Il-Trafiletto
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20/09/14

fegato | Ma quante epatiti.....

L’epatite è una malattia infiammatoria che colpisce il fegato. Viene provocata da un agente virale che attacca e distrugge le cellule epatiche. Diverse sono le forme di epatite virale, alcune delle quali vengono trasmesse per via oro-fecale, mentre altre si contraggono mediante contatto con sangue infetto (trasfusioni, scambio di siringhe, tatuaggi, scarsa igiene ospedaliera o negli studi dentistici), con la saliva o mediante rapporti sessuali non protetti con individui portatori del virus. Alcune di queste forme di epatite possono evolvere verso malattie molto gravi che portano alla morte (cirrosi epatica, tumori al fegato). Si conoscono diversi tipi di epatite. EPATITE A. Conosciuta anche col nome di epatite alimentare, in quanto il contagio avviene prevalentemente attraverso l’ingestione di cibi e bevande contaminate, ma anche attraverso il contatto diretto con individui che ne sono affetti. E’ molto diffusa praticamente in tutto il mondo, in Italia maggiormente nel meridione e chi ne è colpito sono prevalentemente i bambini sotto gli 11 anni. L’epatite A non ha la stessa pericolosità degli altri tipi ( B, C ), ma attenzione a trascurarla, dal momento che in qualche caso potrebbe evolversi in epatite fulminante. Tra i sintomi possiamo annoverare la stanchezza, la diarrea e febbre, ma il più delle volte è silente. Il virus dell’epatite A viene eliminato per via fecale, quindi fare attenzione all’igiene intima, inoltre molta prudenza nel mangiare frutti di mare crudi e attenzione ai rapporti sessuali di vario tipo. Non è disponibile un trattamento farmacologico per l’epatite A, un accorgimento è senz’altro quello di limitare alcuni cibi e tipi di cotture. EPATITE B. E’ molto contagiosa, e può essere contratta tramite contatto con sangue infetto o attraverso i fluidi corporei come la saliva, il secreto vaginale e lo sperma, è un virus molto aggressivo e resistente. E’ una patologia che può portare gravi conseguenze, quali la cirrosi, il tumore del fegato o l’insufficienza epatica. Come sintomi l’epatite B può provocare stanchezza, ittero, nausea, vomito, urine scure. Da molti anni è disponibile un vaccino in grado di prevenire l’epatite B in modo molto efficace. In Italia dal 1991 esiste la vaccinazione obbligatoria per i nuovi nati. EPATITE C. Scoperta nel 1989, ne sono state identificate 6 varianti, a seconda delle quali si imposta la terapia più appropriata. Circa il 27% delle cirrosi e il 25% dei tumori al fegato sono dovuti all’epatite C. La sua pericolosità è estremamente alta in quanto gli strascichi a lungo andare sono molto gravi e inoltre, non è ancora disponibile un vaccino in grado di prevenire il contagio. Spesso è asintomatica, i pazienti che ne sono colpiti possono accusare calo di peso, perdita dell’appetito e dolenzia addominale. Il virus può trasmettersi attraverso lo scambio di siringhe infette, mentre il contagio in seguito a rapporti sessuali non è particolarmente frequente, a differenza di quanto accade con il virus dell’epatite B. Il trattamento dell’epatite C è in genere di tipo farmacologico, precisamente un’associazione di interferone pegilato e ribavirina; con questo genere di trattamento non c’è una remissione della malattia ma un miglioramento delle condizioni dei pazienti in circa la metà dei casi. EPATITE D. E’ un virus che ha bisogno della presenza nell’individuo del virus dell’epatite B per riprodursi, di conseguenza se ne duce che l’assenza dell’epatite B comporta matematicamente l’assenza della D. I sintomi dell’epatite D è molto simile a quella dell’epatite B, ma le complicazioni sono generalmente più gravi. In particolare aumenta il rischio di sviluppo di cirrosi epatica. Per questo tipo di virus non esistono né vaccini, né tantomeno farmaci. EPATITE E. In Italia è abbastanza rara, mentre è diffusa in Medio Oriente, in Messico e in India. Ha una sintomatologia praticamente analoga a quella dell’epatite A, e spesso non è necessario iniziare un trattamento farmacologico, anche perché non è disponibile una terapia particolarmente efficace, di conseguenza l’intervento più importante è l’adozione di misure preventive. (immagine presa dal web)

21/05/14

Lichene d'Islanda, buon amaro

CETRARIA ISLANDICA In caso di nausea e tosse 

Il lichene d'Islanda, ben conosciuto dalle popolazioni del Nord Europa - lapponi e islandesi lo usavano durante le carestie e ne conoscevano le proprietà terapeutiche - ma sconosciuto ai latini o perlomeno non citato negli antichi testi di erboristeria, venne segnalato per la prima volta nel 1627 da Valerio Cordo. Già a partire dal 1700, Linneo e altri ne consigliavano l'impiego nella terapia della tisi.

