interpreta come stupefacenti (mudra), e coito (maithuna) in cui il maestro opera con un'adepta e un discepolo o con una cerchia di coppie e tutti giungono all'estasi unendosi all'Androgino divino. Si suol dire che queste pratiche si possano intendere sia alla lettera (via di sinistra) che metaforicamente (via di destra), comunque questi dettami sovvertono il regime alimentare, il sistema delle caste e l'etica vedica oltre a scancellare la moralità patriarcale. I devoti del Tantra usano un idioma segreto (samdhyabhasa)e celebrano con una donna di bassa casta (bombi)un congiungimento in cui esistenza, nirvàna, mente e fiato servono da strumenti, mentre tutt'attorno si allineano in cerchio, presenze terrificanti, le yogini; lo sperma e le correnti di energia nel corpo sono il mosto che fermenta in vino via via che sale su per il corpo fino al cranio, scatenando l'ebbrezza estatica che apre a unità e liberazione.

Per accostarsi a questo termine si contempla il suo simbolo, il centro di una figurazione (mandala) appositamente scelta dal maestro per chi la deve adoperare. Tucci osserva che ogni mandala mostra lo sviluppo del cosmo, il fedele deve fare a ritroso questo cammino. Quasi di necessità a questo fine ci si avvale dell'alchimia rasasatra, che fornisce preparati di zolfo, mercurio e mica speziati di droghe come, la marijuana, che contiene la sostanza di Siva. Questo aspetto alchemico dei tripudi tantrici è già documentato da testi del IV secolo. L'origine del tantrismo come complesso di questi aspetti non si può accertare, ma le posizioni di yoga tantrico coi talloni congiunti sotto il perineo nei sigilli di Mohenjo Daro del . 3000 a.C. saranno descritte nell'Acaranga Sutra e nel Kalpa Sùtra giaina.

Il primo testo che si può chiamare di yoga tantrico, ben diverso dalla pratica che espone Patanjali, è la Hathayogapradipika attribuita a Svàtmàràma e dedicata al risveglio della Serpe Avvoltolata o Kundalini, che rappresenta l'insieme delle energie inconsce. La parola è connessa con la radice kunc: « incurvare ». Dalla stessa origine indoeuropea proviene l'antico irlandese cuachach, « arricciolato », ma è singolare e forse può spiegare il senso del termine sanscrito lo hindi kùrra, « cerchia di dove si lanciano maledizioni ».

19/09/14

La grande filosofia sivaita tantrica | LE TRE VIE

.... negli stessi anni Goethe si dedicava con identici princìpi a precisare l'idea di Natura.[Qui]

LA GRANDE FILOSOFIA SIVAlTA TANTRICA 
Tra le figure fondamentali dell'uomo ce n'è una che non si sente legata ai miti affetti, ma in sé osserva levarsi ondate furibonde di passione, che travolgono, esaltano, si svelano per le forze fondamentali dell'universo. Lo condurranno all'oltraggio, alla violazione d'ogni norma: soltanto seguendole, stringendo l'anima coi denti, egli si sente vivere. Osserva attorno a sé: non c'è uno Stato che si regga senza l'aiuto di gente come lui, la guerra è intrinseca a ogni convivenza; si sente confortato, si butta entusiasta nell'orrore della vita.

Per lui l'India ha provveduto a stendere una Scrittura, a elaborare la più raffinata filosofia. La bhakti sivaita porta ai margini di un corpo di Scritture che l'India vittoriana volle proscrivere, il Tantra che Arthur Avalon, pseudonimodi un giudice inglese, Sir John Woodroffe, seppe scoprire e divulgare all'inizio del XX secolo. Per riacquistare il significato che poté avere al momento in cui si formò il Tantra, giova discernere il mondo indiano come si presentò attorno all'anno mille, quando nel Kashmir Somadeva scrisse il Kathàsarusàgara. Allora induismo e buddhismo si integravano amabilmente e convivevano le pratiche religiose pie accanto alle cerimonie più sinistre. Si verificavano episodi affini alle consuetudini stregonesche d'Europa: in quest'India medioevale spesso le maghe appaiono legate alle sette macabre Madri, che tali si chiamano perché aiutano il devoto a superare la paura della morte; il loro aspetto terribile sgomina ogni paura, se si impara ad assimilarla.

