23/09/14

Il triangolo si chiama Desiderio-Tempo | LE TRE VIE

........... il suo volo sospeso e quieto simboleggia la vita nella sua essenza.[qui]

Siva e Sakti formano il triangolo dell'essere, al cui vertice sta il sole con il fuoco a sinistra e la luna a destra. Sul lato sole-luna si pongono le sedici vocali e semivocali. Al lato fuoco-luna spettano la vibrazione centripeta e le sedici consonanti da ka a ta. Sul lato luna-sole si situano la vibrazione centrifuga e le sedici consonanti da tha a sa.

Il triangolo si chiama Desiderio-Tempo, dalla sua osservazione si parte per spiegare la bocca come microcosmo e le lettere come vibrazioni archetipali dell'essere: a è la bocca spalancata, meravigliata (adbhuta); i è l'energia della manifestazione, la volontà (iccha); u è lo scatto della manifestazione tunmesas, A, i, u sono i tre fili che tessono la realtà; il bianco a crea lo spazio fra sole e stella polare, la religione; il rosso i orbita fra espansione e contrazione, creando dolore, autorità, magia, sangue mestruale, atmosfera ventosa; il nero u è centri peto, denota distruzione e produzione, voluttà e terra. Allungandosi, le tre vocali formano: il la beatitudine (ananda); l l'impero, il potere (lsana); il la deficienza (ilnata). A si trasforma in r, il fuoco; l in {, la terra; u in v, l'acqua; il in y, l'aria. Le consonanti o serpenti o scorpioni sono le madri che raccolgono il seme delle vocali per portare alla luce le realtà, con i suoni celesti gutturali, k, kh, g, gh, li, guerrieri palatali o dentali, c, eh, j, jh, ii, t, th, 4, dh, 'YJ, t, th, d, dh, n; infine dalle labbra escono i suoni terrestri: p, ph, b, bh, m. È quasi fuor del limite labiale che si formano S, s, s, h, le ultime lettere, simboli sibilanti o aspiranti di magia nera.

Così a ogni lettera corrisponde un settore del cosmo, una direzione dello spazio, un genere di piante, un tipo di minerale, un'occupazione umana, un settore delle città, un organo del corpo, un colore. Ogni mattina, quando ci si sveglia, su ogni parte del corpo si impone una lettera, con un gesto chiamato nyasa, e le lettere diventano « un ornamento di gioielli », fanno del corpo l'universo in piccolo. Questo gioco alfabetico-cosmologico nitidamente formulato da Abhinavagupta fu presente anche nella Qabbàlàh. Sanscrito ed ebraico si trasformano così in registri fedeli del cosmo, assurgono a un massimo di sacralità, i loro testi più riveriti si prestano a mille letture, proliferando, scherzando, diventando piste inesplorate, lampeggiamenti d'una miriade di lumi, simili alle volte dell'Alhambra.

Stupirà che ogni singola lettera si carichi di simboli? In realtà questo metodo è diffuso in molte civiltà; oltre che fra gli Ebrei, dimostrava Robert Eisler, fu usato dai Greci, dominò inoltre fra i Germanici come sistema delle rune e fiorì nel sufismo Hurifi. A noi sembra una via inaccostabile, siamo fondati sulla linguistica moderna e ogni idioma ci appare come un temporaneo disporsi dei suoni secondo lo sviluppo da un'originaria lingua ipotetica unica, destinata a diramarsi, un 17000 anni fa, tra tante altre famiglie, nel « nostratico », come lo chiamarono i sommi linguisti russi degli anni Sessanta, Illich-Svitych e Dolgopolskij. Questa parlata doveva suddividersi in seguito, diventando protosemitico, cartvelio (da cui emanerà il georgiano), uralico, dravidico, eschimese, tunguso, giapponese e indoeuropeo.

Alcune parole mostrano una persistenza strabiliante, come il nostratico kujna, che persiste da noi come «cane ». In questo gioco di incessanti mutazioni e di rare persistenze, come isolare una lingua più sacra, come trarre da fonemi il sistema del mondo e dell'oltremondo? Eppure sarebbe forse un errore trincerarsi nella nostra scienza fino a negarci l'accesso al gioco dei sistemi sacrali. Si sa per certo che i significanti non danno mai accesso al significato.

Basterebbe riflettere sulla povertà, che a volte diventa assenza, di vocaboli a denotare la varietà di odori, sapori, suoni, cenestesi, sensibilità magnetiche o elettriche o d'altro genere, l'impressione cioè delle molteplici onde che attraversano l'universo; sul sesto senso, col quale l'uomo non saprà mai percepire alla maniera del becca fico o del pipistrello, ma pure qualcosa avvertirà; sul fatto che molti nell'orbe dischiuso dalle nari, dalla lingua, dalle orecchie, dall'interno del corpo, si espandono, raccogliendo esperienze delicate, sottili, poetiche, imparando che i significanti non potranno mai colmare questi spazi muti, questi significati inappuntabili a parole.

Ma in civiltà assestate e approfondite come l'indiana, l'ebraica, l'araba ci si può tuttavia perfino fingere che i suoni inglobino l'universo e designino gli archetipi immaginabili.

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