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02/09/14

Riflessione sul settore sanitario | Lo stato della professione

La situazione: la nostra nazione, al momento sta attraversando una fase particolare senz'altro tra le più importanti della sua storia recente. 

Lo stato di crisi economica comporta, in maniera sempre più costante, gravi ricadute nelle strutture e nei sistemi che fin'ora hanno correlato e appoggiato la quotidianità della nostra comunità nazionale. Durante gli ultimi due anni la necessità di rimettere "i conti" dello Stato italiano per quel che concerne una maggiore equilibrata sostenibilità, ha influito ancor di più nel rendere ancor più oberante e critica la situazione del mercato del lavoro - in generale e in sanità - e lo stato del Welfare (Servizi sanitari, Servizi sociali, Scuola e Istruzione, Servizi di sostegno per le situazioni di fragilità lavorativa e sociale), incidendo sulla coesione e sulle relazioni intercategoriali e sociali.

Il permanere dell'obiettivo del con-tenimento della spesa nella Pubblica amministrazione - e quindi anche nella Sanità - e le palesi conseguenze che il raggiungimento di tale obiettivo comporta, induce a riflettere su alcuni aspetti: - la salute rientra tra i diritti costituzionalmente garantiti e, pertanto, per rendere fruibile tale dirit to, vanno contemperati gli sforzi per raggiungere l'equilibrio di bilancio con l'impegno verso la reale garanzia dell'attuazione dei LEA e l'aiuto e il supporto - anche questo costituzionalmente previsto - a chi è in condizioni di fragilità, non autosufficienza, povertà; - la sanità rappresenta uno dei più importanti comparti del Paese non solo sul versante finanziario, ma anche sul versante occupazionale e produttivo e quindi economico; - la sanità è un rilevante volano per l'accrescimento del know how nella ricerca scientifica, tecnologica, nelle scienze mediche, assistenziali, educative, gestionali e organizzative. La salute, dunque, insieme all'organizzazione e ai professionisti che se ne occupano - sanità - deve essere considerata più che un fattore di spesa, un valore sia per l'economia del Paese, sia per il servizio alla collettività.
Il settore sanitario e
lo stato della professione

La necessità di una visione più ampia si rileva anche nel Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, la quale evidenzia - da una parte -che anche per il 2012 si sono confermati "i progressi già evidenziati negli ultimi esercizi nel contenimento dei costi e nel riassorbimento di ingiustificati disavanzi gestionali" e che i risultati delle azioni di controllo della spesa sanitaria e di assorbimento dei disavanzi nelle Regioni in squilibrio strutturale "sono ancora una volta incoraggianti". Ma dall'altra sottolinea che la sanità si trova "di fronte a scelte ancora impegnative" e avverte che non mancano "segnali preoccupanti sul fronte della qualità dei servizi garantiti ai cittadini", mentre sono ancora previsti "rilevanti tagli delle risorse destinate al settore" e "sempre più limitate appaiono le possibilità di ricorrere ad ulteriori entrate straordinarie". Il risultato del 2012 ha consentito di rivedere le previsioni della spesa sanitaria nel prossimo quinquennio e di prefigurarne una riduzione sul Pil dal 7,1% del 2012 al 6,7% del 2017.

Il buon andamento è riconducibile soprattutto alle Regioni in "Piano di rientro" che presentano una flessione delle perdite di circa il 44%, ma anche un saldo negativo più che raddoppiato per quanto attiene la mobilità sanitaria. In questo quadro situazionale, continua a ridursi il costo del personale (35,6 miliardi di euro) con un decremento dell'1,4% rispetto al 2011. Tale riduzione è conseguente agli interventi di contenimento di tale costo derivanti dai contenuti dell'articolo 2, comma 71, della legge 191/2009 e dell'articolo 8, del decreto legge 78/2010 che ha disposto il blocco dei rinnovi contrattuali per il periodo 2011/2013. In sintesi, sempre secondo la Corte dei Conti, il freno alla crescita della spesa è da ricondurre alle misure di contenimento messe in campo sia a livello nazionale (blocco dei contratti collettivi nazionali di lavoro, interventi in materia di contenimento della spesa farmaceutica), sia a livello regionale con l'attuazione dei Piani di rientro e dei programmi operativi (accreditamento degli operatori privati con l'assegnazione di tetti di spesa e attribuzione di specifici budget, riorganizzazione della rete ospedaliera ecc.).