Esigono sacrifici raccapriccianti: la devota traccia un cerchio, si spoglia, quindi armeggia con bastoni, ciuffi di capelli e teschi, disponendo nelle quattro direzioni vasi di sangue, e divora un cadavere mentre arde un fuoco. Il sangue per lei corrisponde ai fiori dei sacrifici ordinari, gli occhi all'incenso, la carne della vittima all'oblazione vegetale. L'azione culmina con l'offerta dei due «loti»: la testa e il cuore spiccati dalla persona immolata. Come effetto del rito la strega si solleva in volo o ne ha l'illusione. Altri riti assecondano quello centrale, come lo spargere granelli d'orzo per la casa: fatti lSermogliare con incantesimi, si convertono m un caprone.

Le varietà di culti e costumanze sono innumerevoli: le vie ascetiche del buddhismo sono pienamente accettate; l'alchimia sparge di una polvere il rame fuso, convertendolo in oro; l'ascesi rigorosa può aiutare a rendere un cadavere immarcescibile; frequenti sono gli amori con amanti invisibili: le dee appaiono agli uomini come donne incantevoli: guai a far loro domande, e gli dèi scendono come uomini avvenenti ad amoreggiare, spesso nel sonno, con le donne prescelte. Tutte queste immagini si accavallano via via che si è accarezzati dal ritmico, soave fluire di storie, in cui ogni evento si logora per essere subito incalzato e sospinto dal successivo, con uno svariare di personaggi che trascorrono come i passanti in un vicolo di bazar. Sono brahrnani, guerrieri, mercanti, pezzenti, eroi, impostori, uomini, donne, vecchi, giovani. Si trapassa di continuo da un piano all'altro.

Non soltanto dal vicolaccio alla reggia, dalla foresta al campo, dal sogno alla realtà, ma anche da un piano all'altro della coscienza. Accanto agli uomini scorrono le ninfe acquatiche (apsaras) nei fiumi, nelle nubi: sono le vezzose e travianti compagne dei « profumati » (gandharva), musici, medici, purificatori, regolatori delle costellazioni; aiuta a raffigurarli un destriero bianco come la luna, il suo nitrito melodioso richiama l'oceano di latte che solleva frastagli d'onde. Esistono anche i maghi soprannaturali (vidyadhara), festevoli, lieti, cangianti; un sovrano (cakravartin) è il loro signore, ed è in loro potere trasmettere magie agli uomini.

Esistono poi gli yahsa, spesso benevoli, talvolta causa di malattie e possessioni; le loro donne sono legate alla fioritura. Infine, insediati nei cimiteri, ci sono bhùta, dàkmi, pisaca, preta, orribili mescolanze di paura e voluttà. Possono viceversa aiutare, sollevare l'uomo i siddha, i « potenti » o «perfetti », maestri dai poteri magici, e i nàga, uomini-serpente che largiscono ai dominatori la legittimazione della loro autorità. Più in alto si stendono i mondi dei titani (asura) e degli dèi.

Costoro sono mantenuti in vita dai riti e dalle preghiere dei brahrnani, ma il giorno che i titani sconfitti, reincarnandosi come barbari, eliminassero la classe brahmanica, anche gli dèi dell'India sparirebbero. In un testo capitale del buddhismo Mahàyàna, il Saddharmapundarika Sutra o Sutra del Loto, l'intero conclave di naga,yaksa, gandharva, garuda, kimnara, asura e mahoraga è riunito ad ascoltare l'ultimo sermone del Buddha. Tutta la popolazione di spiriti va interpretata come un quadro trasposto delle possessioni, dei desideri, delle conquiste, delle paure umane.

