Il-Trafiletto

06/01/14

Pelle specchio della salute: attenzione all'alimentazione

Una bella pelle è lo specchio della salute. E l'alimentazione molto contribuisce al nostro benessere, e la pelle ce lo dimostra. Il colorito, la grana, l'elasticità, il fatto che sia più o meno liscia sono fattori per i quali l'alimentazione è determinante. Partiamo dal fatto che se seguiamo uno stile alimentare a basso indice glicemico dando più spazio a frutta e verdura di stagione, faremo un favore alla pelle contribuendo a prevenire la formazione delle rughe e delle smagliature.
Pelle sana

La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo, con una superfice di circa due metri quadrati , protegge il tessuto connettivo, i muscoli, le ossa e gli organi interni, ci protegge dagli stimoli meccanici ad esempio colpi, traumi, pressioni o frizioni, regola la temperatura corporea e trasmette gli stimoli che percepisce al sistema nervoso centrale, ricordiamo che ci permette anche di eliminare le scorie tossiche, questo avviene grazie alla sua funzione respiratoria . Invecchiamento precoce, acne molto diffusa tra gli adolescenti, secchezza eccessiva con desquamazione oppure eccessiva untuosità che interessa il viso.  Le proteine più importanti della pelle sono elastina e collagene , queste risultano molto sensibili alla concentrazione degli zuccheri nel sangue. Collagene e glucosio legandosi, creano un processo chiamato glicosilazione, che ha come causa l’alterazione della struttura e delle funzioni che la proteina dovrebbe svolgere, provocando l’invecchiamento del tessuto cutaneo con la formazione delle cosiddette rughe. Carboidrati semplici quindi farine raffinate e zucchero bianco, contenute ad esempio in pane, pizze , pasta, alcolici e dolciumi in genere una volta ingeriti rialzano il livello di glucosio nel sangue e danno così inizio al processo di alterazione citato sopra. Gli alimenti che donano luminosità, compattezza e salute alla nostra pelle sono quindi in primo luogo a basso indice glicemico per esempio cereali integrali, verdura , buona parte della frutta, pesce e olio extravergine d’oliva spremuto a freddo, meglio ancora se proveniente da agricoltura biologica. Un esempio? Le albicocche sono ricche di betacarotene e selenio, ci proteggono dai raggi solari, prevengono rughe, smagliature e sono anche depurative, si possono consumare quotidianamente, anche in macedonia Le carote, anch’esse molto ricche di betacarotene: ne bastano due al giorno per assicurare al corpo una sufficiente dose di sostanze protettive, è preferibile sceglierle biologiche e consumarle crude mantenendo la buccia esterna, oppure centrifugarle magari aggiungendo il succo di mela. Abbiamo visto così che utilizzando gli alimenti giusti possiamo prevenire gli inestetismi della pelle, mantenendoci giovani più a lungo.

Dove finiscono i dati delle vecchie ricerche scientifiche?

Dove vanno a finire i dati delle vecchie ricerche scientifiche? Riuscire ad accedere ai dati è da sempre uno dei punti cardini su cui si basa la cultura scientifica moderna! Essere sempre e comunque in grado di avere la possibilità per gli scienziati di consultare ed effettuare verifiche sui risultati dei colleghi, per poi utilizzarli integrandoli nelle proprie ricerche.

Un sistema ottimo in teoria, che però in pratica rischia di essere solamente una mera illusione, per il semplice fatto che non solo sempre più ricercatori sono reticenti a condividere i propri risultati, ma ormai spesso capita che non si sa più nemmeno che fine abbiano fatto i dati originali di determinate ricerche. A suonare l’allarme è lo studio realizzato da un gruppo di ricercatori canadesi, pubblicato sulla rivista Current Biology.

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Pen drive e Cd
I ricercatori hanno provato di recuperare i dati originali di 516 articoli scientifici che sono stati pubblicati tra il 1991 e il 2011. Gli studi scelti riguardavano tutti quanti il campo dell’ecologia, e in particolare la misurazione di  caratteristiche anatomiche di piante e animali, perché si tratta di analisi che vengono eseguite esattamente nello stesso identico modo ormai da decenni.

