Il-Trafiletto
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24/11/13

La giostra degli acconti fiscali in moto perpetuo.

Manca poco meno di una settimana lavorativa dalla scadenza "prevista", e dodici giorni circa da quella nuova del 10 dicembre indetta dal presidente del Consiglio Enrico Letta, e la giostra degli acconti fiscali è ancora non finisce mai di girare, resta sempre in moto perpetuo: per adesso la fiumana di aumenti incrociati di Ires e Irap, insieme al nuovo acconto previsto per il risparmio amministrato, si attesta intorno ai tre miliardi di euro di anticipi supplementari richiesti a imprese e risparmiatori.

Le coperture necessarie per «coprire» l'Imu sull'abitazione principale, però, non hanno ancora trovato una logica e plausibile, tanto meno definitiva soluzione anche perché la necessità di frenare anche il saldo per gli immobili agricoli costringe di cercare altri 347 milioni, e la richiesta dei sindaci di fare fronte anche agli aumenti di aliquota intervenuti nel 2013, fa alzare il conto di un altro mezzo miliardo.

In tutto questo vortice di scompensi finanziari con il quadro destinato a trovar pace in «Gazzetta Ufficiale» non prima di mercoledì prossimo, la corsa sia di contribuenti e professionisti per tirare finalmente la riga del totale delle somme da pagare pare ancora assai impegnativa. Preoccupatissime, naturalmente, le imprese, su cui pare caricarsi tutto il fardello dell'abolizione Imu: «Sarebbe gravissimo - sottolinea Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria – aumentare gli acconti in questo momento, riducendo la liquidità delle aziende, già scarsa per il calo dei consumi interni, e aggravando il problema dell'accesso al credito».

Acconti fiscali e somme da pagare
Lo scalino più alto, al momento, è quello che attende banche e assicurazioni, che si vedrebbero alzare l'acconto alla cifra record del 128% (scendendo al 127% nel 2014 e tornando ai livelli ordinari nel 2015). Questa misura dovrebbe portare nelle casse dello Stato, secondo i calcoli del Governo, circa 1,5 miliardi.

Sempre nel capitolo "finanza" rientra il nuovo acconto sul risparmio amministrato, che chiederebbe una somma pari al 100% dei versamenti dovuti per i primi undici mesi dell'anno: da qui arriverebbero altri 660 milioni. La generalità delle imprese attende però le misure sugli acconti Ires e Irap, sui quali si concentra l'attenzione di due provvedimenti in rampa di lancio.

L'ennesimo decreto Imu, chiamato a cancellare il saldo, prevede un aumento dal 100 al 101%, che di fatto però è già stato previsto a giugno dal decreto «Iva-lavoro», quello che ha fatto slittare da luglio a ottobre l'aumento dell'Iva al 22 per cento. Sui tavoli dell'Economia, però, c'è anche un decreto ministeriale che alza la percentuale degli "anticipi" al 103%, facendo scattare la clausola di salvaguardia prevista dal provvedimento di luglio che ha cancellato la prima rata Imu: da questi due punti aggiuntivi dovrebbero arrivare altri 560 milioni, a cui si aggiunge la dote dell'Irap che segue le regole per le imposte dirette. Per le imprese, però, una strada per dribblare gli aumenti esiste, e passa dall'applicazione del metodo «previsionale» nella determinazione dell'acconto.

In questo caso, la bozza di decreto Imu prevede che i contribuenti debbano versare il 100% dell'imposta che risulterà dovuta con la dichiarazione. Una via che comporta qualche rischio, in caso di calcoli errati, ma che può evitare il colpo alle imprese (e il gettito allo Stato). Per la cedolare secca, infine, le Entrate confermano che il previsionale permette l'applicazione dell'aliquota ridotta al 15 per cento.

22/11/13

L' Imu non trova chi possa...coprirla! Il giallo sulle mancate coperture finanziare continua

L'Imu non riesce a trovare chi possa...coprirla! Gia', tra promesse rassicuranti quanto vaghe ed approssimative, il governo non riesce ad oggi di trovare le coperture finanziarie per fare si di mettere in soffitta la tassa sulla casa: sono le coperture per le mancate entrate la maledizione dell'Imu, e perche no, anche del Governo che prova a «superarla»: latita sempre più la mancata chiusura dei conti ha stoppato il decreto sul saldo, e anche il tira e molla degli acconti che nonostante siano in aumento pare non siano sufficenti per superare lo scoglio creatosi soprattutto dopo che è apparso impossibile far tornare a versare finanze cassa i proprietari di immobili agricoli.