Per quanto attiene il blocco delle assunzioni e di ogni altra forma di reclutamento, la Corte osserva, tra l'altro, che questo - a fronte del progressivo pensionamento del personale - può incidere sia sull'offerta sanitaria e il mantenimento dei Lea, sia sull'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio preventivati. L'esigenza di assicurare i livelli essenziali di assistenza, infatti, induce i gestori del servizio ad adottare procedure "alternative" per sopperire alla mancanza di personale (lavoro straordinario o in regime di prestazioni aggiuntive oppure altre fattispecie come l'acquisto di prestazioni professionali da privati) che, tutte insieme, "vanificano le conseguenze della misura rigorosa del blocco in termini di mancato risparmio, se non addirittura comportando maggiori costi". Le riflessioni L'analisi del Rapporto della Corte dei Conti, comprensiva della segnalazione delle difficoltà registrate nel monitorare e nel garantire i livelli di assistenza, è stata sostanzialmente condivisa dal Governo, dalle Regioni e dalle forze politiche. Ad oggi però non si rileva che ciò abbia prodotto un cambiamento di linea nelle parte prevalente delle Regioni, che sembrano ormai inchiodate alle loro responsabilità di governo della spesa locale, con il rischio di perdere di vista la prospettiva e l'evoluzione indispensabile del sistema.

D'altra parte l'apertura ad un limitato superamento del blocco del turn over stabilita dall'articolo 4 bis del cosiddetto "Decretane Balduzzi", approvato in via definitiva alla fine dell'ottobre 2012 (Alfine di garantire i Lea, gli enti del Servizio sanitario delle Regioni con Piano di rientro sottoposte al blocco automatico del turn over dal 2012 possono procedere a nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato, nel limite massimo del 15% del personale cessato dal servizio, previo accertamento del raggiungimento anche parziale degli obiettivi previsti dal Piano di rientro) non ha certo permesso di superare la criticità della situazione assistenziale, né di rompere la staticità del mercato del lavoro che ultima¬mente colpisce anche gli infermieri. È aumentato, infatti, il tempo d'attesa dei neo laureati infermieri per inserirsi nelle strutture organizzative del sistema sanitario. Il tasso occupazionale è sceso, ad un anno dalla laurea, dal 94% del 2007 all'83% del 2010, con segni oggettivi di un'ulteriore riduzione. Ciò nonostante, secondo i dati forniti da Almalaurea e da fonti ufficiali quali l'Istat e l'Ocse, le professioni sanitarie risultano al primo posto tra le lauree che hanno pro¬dotto il maggior numero di occupati, con una richiesta sempre crescente di figure come infermieri, ortottisti, audiometristi.

Può essere utile rilevare - sempre attingendo ai dati forniti - che le professioni sanitarie sembrano essere premiate anche sul fronte retributivo, classificandosi seconde, solo dopo Ingegneria, nella speciale classifica sull'entità della busta paga a 5 anni dal conseguimento del titolo accademico, con una media di 1.662 euro al mese. Un valore ben più alto di quello relativo a lavoratori fuoriusciti da corsi di studio storica-mente prestigiosi, come Giurisprudenza (1.285 euro), Architettura (1.256 euro), Lettere (1.073 euro). Le difficoltà occupazionali per la nostra categoria inducono ad una attenta riflessione su altri due grandi campi di interesse professionale: il fabbisogno formativo e il campo di attività. Il fabbisogno formativo Permane il differenziale tra la richiesta totale delle Regioni (24.143 posti), con differenza di -8.024 (-33%) e la richiesta della Federazione (22.189 posti), con differenza di -6.070 (-27%) sull'offerta delle Università. Il rapporto nazionale D/P cala da 2,8 a 2,7 con valori diversi per aree geografiche: al Nord da 2,1 a 2; al Centro dal 2,2 a 2,1 e al Sud dal 5,6 al 5,2. In totale, le domande presentate per l'A.A. 2012/2013 sono state 43mila su circa 10mila posti disponibili, con un differenziale di 26mila giovani. Il differenziale in negativo potrà accentuarsi ulteriormente con la nuova disciplina universitaria in materia di accreditamento e attivazione dei corsi di laurea. Tale disciplina impone un numero minimo di docenti Universitari (denominati "docenti di riferimento") per ogni corso attivato, calcolato tenendo conto sia del numero di studenti programmati, sia del numero di sedi e della loro collocazione geografica.(l'infermiere)


20/11/13

L'Italia invecchia senza alcuna strategia e fondi!