I ricercatori canadesi hanno contattato gli autori degli studi, e hanno chiesto loro di fornirgli i dati relativi all’articolo in questione. Se per i lavori risalenti a due anni fa non sono emersi particolari problemi, la percentuale di articoli di cui erano ancora disponibili i dati originali calava invece drasticamente nel caso di lavori più vecchi, e con una casistica a dir poco disarmante: il 17% in meno per ogni anno, tanto che solo per il 20%  degli articoli pubblicati negli anni ’90 risultavano ancora disponibili i dati originali.

Complotto? Truffa? Forse no, magari si tratta più che altro di distrazione e superficialità da parte degli scienziati. “Nella maggior parte dei casi i ricercatori hanno risposto “dovrebbero trovarsi in questo o quel luogo”, riferendosi magari alla soffitta della casa dei genitori, o a un dischetto per Pc, oppure pendrive di cui non vedono un lettore da 15 anni”, racconta su Nature Timothy Vines, ricercatore della University of British Columbia di Vancouver che ha coordinato lo studio. “In teoria i dati originali esistono ancora, ma in pratica il tempo e la fatica che dovrebbero fare i ricercatori per recuperarli rende la cosa proibitiva”. Persino contattare i ricercatori è risultata spesso un’impresa impossibile. Le chance di trovare un email funzionante diminuivano infatti del 7% per ogni anno trascorso dalla pubblicazione dell’articolo, tanto che Vines e colleghi sono riusciti infatti ad entrare in contatto solamente con il 37% degli scienziati cercati. Anche tra quelli con un indirizzo email aggiornato, solo poco più della metà si è degnata di rispondere alla loro richiesta.


Si tratta di una questione seria, perché (almeno per chi crede nell’Open Access) il progresso scientifico si fonda da sempre sulla condivisione delle conoscenze e dei dati tra ricercatori. La tendenza, invece, sembra tristemente andare nella direzione opposta. Specialmente in campo bio-medico, dove è in atto una vera e propria guerra tra le industrie del farmaco, che hanno tutto l’interesse a tenere segreti i dati delle ricerche da loro finanziate, e la comunità scientifica, che richiede il libero accesso ai risultati. Un’indagine presentata a settembre durante l’International Congress on Peer Review and Biomedical Publication di Chicago ha dimostrato ad esempio che in soli 4 anni, gli autori di articoli pubblicati sui prestigiosi Annals of Internal Medicine disposti a rendere pubblici i propri dati sono diminuiti drasticamente, passando dal 62% nel 2008 al 47% nel 2012.



Una…Tata Nano versione diesel.

Per la nostra quotidianità e per districarci dal traffico del centro città potrebbe arrivare in nostro soccorso una…Tata Nano diesel! Pare che Tata potrebbe approfittare della kermesse prossima che si terrà a Nuova Delhi dal 7 al 11 febbraio per presentare all'Auto Expo una versione diesel della Nano tutta sprint.

Da fonti provenienti direttamente dall'India, infatti, l'ipotesi potrebbe rientrare nella strategia di rilancio della piccola "low cost", che fino ad ora è risultata essere un vero flop, proposta in versione benzina e metano, non essendo mai stata in grado di raggiungere gli ambiziosi obiettivi di vendita preventivati dai vertici aziendali.
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Tata Nano versione diesel
Per la variante a gasolio potrebbe esordire sul mercato dell’auto un insolito bicilindrico di 800 cc turbodiesel da 45 CV, capace di assicurare, secondo le previsioni della casa costruttrice indiana, tra i 2,5 e i 2,8 l/100 km senza ricorrere alla tecnologia ibrida.

Una motorizzazione del genere potrebbe con ogni probabilità, persino, anticipare un debutto della Nano al di fuori dei confini nazionali, ma non esistono per il momento conferme in merito: la versione "europea", infatti, che in passato era stata presentata a diversi Saloni come concept, non si è mai avvicinata alla produzione finale.