16/09/14

I Tantra sivaiti chiamano la bhakti visnuita «il sentiero per anime serve »| LE TRE VIE

.....danzano in tondo attorno a Siva ed egli ne proietta la furia sui demoni nefasti.[Qui]

I Tantra sivaiti chiamano la bhakti visnuita «il sentiero per anime serve », mentre la via sivaita si addice ad anime eroiche e divine. Sul sentiero sivaita gioia e rinuncia si fondono. Il Camdamalharosanatantra spiegherà che soltanto la passione estingue la passione e che non esiste né inferno né paradiso, né vizio né virtù, che servono soltanto a proteggere le menti plebee, mentre nella vita tutto è momentaneo e non può dunque finire in luoghi di pena o compenso.La bhakti sivaita esalta l'alterità di Siva liberatore e distruttore, unità di tapas centri peto e di kama centrifugo. Per la bhakti sivaita la distruzione è tutt'uno con la trama della realtà. Essa è esposta, a riscontro della Bhagavadgità, nella lsvaragità (tradotta da Mario Piantelli) come «conoscenza comprensiva », che si può denominare calma profonda, eternità, coscienza pura, testimonianza, Siva.

Nel X e XI secolo composizioni sivaite scritte in kannada, chiamate Upanisad del Karnàtak, celebrano il fondamento senza attributi dell' essere. La trafila dei poeti sivaiti culmina nel IX secolo con Mànikka Vàcakar, che si raffigura come sperduto, arreso, incapace ormai di distinguere giorno e notte: Siva l'ha serrato nel suo incanto e l'estasi lo schianta, il Signore entra nel suo corpo addolcendolo, sfibrandolo, bruciando ogni vincolo. Nello sivaisrno tamil l'Anubhava Sùtra di Mayideva insegna che potere (Sakti) e bhakti coincidono anche se quello si manifesta come creazione del mondo, questa come ritorno a Dio. L'acqua assume ogni sapore nella varietà dei frutti, così la bhakti prende forme svariate e si potrà distinguere in: Siva stesso; la beatitudine; la conoscenza diretta della liberazione; l'adorazione; la devozione.

Differenze superflue, essendo il bhakta sommerso dal tutto.Definizione di bhakti: il momento in cui si scambia il falso per vero, ma la devozione distacca la mente e svela l'unità con Dio. Lo sivaismo tamil prescrive una bhakti fatta di osservanza (carya) e di culto come devozione familiare, servizio, sodalizio, amore che portano infine ad assumere la forma di Siva (sarupa). I casi di devozione popolare tarnil possono turbare: ci si estraggono gli occhi per fermare il dissanguarsi dell'occhio divino; si offre la carne di un figlioletto o il primo pesce di una retata: non conta l'atto, ma lo spirito di resa, non il gesto o il suo oggetto, non il verbo, ma l'avverbio. Siva, «Quell'Uno », è esente da forma, ma assume l'aspetto della grazia e del godimento come marito dell'anima in amore che, una volta liberata, giace col capo sui piedi del suo Signore. Il seguace della bhakti sivaita prega di essere raccolto da Siva come un gattino nella bocca della madre.

Nel popolo il culto di Siva si risolve in transe, possessione e anestesia. L'accoppiarsi eterno di Siva e della sua Dea si tramuta in potenza (fakti) del devoto, che contemplandoli di colpo si trasforma in Bhairava, lo Spaventoso, il distruttore dell'io, il quale elimina tempo e spazio, ogni linguaggio e ogni costrutto concettuale. La devozione bhaktica garantisce che questo invasamento resti innocuo; mentre la grande anima (mahatman) divina domina, si è garantiti: si potrà camminare .su braci ardenti, cadere su punte aguzze. Il poeta sivaita bengalese Ràmprasàda Sen (t 1775) scrisse inni a Kàli Cuor di Pietra dalla quale sprigionano tutti gli inganni che tramano l'esistenza, mentre nello stesso tempo è la Madre colma d'amore; negli stessi anni Goethe si dedicava con identici princìpi a precisare l'idea di Natura.

15/09/14

Nei Veda la si scorge nei versi dedicati al kàma, la spinta del desiderio | LE TRE VIE

....E proprio le risorse della bhakti potrebbero congiungere, oggi come ai tempi di Akbar, indù, giaina, buddhisti e islamici avvinti al sufismo.[Qui]

"BHAKTI" SI MUTA IN TANTRA

Esiste anche una bhakti sivaita. Nei Veda la si scorge nei versi dedicati al kàma, la spinta del desiderio, dalla cui stessa radice indoeuropea qà- derivano il latino carus e l'inglese tohore, "puttana". L'Inno della Creazione (Rgveda, X, 129,4) pone all'origine o, meglio si direbbe, all'essenza dell'essere (agre), un'unità senza attributi o una qualità oggettiva (ekam o tat): quell'Uno che, dice l'inno, era fondato su se stesso e respirava senza fiato, in quanto puramente potenziale. Fu generato dalla potenza (sakti)del tapas, che Coomaraswamy traduceva «intensificazione ». L'unità fu il risultato di un'implosione, di uno scatto centripeto, analogo sul piano cosmico all'atto di intensificazione dell'asceta, che può suscitare un calore violento. Secondo Winternitz questo intensificarsi sarebbe doloroso; meglio diceva Bhattacarya, che si dovesse intendere come semplice ideazione.

