Abbiamo l'impressione che la nostra esistenza sia eccessivamente breve soltanto perché sprechiamo il nostro tempo - l'unico bene che davvero ci appartiene - sia dedicandoci ad attività inutili, sia lasciandoci assorbire completamente da occupazioni che pur essendo utili nella vita sociale e politica, sembrano sottrarre la nostra personalità a noi stessi fino al punto di smarrire la nostra interiorità, la nostra identità di uomini pensanti alla ricerca di valori più alti per il nostro perfezionamento etico e intellettuale. L'uomo come individuo, la cui dignità e libertà sono difesi dagli Stoici e in particolare da Seneca con estrema passione, deve perseguire una prospettiva ben salda di riferimento a una realtà atemporale, intesa come provvidenza o programmazione esplicata da un Ente supremo che ci vuole parte integrante dell'Universo.
Solamente per questa via è possibile superare i limiti stessi della vita umana. Notevole rilevanza ha in Seneca il valore del tempo passato, fondamentale elemento costitutivo del nostro lo, un bene che nessuno ci può togliere o modificare. Saggio è colui che sa risalire con la memoria al tempo trascorso: la consapevolezza di averlo bene utilizzato rappresenta per gli anziani un dolce motivo di sicura consolazione. In X,2 il filosofo afferma che la vita si divide in tre momenti: ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà. Il momento presente è fuggevole, quello che vivremo è incerto, sicuro solamente il tempo che abbiamo vissuto. La fortuna perde infatti il suo potere proprio su quanto non può cadere sotto l'arbitrio di alcuno. La memoria del passato si identifica dunque con la coscienza della nostra stessa esistenza come individui ed è indispensabile elemento di controllo dei nostri progressi sulla via della saggezza. cioè verso un superiore stile di vita che ci consente di rivendicare in pieno la nostra libertà al di là di ogni costrizione esterna.
Per tutta la vita, afferma ilfilosofo, si deve imparare a vivere, e, quel che ancor più meraviglia, per tutta la vita si deve imparare a morire. A questo punto occorre tuttavia rilevare che Seneca non ha né dell'uomo né della vita una concezione pessimistica (anzi nei confronti di Nerone fu ottimista fino all'eccesso); al contrario: egli ravvisa nell'uomo la capacità di riscattarsi dalle costrizioni e dalle limitazioni imposte necessariamente dal contesto politico e sociale. Seneca vuole liberare l'uomo dall'angoscia, che per lui è il peggiore dei mali. Ed è un'angoscia, quella dell'uomo, che trascende addirittura la morte: tutti spingono lontano le proprie speranze, così conclude il filosofo, e certe persone si preoccupano addirittura di ciò che va al di là della vita: enormi monumenti funerari, dedicazioni di opere pubbliche e cerimonie sfarzose per le loro esequie.
Ben più razionale è l'atteggiamento del saggio che impronta la propria esistenza alla calma e alla serenità. Del resto - vorremmo aggiungere - la lotta per conseguire tali valori sia pure nei momenti più difficili della'vita, non è forse di per sé fonte di gioia e di equilibrio? Come tutte le opere filosofiche di Seneca, anche La brevità della vita non ha una struttura teoreticamente ordinata. L'Autore passa volentieri da un tema all' altro, adattando, si può dire, l'esposizione del proprio pensiero alle circostanze e ai fatti della vita così come si presentano nella realtà quotidiana. Anche in questo dialogo Seneca privilegia l'esigenza di essere medico e maestro delle coscienze, cioè dell'animo umano, come egli dice.
Certo, Seneca non sapeva costruire un solido sistema filosofico, ma proprio per questo la sua parola è più vicina al cuore e alla comprensione di noi tutti, che viviamo in tempi di frastornanti e persino aberranti sollecitazioni esterne. Fernando Solinas