Perchè si dice "situazione kafkiana"?

Non si usa molto questo modo di dire, raro sentir qualcuno che ne fa uso. In ogni caso è di formazione recente, e deriva ovviamente dal modo di scrivere di Franz Kafka.  "Kafkiano" è dunque un neologismo.
Situazione kafkiana, indica una situazione paradossale, e in genere angosciante, che viene accettata come status quo, implicando l'impossibilità di qualunque reazione tanto sul piano pratico che su quello psicologico.  Uno degli esempi più paradigmatici di situazione "kafkiana" è forse proprio quella del Processo di Kafka, in cui l'impotenza (l'impossibilità della reazione) viene messa in relazione, tra l'altro, col tema della burocrazia giudiziaria. In quest'opera, il protagonista "Josef K." riceve inaspettatamente la notizia di essere in arresto.
Kafka

Un giorno, trovandosi negli uffici della banca dove lavora, apre una porta di un ripostiglio e vi trova i custodi che si erano presentati in casa sua, puniti da un aguzzino, perché Josef K. si era lamentato del loro comportamento. L'effetto kafkiano del lettore si scatena però non in questa sorpresa irreale, ma nel constatare il comportamento del protagonista: egli non reagisce al fatto di trovare dei poliziotti là dove mai avrebbe pensato ma si preoccupa che i poliziotti non facciano troppo rumore quando sono frustati. La paura di Josef K. è che i colleghi o i suoi sottoposti si presentino a vedere cosa succede e scoprano così che egli è sotto processo. La vergogna per l'indagine, a cui non ci si può opporre (Josef K. non sa neppure di preciso quale sia l'imputazione) viene così amplificata dal predominare paradossale del senso del pudore del protagonista. La scena mette bene in risalto il funzionamento dell'assurdo kafkiano. Cioè creare un contrasto che sembra irragionevole ma che in realtà rivela un aspetto profondo, sconvolgendo e spiazzando il lettore.

Microrganismi al posto dei conigli per testare il Mascara

Storicamente il Mascara, il noto cosmetico molto amato dalle donne, viene testato sui conigli per verificare che non provochi disagi e irritazioni, creando loro più di un problema e fastidio. Ora questi simpatici animali potrebbero essere sostituiti nel loro “lavoro” da alcuni microrganismi unicellulari, come ad esempio il “Paramecium caudatum” e “Blepharisma japonicum”. Una sperimentazione di questo tipo è stata eseguita negli Usa, da un gruppo di scienziati dell'University of Liverpool', e promette di ridurre il bisogno di test sugli animali in campo cosmetico, in un periodo in cui il tema è al centro di accese polemiche e battaglie degli attivisti dei diritti degli animali. Gli scienziati assicurano che testare il mascara su questi organismi è meno costoso e dà risultati più affidabili, oltre a eliminare qualunque crudeltà verso gli animali.
microrganismi

 Essi sono riusciti a esaminare la potenziale tossicità causata dal prodotto in esame, basandosi sulla crescita dei protozoi quando vengono introdotti in 'camere sperimentali' contenenti il cosmetico. Sono stati esaminati 6 tipi di mascara di diverse marche. Il prodotto è stato strofinato su piattini di vetro che sono stati posizionati nelle camere sperimentali, dove poi sono stati aggiunti i protozoi e il loro cibo. Gli esperti hanno osservato che c'è una sostanziale differenza fra le marche: alcune uccidono i protozoi, altre non fanno loro del male. Il Prof. David Montagnes che ha supervisionato il progetto afferma che il test ha "un grande potenziale per ridurre il ricorso ai conigli, quest’ultimo molto costoso e senza dubbio poco etico. La ricerca fa parte di un più ampio progetto dell'ultimo anno di università che ha come autore senior la studentessa Hayley Thomason ed è stato finanziato dalla School of Life Sciences dell'University of Liverpool. E' stato pubblicato sull'International Journal of Cosmetic Scienc
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