Il-Trafiletto
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30/09/14

"Mi sono inventato il rapimento di mio figlio" il padre distratto

Si era distratto mentre il suo bambino di tre anni si allontanava perdendosi tra la folla della fiera domenicale nlla cittadina torinese e per giustificarsi il papà ha inventato un "rapimento".


Ha confessato: " Mi sono inventato tutto - dice Alex Giarrizzo, che domenica pomeriggio ha denunciato il tentativo di rapimento di suo figlio a Borgaro Torinese nel corso della tradizionale Fiera dei santi Cosma e Damiano- avevo perso di vista mio figlio di tre anni e per questo mi sono inventato la storia del rapimento". Aveva raccontato che un uomo gli stava portando via il bambino dal passeggino approfittando di un suo attimo di distrazione; ma con il suo pronto intervento lo aveva messo in fuga dopo avergli dato un pugno e essersi ripreso il bambino, mentre il rapitore fuggiva su di una vettura grigia di cui non è riuscito a leggere la targa.

Ma i filmati delle telecamere di sicurezza in via Santa Cristina hanno smentito il suo racconto
Il fatto, come era stato riferito ai carabinieri di Caselle, non ha trovato riscontri nelle registrazioni. Così, risentito dai militari, in serata ha ammesso la sua menzogna. Anche il riferimento a un altro bambino che due "rapitori" avrebbero provato a prendere era stato inventato.

Queste vicende infiammano l'intolleranza nei confronti dei rom, infatti un fatto analogo accaduto due anni fa alla Continassa, nei pressi dello stadio della Juventus,  una ragazzina, per giustificare una fuga con il giovane fidanzato, aveva raccontato di essere stata stuprata da un gruppo di rom, scatenado l'intolleranza da parte degli abitanti della zona che assalirono il campo rom.


27/03/14

"Gocce" di notizie: La procura di Roma vuole la verità sul rapimento Moro?

Sara' convocato presto dalla procura di Roma l'ex ispettore di polizia Enrico Rossi che ha raccontato alla stampa di essere stato ostacolato nel tentativo di individuare l'identita' delle due persone, forse dei Servizi Segreti, presenti a bordo di una moto Honda la mattina del 16 marzo del '78, quando le Brigate Rosse eliminarono in via Fani la scorta di Aldo Moro e sequestrarono l'allora presidente Dc. Rossi ha spiegato di aver avviato i primi accertamenti nel 2009 quando a un quotidiano torinese venne recapitato uno documento scritto dall'uomo che sulla moto era seduto dietro e che fu divulgato sei mesi dopo la sua morte. 
ex ispettore di polizia Enrico Rossi
 L'anonimo, che diceva di essere malato terminale di cancro, riferiva in quel documento che la mattina della strage era in via Fani alle dipendenze del colonnello del Sismi Camillo Guglielmi e che a guidare la moto c'era un altro uomo proveniente, come lui, da Torino. La procura del capoluogo piemontese, nel 2010, compie senza esito alcuni accertamenti e poi, nell'estate del 2012, trasmette la documentazione a Roma, dove viene aperto un procedimento come 'atti relativi', cioe' senza indagati e senza ipotesi di reato, anche se solitamente gli anonimi vengono cestinati. Anche nella capitale vengono svolte alcune verifiche che non riescono a chiarire il giallo. Si scopre, in sostanza, che a guidare l'Honda non era un soggetto legato ai Servizi. L'abitazione di questo uomo fu anche perquisita e gli investigatori trovarono due pistole calibro 22 regolarmente denunciate. Ma nulla che potesse avvalorare il sospetto di un aiuto prestato dagli 007 ai brigatisti. Ora, alla luce delle dichiarazioni rese dall'ex ispettore di polizia, la procura tornera' a rileggere gli atti scaturiti da quel vecchio anonimo anche se l'impresa appare ardua: i due che erano sull'Honda sono ormai deceduti, cosi' come e' morto anche il colonnello Guglielmi.        fonte(AGI)

24/03/14

Svelato un pezzo del "segreto di pulcinella" del rapimento Moro

"Erano in due su quella Honda blu quel giorno in via Fani. L'uomo che era sul sellino posteriore scrive una lettera anonima e denuncia che dipendevano dal colonnello del Sismi che era lì in via Fani.
Erano li per proteggere le Br da ogni disturbo".
Enrico Rossi, ispettore di polizia in pensione, racconta così all'ANSA la sua inchiesta.

L'ex ispettore Enrico Rossi (ansa)
La lettera, racconta Rossi, iniziava così: "Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Camillo Guglielmi (l'ufficiale del Sismi che si trovava in via Fani all'ora della strage, ndr), con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente...".
L'anonimo fornì anche concreti elementi per rintracciare il guidatore della Honda. "Tanto io posso dire, sta a voi decidere se saperne di più". Il quotidiano all'epoca passò alla questura la lettera per i dovuti riscontri. A Rossi, che ha sempre lavorato nell'antiterrorismo, la lettera arriva sul tavolo nel febbraio 2011 "in modo casuale: non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani". Sarebbe lui l'uomo che secondo uno dei testimoni più accreditati di via Fani - l'ingegner Marini - assomigliava nella fisionomia del volto ad Eduardo De Filippo. L'altro, il presunto autore della lettera, era dietro, con un sottocasco scuro sul volto, armato con una piccola mitraglietta. Sparò ad altezza d'uomo verso l'ingegner Marini che stava "entrando" con il suo motorino sulla scena dell'azione.

"Chiedo di andare avanti negli accertamenti - aggiunge Rossi - chiedo gli elenchi di Gladio, ufficiali e non, ma la "pratica" rimane ferma per diversi tempo. Alla fine opto per un semplice accertamento amministrativo: l'uomo ha due pistole regolarmente dichiarate. Vado nella casa in cui vive con la moglie ma si è separato. Non vive più lì. Trovo una delle due pistole, una beretta, e alla fine, in cantina poggiata o vicino ad una copia cellofanata della edizione straordinaria de La Repubblica del 16 marzo con il titolo 'Moro rapito dalle Brigate Rosse', l'altra arma". E' una Drulov cecoslovacca, una pistola da specialisti a canna molto lunga che può anche essere scambiata a vista da chi non se ne intende per una piccola mitragliatrice.

Rossi insiste: vuole interrogare l'uomo che ora vive in Toscana con un'altra donna ma non può farlo. "Chiedo di far periziare le due pistole ma ciò non accade". Ci sono tensioni e alla fine l'ispettore, a 56 anni, lascia. Va in pensione, convinto che si sia persa "una grande occasione perchè c'era un collegamento oggettivo che doveva essere scandagliato". Poche settimane dopo una "voce amica" gli fa sapere che l'uomo della moto è morto e che le pistole sono state distrutte. Rossi attende molti mesi- dall'agosto 2012 - prima di parlare, poi decide di farlo, "per il semplice rispetto che si deve ai morti".
 Per saperne di più                                                                                                    fonte (R.it)
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