All'inizio dell'anno, alcuni studiosi dell'Università della California hanno svolto alcune ricerche che riprendono quelle condotte da Jenkins e Dallenbach ormai un secolo fa.
Anche nel moderno studio, infatti, è stato chiesto ai partecipanti di imparare parole prive di significato. Sono stati selezionati un gruppo di giovani adulti (età media 21 anni circa) e un gruppo di adulti anziani (età media 75 anni circa), chiedendo loro di imparare coppie di termini che comprendevano parole esistenti, per esempio "uccelli", e parole inventate, per esempio "jubu".
Si è scoperto che sia nei soggetti giovani sia in quelli più anziani, le prestazioni mnemoniche miglioravano di pari passo con la quantità notturna di sonno a onde lente (o sonno SWS, Slow Wave Sleep), caratterizzato da attività elettrica cerebrale rallentata. Un'altra ricerca, forse un po' più traumatica per i partecipanti, ha dimostrato che il sonno ci aiuta anche a ricordare eventi che scatenano emozioni. A un gruppo di studenti dell'Università di Bamberga, in Germania, sono stati forniti testi ad alta carica emotiva, tra i quali uno che raccontava in dettaglio le crudeli pratiche di un infanticida.
Gli studenti ai quali era stato consentito dormire soltanto durante la seconda parte della notte - e che avevano dunque beneficiato di una maggior quantità di sonno REM (caratterizzato da movimenti oculari rapidi, in inglese Rapiti Eye Movement) - ricordavano con molta più precisione i dettagli del testo rispetto a chi non aveva raggiunto la fase REM (dormendo soltanto durante la prima parte della notte oppure non dormendo affatto).
Il sonno può avere un fortissimo impatto anche sulla nostra capacità di acquisire abilità motorie (come andare in bicicletta oppure digitare più velocemente su una tastiera). In qualità di esperto di neuroscienze presso la Facoltà di Medicina di Harvard, Matthew Walker ha insegnato ad alcuni soggetti a digitare una sequenza complessa sulla tastiera di un computer, verificando le abilità acquisite a distanza di 12 ore. I partecipanti che non avevano dormito tra le due sessioni hanno migliorato le proprie prestazioni del 2 per cento, mentre chi aveva riposato è risultato più veloce del 20 per cento senza effetti negativi sulla precisione.
Questo tipo di memoria sembra formarsi durante una fase di sonno più leggera, detta fase due N-REM (Non-REM). Come si possono ottenere risultati simili dormendo? Una possibile risposta è il cosiddetto replay della memoria. Grazie a registrazioni dell'attività cerebrale, oggi sappiamo che gli schemi di firing neuronale (ossia i pattern di trasmissione). Gli impulsi elettrici da parte delle cellule del cervello che si verificano durante l'apprendimento diurno vengono spesso riprodotti durante il sonno: è come se il cervello effettuasse una specie di ripasso. Nel sonno a onde lente, avviene il firing sincronizzato di milioni di neuroni neocorticali, nella parte esterna del cervello. Si è scoperto che questi impulsi elettrici a bassa velocità determinano i tempi di esecuzione della scarica del potenziale d'azione di altri neuroni, cosicché il replay della memoria possa avvenire contemporaneamente in tutte le strutture cerebrali interessate.
Se stiamo ricordando un incontro con un'amica, per esempio, il meccanismo fa sì che le cortecce visiva e uditiva riproducano simultaneamente il suo viso e la sua voce, garantendone una perfetta associazione. Si ritiene che questo replay coordinato consolidi i ricordi, proprio come avviene quando si ripassa mentalmente qualcosa da svegli. I neuroscienziati sostengono che il firing neuronale simultaneo rafforzi le connessioni sinaptiche: l'attività neurale simultanea potenzia le interconnessioni tra neuroni, puntellando la piattaforma fisica della memoria. (science)