19/05/14

E adesso pasta !

Complici i figli o la premura, a chi non è mai capitato di entrare in un fast food per mangiare un panino? Bastano pochi euro e si compra un sandwich di tre strati per due, allegramente farcito con un hamburger, sottilette di fontina arancione, foglie d'insalata, ketchup, salsette varie e chi più ne ha più ne metta. Servito con un rituale sbrigativo 

Vogliamo entrare poi nel merito del sapore? In barba a tutte le tradizioni gastronomiche nostrane e all'insegna dell'omologazione del gusto, un panino comprato in una di queste multinazionali della ristorazione veloce ha lo stesso sapore a Roma, come a Pechino, a Nairobi come a Puerto Escondido. Sarà forse anche questo uno dei motivi di tanto successo tra i giovani: probabilmente basterà loro solo un morso per sentirsi cittadini del mondo, non so.
E' il tempo che manca? Prima di ricorrere al fast food, prendiamo in considerazione l'idea di farei due spaghetti (o i paccheri, le mafalde, gli ziti napoletani) aglio, olio e peperoncino. E un buon caffè, espresso naturalmente perché, tra l'altro, contiene meno caffeina. Beh, certo, sarà forse tutto meno fast, ma sicuramente molto, molto più food!

Giacomo Leopardi, di passaggio a Napoli, definì l'abitudine locale di mangiar spesso pasta «manife- sto di stupidità». Filippo Tommaso Marinetti, futurista, decretò che la pasta era «un simbolo passatista di pesantezza e tronfiezza pasciuta». Voci stonate. E poco lungimiranti, perché non solo gli italiani continuano a godersi con somma soddisfazione fumanti piatti di spaghetti, ma questo manifesto gastronomico della penisola è riuscito, negli ultimi anni, a conquistare praticamente tutto il mondo. Le leggende sull'antica origine della pasta sono numerose: dai cinesi agli etruschi, dai romani agli arabi, tutti si attribuiscono il merito dell'invenzione.

Psta di semola
Una cosa, però, è certa: la pasta «vera», quella di grano duro, ha trovato a Napoli la sua consacrazione in un'epoca neppure tanto lontana. Il matrimonio fra il pomodoro (giunto in Europa dopo la scoperta dell'America e considerato commestibile solo a partire dal Settecento) e gli spaghetti fu celebrato sotto il Vesuvio. Dopo, l'inventiva italica nel condire la pasta non ha avuto eguali. Originariamente cibo per poveri, gli spaghetti, che allora nei «bassi» si mangiavano con le mani, arrivarono a corte con Ferdinando IV di Borbone re di Napoli. Il sovrano, ovviamente, non poteva imitare i suoi popolani: doveva servirsi della forchetta per questioni di etichetta.

Ma le forchette di quei tempi possedevano solo tre rebbi e gli spaghetti sfuggivano inesorabilmente. Ordinò dunque a un ciambellano-scienziato di grande ingegno, Gennaro Spadaccini, di risolvere il problema: questi portò da tre a quattro il numero dei rebbi e gli spaghetti non scivolarono più. Ma Napoli ha pure il merito di aver inventato la pasta «industriale». Qui infatti nell'Ottocento cominciano l'attività, con torchi e macchinari da loro perfezionati, pastai che distribuiscono il loro ottimo prodotto in tutta Italia e anche oltre: non solo spaghetti e maccheroni ma una miriade di formati diversi: bucatini, ziti, vermicelli, mafalde, linguine, penne, conchiglie, rigatoni, paccheri ...

lavorazione industriale della pasta
Oggi una nota industria partenopea ha in catalogo oltre cento diversi formati. La qualità della pasta dipende dall'esperienza di chi la produce oltre che dalla materia prima, la semola di grano duro e non altro; e da un ambiente che le permetta di essiccare nelle migliori condizioni: in ambiente secco e ventilato come quello di Napoli. Sono sempre i napoletani, poi, che hanno insegnato a tutti a cuocere la pasta «al dente», rendendola così più digeribile.
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