12/06/14

IL GIOIELLO DELLA REGOLA

IL GIOIELLO DELLA REGOLA 
ALLA COMUNITÀ DELL 'ARCA 
di Lanza del Vasto 
Lanza del Vasto, fondatore della Comunità dell'Arca in Francia e continuatore dell'opera di Gandhi in Occidente, con questo scritto smonta e stravolge la teoria della pena. Il concetto della corresponsabilità della Giustizia e la convinzione di non dover "infliggere" la pena, ma piuttosto, di "assumerla" su di sé, sono gli originali punti che costituiscono il sovvertimento dell'agire della Giustizia ufficiale. I criteri esposti in questo articolo sembrano frammenti di utopia ma, alla Comunità dell'Arca, costituiscono una Regola che quotidianamente trova applicazione. 
  • Assumere la responsabilità delle nostre azioni, riconoscere i nostri torti, ripagare i nostri misfatti, correggercene da noi, sotto il controllo dei nostri compagni se il misfatto è conosciuto, in segreto se siamo soli a conoscerlo. 
  • Assumerei la corresponsabilità della giustizia dell'Ordine, ripagare l'errore del nostro compagno se rifiuta di riconoscerlo e di correggersene. 

Noi abbiamo fatto voto "di assumere la responsabilità delle nostre azioni" ... questo significa che, un bel giorno, abbiamo preso la decisione di essere uomini liberi. 
I filosofi si dilettano di discutere sulla libertà umana, gli uni affermandola in assoluto, gli altri negandola, come se per gli uni tutta la specie si trovasse esente da determinazioni esterne, come se per gli altri le azioni di qualsiasi uomo non potessero essere altro che il risultato delle pressioni e degli urti subiti.
 È libero l'uomo che si sviluppa secondo la sua propria legge, e inserisce la sua azione nell'armonia del tutto. Ma chi si lascia andare alle sue inclinazioni non è più libero della pietra che cade e dell' acqua che scorre chi si presta agli incitamenti, eccitazioni, agitazioni, sollecitazioni del mondo non è più libero dell' onda spinta dal vento. "Chiunque si abbandona al peccato è schiavo del peccato" (Gv 8, 34) e l'ignorante è prigioniero delle tenebre. 
Per liberarsi occorre dunque, uscendo dal gregge comune, seguire la propria strada, e per questo conoscerla, cioè conoscere se stesso: "Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 32). 
Conoscersi significa unificarsi nello spirito, e anche nel tempo. L'azione allora risponde alle convinzioni e concezioni, e l'uomo diventa responsabile delle sue azioni e delle conseguenze logiche delle sue azioni. 
La parola responsabile è della stessa famiglia della parola spontanea che designa "quello che sgorga da fonte interiore", della stessa famiglia della parola sposa, colei il cui amore sgorga dal di dentro e che risponde allo sposo e gli corrisponde. La libertà è la nobiltà della vita spirituale inaccessibile e perfino incomprensibile a chi vive e ragiona secondo il mondo, e la responsabilità è il dovere, il peso, il prezzo di quest' onore. 
Assumere la responsabilità delle proprie, azioni, vuol dire collegare il di fuori col di dentro e il presente col passato. E l'effetto del lavoro su se stessi ed è già un lavoro su se stesso, lavoro di unificazione e di risveglio della coscienza che non può limitarsi a qualche mezz'ora di esercizio mattutino, ma prosegue in tutte le ore della giornata, e congiuntamente a ogni altro lavoro. 
Va da sé che in più noi dobbiamo, per obbedienza, assumere le responsabilità che ci vengono date. 
Perché è uno dei metodi del nostro insegnamento di accordare, per un certo tempo, dei compiti, delle sorveglianze, dei comandi a un dato compagno o anche a un dato novizio, e poi a un altro, perché il punto sul quale aveva mostrato una certa indifferenza, una reticenza più o meno inconscia, s'imponga adesso alla sua attenzione e l'esperienza vinca il suo impedimento meglio dei rimproveri o delle esortazioni. 
La pratica della responsabilità è un buon rimedio a quello che la vita comunitaria comporta di abitudinario, di pecoresco, all'infantile passività che, sotto l'aspetto dell'umiltà fiduciosa, finisce col depositarsi sulle anime, e non è un pericolo minore di quello dell'orgoglio e delle rivolte, sebbene meno apparente. 
Com'è conciliabile la disciplina con la libertà? 
Questa domanda si pone da quando ci sono uomini e città. Per non averle saputo dare una corretta soluzione l'avvilimento della schiavitù si alterna con la ribellione e l'effusione di sangue, e in tutte le civiltà la Legge oppone alla malvagità degli uomini obblighi a volte insopportabili, minacce umilianti e atrocità senza fine. 
L'Ordine civile non può essere mantenuto senza il Potere costituito, questo potere è il potere di maneggiare le "Forze dell'Ordine", che hanno lo scopo di soggiogare tutti quanti, d'intimidire quelli che esitano, di abbattere i recalcitranti, di vendicare i delitti, cui si aggiunge quello di difendersi contro le potenze straniere mediante la guerra, e di aumentare se stesse grazi alle conquiste. 
