I PRIMI ALCHIMISTI OCCIDENTALI
Si può presumere l'esistenza degli alchimisti solo nel caso in cui essi stessi abbiano deciso di rivelare la loro presenza mediante degli scritti. I più antichi testi conosciuti di alchimia datano al III secolo a.C., perciò, secondo alcuni autorevoli studiosi, non si può determinare con precisione il numero di alchimisti esistenti prima di questa data, né quando si cominciò a registrare l'esistenza della disciplina; molto pochi sono i testi a nostra disposizione finché non si giunge a quello che è considerato il periodo della prima fioritura dell'alchimia in Occidente, cioè il periodo compreso fra i secoli IV e VII d.C. Per quanto gli alchimisti stessi abbiano sempre vantato un'ascendenza illustre della propria arte, che facevano risalire a Platone, a Mosè e addirittura al dio Ermes, questo non aiuta certo a stabilirne la data di origine.
Alla radice di tali affermazioni stava una concezione filosofica in base alla quale l'uomo in passato sarebbe stato in pieno possesso di tutta la sapienza e con il passare del tempo avrebbe gradualmente dimenticato gli antichi segreti, preservati nella loro purezza nel corso dei secoli solo da alcuni veri iniziati. Era dunque una pratica comune fra gli scrittori stabilire il nobile lignaggio dei loro scritti, attribuendo i propri insegnamenti a maestri di età precedenti, o sostenendo di discendere direttamente dagli originali protettori mitici o divini di quell'arte. In questo modo cercavano di conferire una patente di credibilità e un attestato di valore alle proprie parole, non certo di sminuirle.
Tutto ciò non è sicuramente di aiuto per lo storico, che vede i primordi dell'alchimia avvolti da una fitta cortina di nebbia. Il primo testo alchimistico noto e riconosciuto come tale è probabilmente quello di Bolo di Mendes, autore di un libro intitolato Phssika. Il testo trattava una grande varietà di arti alchimistiche e non, quali la fabbricazione di oro, argento, gemme e la produzione della tintura di porpora. Bolo cercò di attribuire la sua opera al filosofo Democrito, padre della teoria degli atomi, vissuto nel V sec. a.C. Gli scritti di Bolo possono probabilmente essere datati al 250 a.C., ma alcuni studiosi di valore li considerano un prodotto del I o del II sec. d.C. Vi sono poi altri testi, noti come Papiri di Leida e di Stoccolma, che però, pur se fatti passare come alchemici, non paiono essere altro che raccolte di ricette per la produzione di oro e argento falsi e per la colorazione e la lega dei metalli.
Una ricetta comincia in questo modo: «Per dare agli oggetti di rame il colore e l'aspetto dell'oro, così che né al tatto né lo sfregamento con una pietra di paragone possano provarlo ...». Questi testi ci portano ai primi anni dell'era attuale e all'acme della cultura alessandrina, in cui l'alchimia fu assai fiorente. Fu I'imperatore Alessandro a fondare la città di Alessandria sulla costa settentrionale dell'Egitto nel IV sec. a.C.; essa divenne ben presto un centro di grande influenza nel campo della filosofia, della matematica, dell'astrologia, della scienza e della medicina, anzi, a dire il vero, di ogni branca del sapere allora in uso. Era una città etnicamente assai eterogenea, in cui abitavano Greci, Ebrei, Egizi, Siriani, Persiani e cristiani.
L'incontro di culture ricche e vivaci in tempo di guerra e in tempo di pace conduce generalmente ad una grande fioritura di idee; l'unione della cultura araba e di quella europea all'epoca delle Crociate ne è un esempio. Ad Alessandria la prova cristallizzata di questo contatto è costituita dalla fondazione di scuole di sapere e dalla fondazione della grande biblioteca alessandrina. Vi giungevano' eruditi da ogni parte del mondo abitato per studiare i testi antichi e contemporanei in essa contenuti, rappresentanti dell'intera gamma di sapere delle civiltà classica ed egizia. Se questa biblioteca non fosse andata distrutta più tardi durante le invasioni arabe, la nostra co.noscenza del mondo antico sarebbe infinitamente più grande dì quella attuale. Un altro nome di spicco di questo primo periodo dell'alchimia alessandrina è quello di Maria l'Ebrea, che è citata con rispetto da altri alchimisti dell'epoca e visse intorno al 100.d.C.
Sembra si sia trattato di una donna dotata di grande ìnventiva e spirito di sperimentazione, che utilizzò le attrezzature alchimistiche dell'epoca. Da lei prende il nome il bagnomaria, cioè quel procedimento di cottura che consente di bollire in modo più delicato ed è tuttora adoperato in cucina. Alcuni testi dello stesso periodo vengono ascritti a Cleopatra; mentre alcuni storici tentano di vedere in questo personaggio la famosa regina, che verrebbe così elevata al rango di sacerdotessa dell'alchimia, Jack Lindsay è invece dell'opinione che le opere siano origini della scuola di un'altra Cleopatra, un'alchimista dell'epoca i cui insegnamenti vennero perpetuati dai suoi .discepoli. