"
L'ultima volta che vidi mio figlio"!
Parla la
mamma di Marco Pantani il nostro mai dimenticato "
Pirata"!
31 gennaio 2004,
mamma Tonina era
distrutta dal dolore e dalla
sofferenza nel
vedere suo figlio colpito dall'
ignominia che gli era piovuta addosso:
rassegnato ed
incapace di
riprendere in mano la sua vita di
montare in sella e dare vita alle sue
proverbiali scalate, l'unica quella più
importante, dove avrebbe trovato ad attenderlo la
salvezza.
«Non c'è stato giorno in questi 10 anni che io non abbia
rivissuto quelle
ultime ore, non abbia
provato a
cambiare il finale: se
Marco fosse venuto con noi, se non fosse andato in quell'
hotel a Riccione». Ma
Marco in quell'
hotel ci andò, senza che mai nessuno potesse dare un perché. Ci andò da
solo, tentò di far
perdere le sue tracce, anche (o forse soprattutto) alla sua
famiglia.
Tonina e
Paolo, il papà di
Marco, erano appena arrivati in
Grecia la sera del 14 febbraio: erano andati a
fare una piccola vacanza, su
suggerimento della
manager del
Pirata per smorzare un po' la
tensione che negli ultimi mesi era diventata insostenibile.
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Marco Pantani il "Pirata" |
«
L'ultima volta che ho visto mio figlio, ancora
vivo, eravamo a
Milano a casa della sua
manager e lui era
arrabbiato. Noi, suo padre ed io, lo
scongiuravamo di venire via con noi, di
tornare a Cesenatico, ma lui non ne voleva sapere. Poi io, mentre ce ne andavamo via lasciandolo lì, sono
svenuta per le scale. Quando ho
riaperto gli occhi ero in
ospedale, ma
Marco non c'era, non so se non fosse voluto venire o non sapesse cosa mi era successo. Comunque non c'era e io da quella sera
non l'ho visto mai più». «Ero partita con l'
agenda dei numeri di telefono e per tutto il tempo avevo chiamato chiunque potesse
conoscere Marco per avere sue notizie.
Ma nessuno lo aveva visto, nessuno sapeva dov'era. Neanche sua
sorella. Io chiamavo tutti e intanto in quella
camera d'albergo mio figlio moriva». Non c'è
pace in questo
ricordo punteggiato di
sospiri, eppure senza
lacrime. «Eravamo appena andati a letto in camper, quando la
manager di mio
figlio chiamò sul
telefono di mio marito e disse, testuali parole:
Marco è morto».
Ma
Marco, la sua
mamma ha provato a
salvarlo in ore passate a
tenerselo stretto al cuore mentre lui
piangeva e lei lo
consolava.
Marco Pantani detto il "
Pirata" aveva 34 anni, eppure era tornato un
bambino spaventato dal buio della
vita in cui si sentiva
scivolare. «Le notti che ho passato in ginocchio vicino al suo letto non le auguro al peggiore dei miei nemici:
vedere un
figlio distrutto dal
dolore, dalla
rabbia. No, nessuno deve vivere quello che abbiamo vissuto noi».
«
Marco vai in
clinica a
disintossicarti», la
preghiera laica della
mamma. Inascoltata come molte delle
preghiere pagane e
cristiane.
«C'è stato per 5 giorni in
clinica e poi me lo sono
ritrovato davanti alla porta di casa: diceva che era
assediato dai
giornalisti anche là e non
resisteva».
La
cocaina, che aveva iniziato ad usare dopo lo
scandalo di Madonna di Campiglio, non era un segreto per
Tonina.
«Avevo trovato una
lettera che stava
scrivendo ad Ambrogio Fogar in cui gli diceva che
finché aveva corso non si era mai
drogato. Correva il 1999. Andai da suo padre e fu lui ad affrontare
Marco. Io della
droga con lui non riuscivo a parlare: mi bastava
guardarlo negli occhi per capire come stava». Male, stava male, sempre peggio: nonostante l'
ultimo Giro, quello del 2003 in cui
si levò ancora la bandana su per le
salite che aveva spianato tante volte a
colpi di pedale coi
denti digrignati in uno
sforzo inumano. Ma non era più lui,
non era più Marco che cercava il
dolore della salita per renderlo lieve agli occhi del mondo. Era un
Pirata sofferente.
Eppure a
colpi di nervi arrivò quattordicesimo. La sua
agonia era una discesa continua verso un burrone che non poteva scartare: in quell'estate finì il suo
rapporto con Christine, la
fidanzata che lo aveva accompagnato per 7 anni. Allontanata lei, allontanata la famiglia, allontanato il
passato di vittorie e sorrisi che rappresentavano,
Marco rimase solo. E
morì solo nella sera in cui la solitudine è una colpa:
la sera di San Valentino.
«L'ho rivisto
steso nella bara,
mio figlio, aveva la faccia scorticata, un taglio sulla fronte: ma le mani, quelle con cui avrebbe dovuto spaccare mezza camera d'albergo non avevano un livido. Era bello,
Marco, era
tornato sereno. Non poteva sapere che anche da morto lo avrebbero infangato. Ma se è vero che da vivo non sono riuscita a
proteggerlo ho
giurato sulla sua bara che nessuno, mai più, ne avrebbe rovinato la memoria. E per questo non avrò pace fino a quando non mi diranno la
verità su come è morto mio figlio: lì a Riccione e prima ancora a Madonna di Campiglio».