Eliade mise tapas in rapporto col tedesco Wut, il latino furor, l'antico irlandese jerg, il greco uévoç che Dumézil considerava equivalente al vedico manyù, il rapimento supremo, sia psichico che intellettivo, di poeti, maghi, guerrieri, amanti, artefici trascinati dall'ispirazione. Tapas è il mezzo per conseguire il manyu e coincide con la padronanza sciamanica del fuoco. Dice il Rgveda che il kàma « coprì l'unità come un flutto» (sama vartatàdhi: X, 1,29,4). L'universo molteplice si manifesta come esplosione centrifuga, opposta all'implosione che aveva generato l'uno con uno scatto centripeto. Ciò che è primo nella cosmologia diventa secondo nell'esperienza umana: l'uomo dapprima avverte i desideri centrifughi e quindi li coarta mediante il tapas centripeto. Il kàma cosmogonico produce il mondo che conosciamo, scisso, bisessuale, in cui forze attive e seminali (retodha) s'infrangono su forze passive e alimentanti (mahimana). La coscienza o mente sarebbe dunque un riflesso del kàma? Maryla Falk ritiene vero il contrario.

Kàma fu personificato come il dio Kàrna (Atharoaveda, IX, 1-25; Rgueda, X, l, 29, 4), autogenito (atmabhu), espresso dal proprio grembo (atmayoni), nato dalla coscienza (manobhià; è lui che suscita rimembranza (smara) ed ebbrezza (rnadana). Monta un pappagallo il cui becco fende i frutti, rendendoli più saporosi. La sua arma è una canna da zucchero attorno a cui si avvolge una corda di api in fila fittissima che scocca cinque fiori, ovvero i cinque sensi. Egli è tutt'uno con il Fuoco. Sorge, secondo il VisnuPuràna, dal cuore del creatore Brahrnà, mentre il Mahàbharata (1,2596) lo chiama figlio di Dharma o Natura e della Fede, Sraddha. Sposa Priti, Gioia, ma anche Rati, la ninfa che è il formicolio del desiderio, il rampollare di mille inganni; con questa procrea Sete, Trsnà. I Purana dicono che Kàma fu chiamato a salvare il mondo quando Siva s'immerse nel tapas. Colpito dalla freccia di Kàrna, Siva tornò ad accoppiarsi con Pàrvatì, ma il suo terzo occhio incenerì Kàma.

Rati calmerà Siva e Kàma risorgerà come brezza senza corpo o come Pradyumna, incarnazione di Visnu, personificazione della mente. Fuori di questa mitologia, la filosofia sivaita dirà che l'impulso del desiderio (karnakara) prodotto dalla natura suscita una vibrazione che genera il suono (nada), raffigurato nel punto dove Siva e la sua parte femminile si unificano nella totalità della potenza, dalla quale scatta il triangolo che origina lo spazio (mùlatrikona) . Siva, il Signore, Isvara, corrisponde allo zero, matrice di positivo e negativo, coincidenza di contrari. E anche una dinamica unità di opposti, un processo di incessante trascendimento di se stesso. Siva è « Quell'Uno» dell'inno cosmogonico vedico personificato e perciò comprende Kàma, come il Dioniso dei Minoici include il Desiderio.

Le Sakta Upanisad della fine dell'VIII secolo affermano che, essendone consapevoli, si diventa Siva. Siva è androgino e la parte femminile che lo potenzia è nota come Durgà l'infuocata, propizia agli yogin; Pàrvati, figlia dello Himalaya, essenza della natura; Urna, generatrice della vegetazione alla stagione delle piogge; Kurnàri, la Fanciulla; Kàli, da cui ogni vita promana e in cui è quindi riassorbita, che appare nuda perché di qua dalla maya, emaciata perché connessa a tutto ciò che sia funebre, nera perché ogni colore in lei si annulla, e balla eternamente sul cadavere dello Siva anteriore alla manifestazione; infine Candi la Furibonda.

