Ed eccoci con un nuovo
adagio, che però è caduto in disuso, forse anche perchè non si ha memoria del fatto storico. Perciò ho ritenuto opportuno riproporlo e far sì che possa in caso di necessità essere usato da noi tutti nell'ambito di una bella conversazione.
Andare a Canossa, chiedere umilmente
perdono, sottometersi nel modo più incondizionato. Il castello di
Canossa, nei pressi di Reggio Emilia, all'epoca delle lotte per le investiture, fu teatro dell'umiliazione di
Enrico IV, re di Germania, poi imperatore, davanti a papa
Gregorio VII, che lo aveva scomunicato.
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Andare a Canossa |
Prima di essere ammesso alla presenza del pontefice, il re dovette attendere tre giorni, poi ottenere il perdono per intercessione della padrona di casa, la
contessa Matilde. Cinque anni dopo, nel 1081, il re si vendicò togliendo alla contessa tutti i suoi diritti e gran parte dei beni. La frase
Andare a Canossa venne usata per la prima volta da
Emilio Castelar, presidente della Repubblica di
Spagna verso la fine dell'Ottocento, stando a quanto asseriva lo stesso presidente.
Castelar doveva provvedere ad alcuni
vescovadi vacanti, per cui si mise d'accordo con il papa circa le nomine.
Bismarck, che non condivideva l'atteggiamento di Castelar, gli indirizzò una
lettera di rimprovero, cui il presidente spagnolo rispose che il suo comportamento era determinato dal fatto che lui doveva tener conto, nelle sue scelte, della religione dominante nella sua nazione, e concludeva: Anche voi andrete a Canossa. Va fatto rilevare però, che Castelar ricoprì la sua carica dal 9 Settembre 1874, mentre molto tempo prima, Bismarck, all'epoca del conflitto tra il Secondo Reich e la Chiesa cattolica, ebbe a dire, per esprimere il suo pensiero:
Nach Canossa gehen wir nicht! (Noi non andremo a Canossa).