Sarebbe dunque questa l'eredità dei Neanderthal che noi Homo Sapiens ci portiamo dentro a nostra insaputa da almeno 40.000 anni. Sia chiaro, non proprio tutti alla stessa maniera, ma chi più e chi meno il ceppo è lo stesso per tutti: tra i “più” evidenti ci sono le popolazioni europee e dell'Asia orientale; mentre tra i “meno” quelle africane, i cui antenati non hanno avuto occasione di entrare in contatto con gli antichi cugini (che vivevano, per l'appunto, in Europa e in Asia). Si presume che, in media, tra l'1 e il 3% del genoma di ogni essere umano moderno arrivi dai Neanderthal, ma si parla di un 20%, forse di un 30%, se invece si considera complessivamente tutto il materiale genetico che potrebbero averci tramandato.
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I Neanderthal dentro noi |
In uno studio precedente, Reich aveva già mostrato che nel Dna delle attuali popolazioni non africane vi sono tracce di geni neandertaliani, in una quantità che si aggira intorno al 2%. Da allora altri team hanno individuato alcune varianti genetiche. La nuova ricerca fa ora un passo avanti, andando a indagare il significato adattativo di questa eredità. Come? I ricercatori hanno cercato le varianti neandertaliane nei genomi di 1004 persone (846 non africane e 176 sub-sahariane) sequenziati grazie al 1000 Genome Project, e li hanno poi comparati con quello di un Homo neanderthalensis di 50.000 anni, sequenziato (e pubblicato) nel 2013.
Sono stati così individuati dei tratti del genoma ricchi di queste varianti e altre zone “deserte”. Queste ultime – espresse in particolare nei testicoli e concentrate nel cromosoma sessuale X – sono molto interessanti perché, ipotizzano gli autori dello studio, potrebbero riguardare geni inizialmente ereditati e successivamente rimossi attraverso la selezione naturale: geni magari non vantaggiosi o risultati pericolosi per i sapiens, forse a causa della parziale incompatibilità riproduttiva tra le due specie.
In oltre il 60% dei 1004 genomi analizzati i ricercatori hanno inoltre trovato la variante di un gene che regola le funzioni della cheratina, la proteina che aiuta la pelle, i capelli e le unghie a resistere meglio al freddo.
L'ipotesi degli autori è che la variante sia risultata vantaggiosa per chi viveva in un ambiente nordico. Probabilmente arrivano dai Neanderthal altre 9 varianti genetiche note per essere associate a funzioni del sistema immunitario o che sembrano in grado di influenzare alcuni comportamenti (per esempio la facilità con cui si smette di fumare).Veniamo allo studio pubblicato su Science a firma di due genetisti dell'Università di Washington, Joshua M. Akey e Benjamin Vernot. Qui i ricercatori hanno messo a punto un nuovo metodo per andare alla ricerca delle sequenze neandertaliane nel genoma di 600 persone, sempre provenienti dall'Europa e dall'Asia dell'Est.
Le conclusioni a cui giungono sono in linea con quelle dello studio su Nature, e confermano quanto emerso nelle ricerche precedenti, condotte su un numero inferiore di persone: le varianti in comune sembrano riguardare principalmente le caratteristiche della pelle. E i conti tornano anche sulla “quantità di genoma” tramandato, che si conferma tra l'1 e il 3% in media per essere umano. Secondo i ricercatori però, se si sommano tutte le varianti individuate, la percentuale di genoma neandertaliano sopravvissuto fino ai giorni nostri potrebbe arrivare al 20% se non al 30%. Chissà che le prossime ricerche non mandino definitivamente in pensione certi vecchi stereotipi.