Il lichene è una pianta provvista di tallo cespuglioso, ramificato, con lobi nastriformi di colore marrone, o grigio-verde nella parte superiore e verde-argentato in quella inferiore. I margini portano delle ciglia setose. La pianta può raggiungere i 10 cm d'altezza. Si ritrova nei boschi di conifere, sui tronchi degli alberi, attaccato alle rocce, talvolta nei prati. Nelle zone montane e submontane del Nord Europa. In Italia vive solo sulle Alpi, soprattutto attaccato alle rupi o ai vegetali.

Si utilizza la parte aerea della pianta, il tallo, raccolto all'inizio della primavera o alla fine dell'estate-autunno e fatto essiccare. Le sue mucillagini sono costituite dalla lichenina e dalla isolichenina che in acqua per idrolisi danno uno zucchero: il galattosio. La cetrarina, il principio attivo amaro è un miscuglio di acido cetrarico e lichenstearico e un colorante verde. Il gusto amaro può essere eliminato attraverso l'ebollizione o più semplicemente lasciando il tallo in infusione per 24 ore circa in acqua fredda.

CETRARIA ISLANDICA
immagine presa dal web

Eliminato questo principio la pianta può essere usata come alimento. Le proprietà terapeutiche sono da assegnare essenzialmente alle sostanze mucillaginose le quali esercitano effetto antitussivo, astringente intestinale e protettivo. l'azione digestiva tonica e antibatterica è esplicata dalla sostanza amara. Queste proprietà lo rendono utile per combattere tosse, catarri bronchiali, infiammazioni intestinali, diarrea. l'infuso, per la presenza di cetrarina, avrebbe azione antiemetica, anche se a questo scopo viene segnalata come più efficace la tintura in quanto le sostanze amare risultano solubili in alcol. Viene consigliato nel trattamento dei vomiti incoercibili, nelle cinetosi, nella nausea in gravidanza.

Per uso esterno, la medicina popolare impiega la pianta nella detersione e cura di ferite a cicatrizzazione torpida. In campo dermatologico viene utilizzato a scopo antisettico in forma di crema, lozione, polvere sia in caso di infezioni della pelle di origine infettiva sia su ustioni importanti.

Il medicamento è sicuro. Per la presenza di principi amari non utilizzate il lichene in caso di ulcera gastroduodenali e gastrite. Il decotto: fate bollire 10-20 gr. In un litro di'acqua per 2 minuti, cambiate l'acqua per eliminare il sapèore amaro e mettetela a bollire di nuovo in 1,5 litri di acqua, finchè il liquido si riduce a 1 litro: prendetene 3-4 tazze al giorno, calde e dolcificate con miele. Per uso esterno: il decotto può essere usato aggiunto all'acqua del bagno pr tonificare le pelli secche e avvizzite. Per lo sciroppo in caso di pertosse: dopo la macerazione, sgocciolate, lavate ripetumente pianta con acqua bollente, bollite a fuoco basso per 30 minuti, passate, pesate, aggiungete miele in quantità pari al peso, cuocete a bagnomaria mescolando e schiumando fino a ispessimento, mettete in un vaso e coprite; 1 cucchiaino da caffè al momento dell'accesso di tosse.

16/05/14

Il limone peggiora la stipsi?

Anche in caso di stitichezza, il consumo di limoni o altri agrumi non crea problemi, a patto che vengano seguite precise regole dietetiche Il limone è certamente un buon rimedio per la diarrea. La sua assunzione infatti è in grado di ridurre rapidamente questo disturbo. 

Però questo non significa che chi è già stitico debba temere un aggravamento del problema. In molti casi l'assunzione del limone (sotto forma di succo, diluito con acqua o aggiunto al succo di altri agrumi e sorbito a digiuno) può essere tranquillamente mantenuta e l'eventuale stipsi deve essere affrontata con adeguate modificazioni delle abitudini alimentari (più acqua, frutta fresca, verdure crude, legumi e cereali integrali; meno cereali raffinati; carne e formaggi). Il limone è il più interessante tra i frutti aciduli.

