24/03/14

"Rane? Per carità!"

QUALCUNO a leggere solo il titolo passerà alla successiva pagina, esclamando: "Rane? Per carità!" Peccato! Ai più schizzinosi potrà anche suscitare disgusto l'idea di mangiarle, ma se lo faranno si ricrederanno immediatamente. E non potrebbe essere altrimenti, visto il loro caratteristico sapore, che si magnifica nella zuppa, col loro brodo o nel risotto, oppure gustandole fritte o in umido. 


Sono queste le versioni principali in cui questo simpatico anfibio, che a molti però ripugna d'aspetto, si offre gradevolmente sulle tavole romagnole. Al pari di anguille, pesci d'acqua dolce, funghi, uccelli e cacciagione varia, le rane costituiscono una delle risorse alimentari e culinarie tipiche della grande area delle valli e delle pinete ravennati. O meglio costituivano, visto che prima le bonifiche, poi l'insediamento sempre più serrato dell'uomo ne hanno largamente limitato la riproduzione.
rana esculenta
Gloria culinaria di Ravenna e dintorni, oggi sono diventate quasi una rarità,ma che vi consiglio assolutamente di non farvi sfuggire se avrete modo di rintracciarle nelle carte di qualche ristorante o trattoria. Nelle case della bassa Romagna c'è comunque chi ancora ne perpetua la tradizione. E fu questa «tradizione» uno dei punti di scherno fra ravennati e forlivesi, nel sanguigno e storico campanilismo dei tempi che fu: se i primi dileggiavano l'intelligenza dei secondi, dicendoli tener ritto il campanile di San Mercuriale con un filo di lana, i secondi li apostrofavano come mangia rane, vedendo in questo qualcosa di miserabile, ripugnante e animalesco. E proprio perché le rane erano così diffuse nel Ravennate sia dal punto di vista naturale che da quello alimentare, quando la città, dopo la restaurazione pontificia puntò ad avere un ruolo preminente in Romagna, i forlivesi risposero: «Furlè e' sra sota a Ravena, quand i ranocc j'avrà mess la pena» (Forlì sarà sotto Ravenna, quando i ranocchi avranno messo le penne). E per ultima rivalsa i ravennati raccontano che nelle scaramucce al fiume, mentre loro "sparavano" pigne secche, i forlivesi tiravano fichi marci, chiedendosi che fichi duri avessero a Ravenna ... Ma al di là di queste spicciole ed amene curiosità (che mai ovviamente hanno avuto un "vincìtore"), un dato di fatto è che le rane hanno rappresentato un punto fermo dell'alimentazione di una vasta area della bassa Romagna, di cui hanno saputo essere poi un'autentica specialità. Un tempo fra l'altro erano molto più comuni in cucina e al mercato di quanto non si creda. E che fossero un alimento fra i più graditi nei secoli scorsi, lo prova il fatto che Lucrezia Borgia, nel banchetto in onore del grande condottiero Prospero Colonna (tenutosi nel palazzo di Ludovico il Moro nel 1513), ebbe grande successo presentando il risotto condito con le coscette di rana. Origini antiche, dunque, ma sempre minor fortuna ai nostri giorni per questo anfibio, al quale dà grande spazio nella sua opera anche Pellegrino Artusi: le ricette sono appena tre, ma oltre una pagina è dedicata alla descrizione dell'animale e alla sua valenza gastronomica. Anche l'illustre forlimpopolese (abitante di Forlimpopoli) ricorda l'utilizzo del brodo di rane (fatto unicamente bollendole in acqua) per gli infermi e gli affetti in specie da infiammazioni alle vie respiratorie.

 Ben più di alchimistico sapeva l'usanza della medicina popolare, secondo cui chi era ammalato di erisipela (un'infezione della pelle, che provoca chiazze rosse migranti) doveva appoggiare sulla parte infetta un sacchettino pieno di rospi: questi ne avrebbero assorbito l'umore maligno, lìberandone il sofferente e morendone loro. Come si catturano le rane? I vecchi ranocchiai ravennati insegnano: o col lume a carburo (la rana illuminata nel buio resta immobilizzata e la si prende con la mano senza alcuno sforzo) o con la canna. In questo secondo caso occorre però un'esca particolare: due pezzetti di lumaca distanziati di qualche centimetro. La pesca (o caccia?) era così prolifica, che le rane venivano vendute a dozzine, tutte in fila infilzate con gli steli della "broja", una tipica erba selvatica. Oggi come detto se ne trovano sempre meno, ma in compenso sui nostri mercati ne arrivano d'esportazione, soprattutto dalla ex Jugoslavia. Come sanno i ranocchiari però (che non le pescavano neppure con l'ancorina fatta coi tre ami, perchè altrimenti le ferivano e queste "prendevano la febbre", cioè non erano più buone), le rane devono essere catturate con la giusta tecnica e consumate fresche, altrimenti perdono gran parte del loro valore. E torniamo cosÌ, in conclusione, alle rane come cibo. Vengono cucinate solitamente fritte (è questo un piatto tipico di Conselice, paesotto della bassa Romagna circondato da valli, il quale dedica una sagra annuale alla rana), ben passate prima nell'uovo ed infarinate. Proprio perchè i gusti sono mutati, si tende ad usare ora solo le zampe (coscette); rappresentano uno sfizioso secondo, magari da consumare subito dopo averne gustato la zuppa. Vi consiglio di gustarle se vi capita di passare dalla Romagna.
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