L'Italia va verso un'invecchiamento costante e progressivo senza fondi ed una strategia nazionale. Questo è quanto viene fuori dalle statistiche: l'Italia invecchia e le storie quotidiane i drammi della non autosufficienza poroliferano. E per i più deboli della popolazione cadere nella long term care appare essere sempre più un destino drammatico senza fine. Chiaramente con le dovute ed inevitabili eccezioni geografiche il cui gap ormai pare sempre più incolmabile: al meridione gli over 65 aventi necessità di cure continue e costanti sono senza rete di protezione, nel centro Italia le cose vanno soltanto poco meglio, mentre al nord si hanno più garanzie.

Ma nel computo generale il nostro livello assistenziale appare essere sempre meno che sufficente che in Europa dal welfare più garantito. Addirittura con peggioramento sensibile rispetto a soli dieci anni fa, prima che si abbattesse la scure dei tagli lineari. A essere non autosufficiente, insomma, è l'Italia verso i suoi anziani non autosufficenti. A confermarci questa amara realtà, con tanto di numeri alla mano e di analisi sul campo regione per regione,è il quarto rapporto del «Network non autosufficienza» (Nna) presentato questa mattina a Bologna, dove appunto si svolge la due giorni sulla non autosufficienza in Italia. Sul tavolo le proposte per rientrare da questo autentico deficit sociale a cominciare dall'utilizzo di 1,8 miliardi dai risparmi che si potranno (forse) ottenere dalla stretta sulle cure ospedaliere. Il fai-da-te dell'Italia che dimentica gli anziani Non che gli interventi e i modelli regionali manchino, anzi.

Così come la capacità che i sindaci mettono in campo, quando possono, se possono e se ne sono capaci. Sono ben 38 secondo il rapporto – curato dal network Nna e promosso dall'Irccs Inrca, ora pubblicato da Maggioli editore – i modelli di Rsa (residenze sanitarie per anziani). L'assistenza a casa conta ben 5 modelli diversi, con rete variabili e risorse che, manco a dirlo, sono inesorabilmente ridotte al lumicino. Grandi escursione di cure, di modelli, di risultati. E di impegni finanziari che impazzano: la regione che meno ha, e che è anche meno attrezzata, meno offre ai suoi anziani. Lo spezzatino delle fragilità, un federalismo malsano delle cure che si ripete in tutti i contesti della vita sociale.
L'Italia che invecchia
E lo Stato taglia i fondi Una situazione ancora più drammatica vista la miopia dello Stato nel finanziare quella che è considerata da tutti la bomba sociale per tutto l'Occidente. E per l'Italia, che invecchia di più, a livelli ormai insopportabili.

Ormai da anni, col governo del Cavaliere, è stato pressoché cancellato il Fondo per la non autosufficienza. Poi è tornato, in qualche modo, ma come intervento spot da poche centinaia di milioni. Briciole, se si considera che il pianeta della non autosufficienza in Italia conta 5 milioni di persone contando anche familiari e operatori.

Già, le famiglie: perché poi sono loro, in assenza dello Stato, a fare da vera cintura di protezione. Quando l'anziano non è solo. I numeri parlano da sé: la spesa totale in Italia per l'assistenza continuativa agli anziani non autosufficenti vale 1,85 punti di pil. Ma attenzione: ben 0,79 punti vale l'indennità di accompagnamento erogata dal'Inps e 0,85 le prestazioni sanitarie. Poi per gli altri servizi 0,21 punti di pil. Peccato che a far fronte anche finanziariamente alle necessità, siano poi gli entri locali e le regioni. Con proprie risorse. E qui la variabilità è estrema: dall'Umbria dove nel 2009 si spendevano circa 4.400 euro l'anno per ogni anziano non autosufficienza, al Molise che metteva sul piatto solo 2.300 euro. Quasi la metà. L'Italia delle cure per chi può.
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