 Tale situazione rischia di avere come risultato quello della beffa: un Imu 2013 maggiore sull'abitazione principale rispetto a quella pagata nel 2012, per milioni di italiani che abitano nei Comuni dove l'aliquota è cresciuta quest'anno. Ma sara' possibile? Certo che si! Il problema, per l'appunto, è la mancata copertura finanziaria.

Il Governo è riuscito con non poca fatica a trovare le risorse a malapena per compensare i Comuni del mancato introito calcolato sulle aliquote 2012, ma di contro, 600 sindaci hanno alzato quest'anno le richieste sull'abitazione principale. Tra i Comuni in questa condizione ci sono grandi città: da Milano a Napoli, da Brescia a Bologna, da Verona a Reggio Calabria, al punto tale che gli aumenti già decisi valgono almeno mezzo miliardo di euro. Per le aliquote definitive c'è tempo poi fino al 30 novembre, e il conto potrebbe quindi salire ancora di molto.
Imu sulla prima casa
Il Governo, anche dopo aver aumentato tutti gli acconti fiscali, non ha questi 500 milioni in più per compensare i sindaci. Ma allora, chi è che dovrebbe pagare? Nella bozza di decreto esaminata dal Governo, una delle risposte è semplice, scontata direi, e dal punto di vista politico alquanto esplosiva: i contribuenti, chi pensavate? In altre parole, nei Comuni dove l'aliquota è cresciuta sarebbero i proprietari di abitazioni principali a doverci mettere la differenza fra il gettito iscritto nel bilancio dello scorso anno e quello fissato nel preventivo 2013.

La tempesta politica che si scatenerebbe con una regola del genere è sotto gli occhi di tutti ma c'è anche un paradosso aggiuntivo. Molti proprietari della casa in cui vivono si troverebbero a pagare nel 2013, anno di "abolizione" dell'Imu, una cifra superiore a quella versata nel 2012, quando l'imposta municipale era pienamente in vigore: una beffa che colpirebbe soprattutto le case di minor valore, dove in genere abitano le famiglie a reddito medio-basso. Come può essere possibile?

Semplice: il problema, ancora una volta, sono le detrazioni. Per capirlo basta fare un salto a Milano, dove l'aliquota cresciuta dal 4 al 6 per mille: un bilocale da 95mila euro di valore fiscale nel 2012 ha pagato 180 euro (cio 380 meno 200 di detrazione), mentre quest'anno si troverebbe a doverne versare 190, cio il 2 per mille lordo che serve a coprire l'aumento deciso dalla Giunta Pisapia. In questo caso l'aumento effettivo sarebbe del 5,5%, ma se la casa vale 80mila euro l'imposta passa da 120 a 160 euro (+33%), e con 60mila euro di valore catastale si passerebbe dai 40 euro pagati nel 2012 ai 120 dovuti nel 2013 (+200%).

Tutti questi calcoli si basano su una famiglia senza figli: con uno o pi figli conviventi, nel 2012 scattavano le detrazioni aggiuntive, per cui il passaggio al nuovo "regime" sarebbe ancora peggiore. Nelle case di valore pi alto, invece, la detrazione che scompare ha un effetto minore: l'anno scorso, con l'aliquota al 4 per mille, un appartamento da 200mila euro di valore catastale pagava 600 euro di Imu, e quest'anno per versare il 2 per mille mancante ne verserebbe 400. Numeri alla mano, diventa ancora pi chiara la difficile sostenibilit politica della "soluzione" ipotizzata nella bozza di decreto, soprattutto dopo che il presidente del Consiglio Enrico Letta ha ribadito ancora una volta che la seconda rata Imu non sar pagata.

In alternativa, i tecnici del Governo stanno studiando un'acrobazia contabile, che con un accertamento formale permetta ai Comuni di mantenere l'entrata iscritta a bilancio e consenta al Governo di erogare solo nel 2014 i rimborsi effettivi agli amministratori locali. Una via, questa, politicamente assai pi tranquilla, ma piuttosto accidentata dal punto di vista contabile perch occorre trovare il modo di non far pesare i 500 milioni sul deficit consolidato della Pubblica amministrazione: vero che mezzo miliardo di euro rappresenta circa lo 0,03% del Pil, ma per un Paese che balla costantemente sull'orlo del 3% di deficit/Pil richiesto dall'Europa ogni millesimo pu rivelarsi vitale.
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