Questi alimenti sono caratterizzati, nella loro composizione, dall'abbondante presenza di acidi organici (citrico, malico, tartarico). Insieme agli altri agrumi (ma le medesime proprietà si trovano anche in albicocche, ciliegie, fragole, lamponi, prugne, susine) il limone è attivo nel neutralizzare le sostanze acide che vengono prodotte dal metabolismo. Cli acidi organici del limone, una volta assimilati, si ritrovano nel sangue. Qui si degradano facilmente per l'azione dell'ossigeno e danno origine ad acido carbonico.

immagine presa dal web
Quest'ultimo, a sua volta, si combina prevalentemente con il sodio e Il potassio circolanti, formando carbonati e bicarbonati. I carbonati e i bicarbonati costituiscono la riserva alcalina del sangue e il loro compito è proprio quello di neutralizzare l'eccesso di sostanze acide circolanti. Se si tiene presente che molti stati morbosi (ma anche un'alimentazione troppo povera di frutta e verdure fresche e ricca di proteine animali) comporta una relativa acidosi sanguigna, si comprende bene quale ruolo preventivo e terapeutico possa avere la frutta acida.

Occorre ancora ricordare che queste straordinarie proprietà sono tipiche della frutta consumata cruda. Infatti, con lo cottura, gli acidi organici in parte si volatiliz-zano e in parte si disperdono. Il limone è prezioso anche per altri motivi. Esercita una buona azione antibatterica e antisettica, favorisce l'eliminazione degli acidi urici ed è quindi indicato nella cura della gotta; contrasta inoltre l'irrigidimento dei vasi arteriosi, è diuretico e antiemorragico. Una condizione di ipertensione, specialmente se associata a uno squilibrio dei grassi sanguigni, è la tipica situazione che può trarre vantaggio dall'assunzione regolare di succo di limone.

14/05/14

Pino, il profumo come vaccino

Il pino è una caratteristica pianta ornamentale e spontanea tipica del nostro paese e comunque di tutto il bacino del Mediterraneo. Il suo olio essenziale si trova in farmacopea, e numerose sono le specialità farmaceutiche che lo contengono. 

La parte della pianta utilizzata è costituita da foglie aghiformi, i caratteristici aghi di pino, che nella medicina popolare venivano usati per fomente, mettendoli nell'acqua bollente o addirittura nell'acqua calda del bagno. L'essenza sprigionata, infatti, pur esigua come quantità, penetra facilmente attraverso la cute e le mucose dove esplica un effetto balsamico, fluidificante le secrezioni, sedativo della tosse e antinfiammatorio.
Tutti i rami degli alberi di pino terminano in una gemma destinata a dare origine al prolungamento del ramo, cioè al cosiddetto germoglio lungo. Le gemme vengono raccolte in aprile, spiccandole dai rami prima che si schiudano, essiccandole in forno tiepido. Le gemme si utilizzano in diversi modi: infuso, decotto per inalazioni, suffumigi e gargarismi.
L'olio essenziale di pino può essere utilizzato per la cura di molte patologie dell'apparato respiratorio, in particolare in tutte quelle forme croniche per le quali vi sia la necessità di fluidificare le secrezioni catarrali. Si prescrive quindi nelle bronchiti, nelle tracheiti e nelle laringiti. In terapia viene utilmente usata anche la resina di pino.
Con questo termine si designa il prodotto di secrezione che scorre lungo i rami delle conifere ogni volta che ne viene incisa la corteccia. Scorrendo all'aria, la resina si indurisce e si solidifica più o meno completamente e assume un colore giallo-brunastro. Si tratta di una sostanza amorfa, insolubile in acqua ma solubile in alcol, etere, olio ed essenze.
In natura si trova in genere associata all'olio essenziale, per cui al prodotto resinoso del pino si dà il nome di oleo-resina
L'olio e le gemme possono essere usati anche nelle infezioni delle vie urinarie. Infatti hanno  dimostrato ripetutamente la loro efficacia nelle malattie di questi organi, e particolarmente negli stati cronici, nelle cistiti, nelle affezioni della prostata, nelle uretriti, nella renella. Ottimi anche contro le affezioni catarrali degli organi digestivi, la diarrea e la colite.

