La brevità della vita, un'opera che per affinità e integrazione logica di alcuni temi viene spesso pubblicata insieme con La tranquillità dell'animo, secondo una consuetudine seguita anche dai più insigni studiosi della lingua e della letteratura latina, risale con ogni probabilità al 49 d.C. Seneca la scrisse o poco prima del suo ritorno a Roma dalla relegazione in Corsica o in un periodo immediatamente successivo.
Questa seconda ipotesi, sostenuta da diversi critici, fra cui spiccano L. Castiglioni, V. Grimal e M. Pohlenz, sembra la più attendibile. Taluni la vorrebbero collocare, non senza fondati motivi, nel 62, l'anno del ritiro del filosofo dalla vita pubblica. Così la sua composizione cadrebbe in un periodo che vide la stesura delle Lettere a Lucilio, scritte, appunto, fra il 61 e il 65. Non mancano certamente affinità tematiche fra La brevità della vita e le Lettere a Lucilio, in particolare con alcune di queste, come, ad esempio, 1,1-3 e LXXI,36.
Accettando come data il 62 si aggirerebbe il problema della contraddizione insita nella scelta di Seneca di dedicarsi agli affari pubblici dopo il suo rientro a Roma e l'esaltazione della vita ritirata, spiritualmente arricchita dalla meditazione filosofica, quale è propugnata ne La brevità della vita. Ma, come si è notato a proposito de La tranquillità dell'animo, Seneca non seppe, e soprattutto forse non poté, dominare le proprie scelte di vita perché, nonostante il suo enorme prestigio, in una società come quella romana nell'età imperiale un uomo del suo rango ben difficilmente avrebbe potuto sottrarsi alla volontà e alle direttive dei potenti. L'argomento più importante a favore della prima datazione è contenuto in XIII,8, dove si dice che Silla fu l'ultimo dei Romani ad ampliare il pomerio di Roma, cioè lo spazio tenuto libero, e consacrato, al di qua e al di là delle mura.
Orbene, l'imperatore Claudio lo ampliò nel gennaio del 50 d.C. Questo indicherebbe che Seneca scrisse prima di questa data il libro sulla brevità della vita. L'opera è indirizzata a Paolino, un personaggio il cui nome non è meglio identificato, prefetto dell'annona e parente, come è probabile, di Pompea Paolina, seconda moglie di Seneca. Anche questo scritto forma insieme con altri undici, inclusi La tranquillità dell'animo e i tre libri sull' Ira, il complesso dei dialoghi senecani, così chiamati dai primi sillogisti con una titolatura abbastanza impropria (che risponde tuttavia all'esigenza di una sistemazione per generi letterari) in quanto essi non presentano né la struttura né lo svolgimento tipico del dialogo vero e proprio, pur rispecchiando stile e modi delle dispute filosofiche.
Per comprendere il contenuto e il significato dell'opera è necessario anzitutto chiarire il senso attribuito da Seneca alla parola brevitas, «brevità», in rapporto con la durata della vita. Certo, l'esistenza dell'uomo è breve in senso assoluto, se la compariamo con quella della Terra, delle vicende siderali e dell'Universo nel suo insieme, ma sul piano dell'eternità la stessa durata della Terra come pianeta si può considerare breve. In senso relativo definire «breve» la vita umana non ha molto valore per Seneca, se si esclude, ovviamente, una fine prematura negli anni della fanciullezza o in età giovanile, quando ancora non è iniziato, o è iniziato appena, il cammino verso la saggezza. Perciò conta non tanto il numero degli anni trascorsi quanto l'averli vissuti sviluppando la propria vita interiore.......