Il "diritto di guerra e di giustizia" che è il privilegio del Potere inclina alla licenza di usare la violenza a piacimento. Nella pace come nella guerra, i delitti perpetrati dal Potere restano i soli impuniti, e, in tutti i regimi, superano in numero quelli dei privati. Il Potere offre il suo arbitrato ai privati nelle loro dispute che tronca secondo il diritto, ma nelle sue dispute con un altro potere non riconosce che il diritto del più forte e la legge della giungla. Esso reprime gli eccessi dei privati, ma nessuno può reprimere i suoi. Il Potere comporta il potere di abusare del potere. 
Le istituzioni democratiche hanno la funzione di sopprimere gli abusi del Potere di servirgli da controllo e da freno, ma hanno quasi inevitabilmente l'effetto d'introdurre la divisione in seno all'unità, il discredito delle persone dei capi, l'imbarazzo e il ritardo in ogni esecuzione. Ne risulta un potere diminuito, ma sussiste la possibilità di abusarne. 
Così dunque, in regime autocratico, il soggetto si trova privato di ogni responsabilità, mentre il Sovrano è responsabile solo davanti a Dio (verità sublime in apparenza, ma, di fatto, negativa); in democrazia, regna l'irresponsabilità generale. Il rimedio a tutto questo è di assumere la responsabilità delle nostre azioni invece di eluderla o di buttarla addosso agli altri e di esercitare l'autorità su di sé prima che sugli altri. 
Si ha. ancora più urgenza di buttare sugli altri la responsabilità quando si tratta di colpe. E per questo che il testo continua: " ...di riconoscere i nostri torti, di riparare i nostri misfatti, di correggercene da noi, sotto il controllo dei nostri compagni se il misfatto è conosciuto, in segreto se siamo soli a conoscerlo". 
Che non si lasci passare questo paragrafo senza rilevare la cruciale e tragica questione alla quale porta risposta. 
Quella della giustizia degli uomini, legame del crimine e della punizione. 
La punizione è un male che si oppone al male; è buona e salutare si dice perché purga, corregge, riscatta il colpevole; ma noi vediamo piuttosto che lo segna, l'avvilisce e a volte l'uccide. 
Sì, ma se è un male fare del male al cattivo, è tuttavia "il male minore" 
Come, minore poiché la pena deve essere uguale alla colpa! Diciamo piuttosto che s'aggiunge al male e lo raddoppia! 
E però il modo migliore per proteggere i buoni dalle imprese dei malvagi e assicurare il loro bene. 
È poi sicuro? No, e tanto meno quanto più il supplizio è spaventoso e pubblico. 
Sì, la Legge è dura, ma è la Legge. In questo basso mondo, bisogna accettarla come una necessità, - Questa necessità è del tutto artificiale e immaginaria. Gli uomini vi s'incatenano in ragione della paura e dell'accecamento. 
Davvero bisogna essere ciechi per non notare che mai la pena di morte applicata a un omicida ha reso la vita alla vittima dell'omicidio ma che vi aggiunge un nuovo omicidio. 
Tale è la logica del male reso per il male, la catena sanguinosa della violenza legittima (giustizia vendicativa e guerra giusta). 
E' compito speciale dei nonviolenti quello di rompere la catena della violenza legittima, ben più che quello di opporsi alla brutalità alla collera o alla crudeltà criminale fa capire perché non hanno mai per nemici i briganti e gli assassini (li incontrano nelle prigioni e fraternizzano), i loro nemici sono generalmente le persone oneste e le autorità costituite. Ma allora, la non violenza, lasciando libero il campo ai violenti non assicura forse il trionfo del suo contrario? Ricordiamoci la definizione della nonviolenza: "La forza della verità" "per fermare gli eccessi, per riparare i torti, per risolvere i conflitti" e ricordiamoci che è lotta contro il male e difesa della giustizia. ' Ma lotta contro il male mediante il bene e difesa della giustizia con le armi della giustizia.
E adesso, che cos'è dunque la giustizia non violenta? 
Gandhie
Lanza 
E' riparare il male opponendogli un bene, quanto possibile uguale e della medesima natura, un bene o un sacrificio.
Per quel che riguarda i delitti e le pene, è una giustizia esente da punizioni? 
No, ma punizioni esenti da violenza. 
Com'è possibile questo? 
Facendo penitenza invece di subire una punizione. 
La punizione è sempre più o meno violenta, perché dipende dal giudizio di un altro, e quest' altro, per superiore che sia, non può entrare né nei disegni di Dio né nei suoi moventi intimi. ("Non giudicate", dice il Vangelo). La nonviolenza è mettere il colpevole davanti al suo stesso giudizio e affidargli l'esecuzione della sentenza. 
La punizione è qualcosa che taglia. Se mi è applicata dal di fuori, mi taglia via dall'insieme dei miei simili. Ma se sono io ad applicarla a me stesso, mi separa solo dalla mia colpa, e così mi libera e mi vivifica. 
Così in questa casa non si mette al passo nessuno, né si mette al bando, non c'è sevizia per l'esempio, né rimprovero pubblico, eppure non ci deve essere né indulgenza, né compiacenza, né rilassatezza . 
Il Capo deve chieder conto della sua condotta a chi è in colpa (ed è capo chiunque "richiami all'obbedienza" in nome della Regola), deve invitarlo, esortarlo al rigore regolare. Ma non può mai né forzare né minacciare nessuno. 
E se il colpevole si ostina? 
Allora il capo deve assumersi la responsabilità di quella sua colpa, che è l'incapacità di farsi ascoltare. 
[alla prossima.....per il secondo articolo del voto]


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