Sono via via l'Inaccessibile, la Montana, la Propizia, la Vergine, l'Oscura, la Selvaggia. Ma esiste anche Bhavàni, «Colei che largisce la vita». Il Markarpjeya Purana, il cui nucleo sembra essere del III secolo, si ostina a ribadire l'ambiguità della Dea che è conoscenza e inganno, memoria sconfinata e confusione assoluta. Ci fu anche un culto delle sette Madri, le sei spose degli dèi maggiori più Càrnundà l'Orribile; danzano in tondo attorno a Siva ed egli ne proietta la furia sui demoni nefasti.

14/09/14

La quiete sfocia talvolta in una visione che ricolma e spiana la mente | LE TRE VIE

...... si è indifferenti all'opinione altrui, si ha la bava alla bocca, si ride fragorosamente, scossi da vertigini e singhiozzi.[Qui]

In questo giubilo spiccano i sentimenti e i loro sapori fondamentali, che l'estetica elenca.
I sentimenti sono: ----------------------------I sapori (rasa) sono:
amore -----------------------------------------erotico
allegria ----------------------------------------comico
dolore---------------------------------compassionevole
Ira---------------------------------------------furibondo
energia-----------------------------------------virile
terrore----------------------------------------- tremendo
disgusto---------------------------------------- sgradevole
ammirazione------------------------------------ meraviglioso
serenità----------------------------------------- quieto


La quiete sfocia talvolta in una visione, e comunque ricolma e spiana la mente, mentre ogni altro sentire è diversificato da un particolare movimento: affetto, confidenza, familiarità ed erotismo approfondiscono, virilità e meraviglia espandono, pathos e furia distruggono, terribilità e disgusto respingono. Il trattato Ujjvalanilamani tratta della partecipazione ai piaceri di Krsna e delle bovare, il cui seme è l'amore e che si sviluppa nell'affetto (sneha), nello sciogliersi del cuore, nell'insieme degli atti di ripulsa nati dalla piena delle emozioni il cui esito è la confidenza che comprende amicizia e affabilità, nella trasmutazione erotica del dolore in gioia, nella costanza amorosa. Tutti i sentimenti sono incoronati dallo stato supremo, che altera il senso .del tempo, genera l'oblio di se stessi, fa vorticare m una divina follia.

Nella letteratura maràthi tarda, almeno Tukaram (t 1649) va menzionato, cui Caitanya apparve in sogno chiamandolo alla bhakti: pur seguace dell'Advaita Vedanta, egli. si spinse ad accettare perfino la reincarnazione, purché fosse pervasa di bhakti, fino a bestemmiare il Signore, tanta fu la veemenza del suo amore. La reviviscenza bhaktica bengalese moderna fu incentrata su Ramakrishna (t 1886), devoto di Kàli, che gli concesse la sua presenza costante. Ma egli seguì tutti i sentieri a lui noti, incluso l'Assoluto impersonale, per cui dovette spezzare l'immagine della Madre così svisceratamente adorata. Ramakrishna raggiunse l'ubiquità in tutte le fedi, alla maniera di Kabir, ma fu ahimè presentato finora in forma «virtuosa» con reticenze accorte, errorini decisivi di traduzione, cruciali omissioni.

Il suo discepolo Vivekànanda, che praticava il karmayoga, l'applicazione rigorosa di ogni dovere, seppe anche scrivere un impeccabile trattato di bhaktiyoga. Si potrebbe asserire che il movimento politico promosso da Aurobindo e proseguito da Ghandi emanasse da un'ispirazione bhaktica: Ghandi spirò invocando Ràrna; la rinascita dell'anima indù si appellò a un rinnovellamento in seno alla Madre. Una fusione stupenda di Advaita Vedànta come via della conoscenza e di purissima bhakti fu offerta infine dalla vita di Ramana Maharshi, il cui influsso perdura. E proprio le risorse della bhakti potrebbero congiungere, oggi come ai tempi di Akbar, indù, giaina, buddhisti e islamici avvinti al sufismo.

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