Provo a fare un'esempio: la capacità di riuscire a distinguere oggetti animati da quelli inanimati, ha recitato un ruolo fondamentale nella nostra evoluzione, al punto tale che per farsene carico il cervello ha sviluppato dei network neurali specializzati a favorire la selezione. Una recente ricerca italiana, coordinata da Raffaella Rumiati della Sissa e Andrea Carnaghi dell’Università di Trieste, conferma tale opinione, come al giorno d'oggi, esista anche di un'altra categoria funzionalmente distinta a livello neurale, in precedenza sconosciuta: quella dei gruppi sociali.
La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Cognitive Neuroscience.
![]() |
Network neurale |
Nel nuovo studio, Rumiati e colleghi hanno applicato questa metodologia al riconoscimento di gruppi sociali. “La categoria sociale ha un’enorme importanza dal punto di vista evolutivo per l’essere umano – continua Ruminati – per questo motivo abbiamo ipotizzato che nel cervello esistano dei circuiti ad hoc, che garantiscano efficienza e velocità nel riconoscimento”. Per testare la loro ipotesi, gli scienziati hanno selezionato un certo numero di pazienti con problemi di demenza, e li hanno poi sottoposti a test per valutare la selettività dei loro deficit. “Cercavamo pazienti con difficoltà solo con gli oggetti inanimati, altri solo con gli oggetti animati, e altri ancora solo con i gruppi sociali, per provare la doppia dissociazione di queste funzioni”.
Come prima cosa lo studio ha verificato quanto già riportato in letteratura, e cioè la doppia dissociazione fra la categoria animati e quella inanimati. Il risultato principale però è stato osservare la doppia dissociazione dei gruppi sociali sia dagli oggetti animati che da quelli inanimati. “Questo significa che i gruppi sociali sono una categoria speciale nel nostro cervello”, conclude Rumiati. “Abbiamo dei meccanismi cognitivi dedicati a questo tipo di stimoli, perché riconoscere per esempio il “mafioso”, il “criminale” o il “poliziotto” può salvarci la vita”.“Questo studio – aggiunge Carnaghi – ha un’implicazione importante: dimostra infatti che ha senso usare i metodi quantitativi delle neuroscienze anche nell’ambito delle scienze sociali, in particolare negli studi su come si formano stereotipi e pregiudizi. Grazie a questo studio sappiamo che lo stereotipo legato alle persone è processato dal cervello in maniera diversa dallo stereotipo che può riguardare un oggetto inanimato, o un animale”.