PREPARAZIONE E USO 
Pino Silvestre
immagine presa dal web
Cautela nell' aerosol E'opportuno usare una certa attenzione durante l'impiego per aerosol, perché l'olio essenziale di pino può irritare le mucose delle vie aeree con possibili reazioni allergiche. 
 Alle dosi terapeutiche l'uso per via orale o rettale non dà invece alcun effetto collaterale ed è in genere ben tollerato.
Infuso: si prepara . con 30 g di gemme di pino in l litro d'acqua; se ne prendono 3-4 tozze al giorno. Per un bagno invernale contro lo bronchite: infuso o decotto con 500 g di gemme di pino (250 g per un ragazzo) in 3-4 litrid'acqua; si passa al setaccio e si versa nella vasca al momento dell'uso.
Per purificare e disinfettare le vie urinarie: 2 cucchiai di miele di timo, acqua calda, 3 gocce di olio essenziale di pino e 5 di olio essenziale di limone. Va preparato al mattino, stemperando il miele in poco acqua calda, fino a-creare uno sciroppo piuttosto liquido; si aggiungono gli oli. Agitare con cura e assumerne un cucchiaio dopo ogni pasto. Si conservo in un piccolo contenitore fuori dal frigo.

17/02/14

Diagnosticare la celiachia | Adesso si può fare con un esame del sangue!

Diagnosticare la celiachia. Adesso si può fare con un esame del sangue! Una sorta di rivoluzione per quel che riguarda la diagnosi di questa patologia che da adesso potrà essere effettuata attraverso un nuovo test per nulla invasivo, ed in grado di dare i risultati in 24 ore!

Si tratta di un semplice esame del sangue: l'innovativo test, ideato e sperimentato con successo dai ricercatori australiani del Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research di Parkville (Australia), è capace di effettuare la diagnosi dell'intolleranza al glutine in maniera molto più veloce e meno sopratutto meno invasiva rispetto agli attuali esami ad oggi in uso. I ricercatori sono arrivati a questi risultati, pubblicati sulla rivista Clinical & Experimental Immunology, grazie al lavoro svolto in collaborazione con i ricercatori della società di biotecnologia “ImmusanT” di Boston (Usa).
Celiachia

Alla ricerca hanno fatto parte anche 48 persone che sono state sottoposte a un normale prelievo di sangue: "Questo test – spiega Jason Tye-Din, uno degli autori della ricerca - misura il rilascio di citochine, ovvero la risposta delle cellule T del sistema immunitario al glutine. Una risposta positiva è altamente predittiva della malattia celiaca. Con questo test siamo stati in grado di rilevare la risposta delle cellule T nella maggior parte dei partecipanti allo studio affetti da malattia celiaca e soprattutto, il test è risultato negativo in tutti i pazienti che pensavano di essere affetti dall'intolleranza al glutine, ma in realtà erano sani".

Attualmente per ottenere una diagnosi definitiva di celiachia è necessario sottoporsi a una biopsia intestinale che viene utilizzata per valutare lo stato di salute della mucosa e dei villi intestinali. Un altro test utile è l'esposizione prolungata al glutine per osservare le conseguenze sull'organismo. Tye-Din spiega però che la biopsia è un esame piuttosto fastidioso e che molte persone sensibili al glutine ma che non hanno ancora avuto una diagnosi definitiva trovano angosciante reintrodurre il glutine nell'alimentazione:
"Un test affidabile per la celiachia impone loro di consumare di nuovo il glutine, cosa spesso sgradevole e difficoltosa. Molte persone hanno infatti paura di sperimentare gli spiacevoli sintomi legati a questa malattia (diarrea, vomito, gonfiore addominale, spossatezza, perdita di peso, anemia) e finiscono per fermarsi prematuramente o evitare del tutto questi test".

Il nuovo esame sarebbe, oltre che poco invasivo, anche rapido: sarebbe infatti in grado di dare un responso preciso dopo 24 ore dal prelievo di sangue. "I nostri risultati, inoltre, hanno messo in evidenza che questo innovativo esame del sangue è preciso dopo soli tre giorni di consumo di glutine, e non dopo le diverse settimane o mesi generalmente necessari per ottenere una diagnosi attraverso la biopsia intestinale. Un test che semplifichi la diagnosi - conclude Tye-Din - è probabile che in futuro possa migliorare significativamente l’individuazione della malattia".
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