Tirumalicaiyàlvàr adotta un gergo quasi identico a quello della mistica occidentale: « Investighiamo, e la risposta sarà che Dio è uno solo. Nessuno può conoscere la sua grandezza ... Per chi pratica l'ascesi, quale che sia, il frutto è la grazia accanto al Signore armato del disco ». Mercé la grazia divina lo schiavo di Dio si tramuta, come un cibo amarognolo in curry. Kulacèkaran invece fissa lo sguardo sugli innamorati di Dio e ne assorbe lo stato d'incantamento:
Tirumankaiyàlvàr si china su un insettino:«I servitori sono storditi d'amore per il Sire di Arankarn, nostro Signore, e si levano, danzano, cantano, vagano ammaliati da Lui, che ha occhi di loto e il petto, enorme come montagna, inghirlandato dal tulay profumato in cui frugano le api ... Della loro beatitudine si è incantato il mio cuore. Schiavi del Sire di Arankam, Padre, mio Signore, i· devoti si prostrano, cantano, danzano estatici, vengono meno, restano immoti, sono prostrati, languiscono, rabbrividiscono, piangono lacrime copiose . e pazzo è chiunque sia diverso da loro. Tirumankaiyàlvàr indugia sul motivo della vita trascorsa nella libidine e nella stoltezza e quindi celebra l'incontro redentore: «In questo corpo di carne, fatto di terra, acqua, fuoco, aria e cielo corso da nubi, piangevo, languivo, mi sfinivo. Ma sono venuto a rifugiarmi presso di Te, o Signore del Vénkatam colmo di profumi, dai picchi così elevati che riempiono il cielo »;
Oppure si accosta a uccelli:«O minuscolo calabrone striato e maculato, che ad ali spiegate, inseparabile dalla tua compagna, calpesti i fiori e ti cibi del loro nettare quando si schiudono! Di' la mia condizione al Signore armato di arco crudele e di freccia che sta ad Ali, città dei famosi brahmani che coltivano i Veda mentre i fuochi sacri divampano! ».
Namrnàlvàr infine è il poeta più speculativo:«Venera, o mente mia, il Manimàtakkòyil di Nànkùr, dove sui cornicioni degli splendenti palazzi, dai pinnacoli alti fino al cielo, i colombi dalle robuste zampe simili a colonne di corallo si uniscono alle morbide compagne: è il luogo del Signore che un tempo, perché cessasse la ferocia immane del coccodrillo nel lago delle antiche acque e si salvasse l'elefante dai rossi occhi, raggiunto il luogo dove tremava, gli porse aiuto, liberandolo dalla sofferenza ».
« Sradicate totalmente da voi i concetti di io e mio, unitevi al Signore. Per lo spirito non c'è soddisfazione paragonabile! ... Esente da attaccamento, il Signore esiste in ogni cosa: sii anche tu libero da attaccamento, sottomettiti interamente a Lui! ... Pensiero, parola, azione: rifletti su questi tre, annullali e rinchiuditi nel Signore! ».
Anche lui cerca insettucci e volatili intermediari:
« Il vento freddo mi dilania come se aghi mi trafiggessero le ossa. O pappagallino intento a rosicchiare un osso, rivolgi una sola schietta parola a Tirurnàl ».Se ci si allontana Dio è lontano, se ci si avvicina è vicino, osserva il poeta e lancia il grido finale di ogni bhakta:
«Lasciate da parte dignità e vergogna, liberatevi dall'ignoranza e parlate come forsennati, saltate su, danzate, col cuore che si strugge, e configgetevi nella mente solo questo: il capo degli dèi, Mal dai rossi occhi, il Signore colar zaffiro, causa prima dell'universo, è l'agire e il frutto dell'azione ».Gli alvar insegnano che, avendo il cuore colmo di anpu, (tamil per bhakti, che significa inoltre, secondo il dizionario etimologico dravidico di Burrow ed Emeneau, «amore, attaccamento, amicizia, benevolenza, pietà »), fiottano lacrime dagli occhi, il nome del Signore affiora alle labbra e si giunge alla liberazione: non si agogna più al risultato delle buone azioni e non si freme più per i peccati, tutto dilegua quando si sia sommersi nel Signore.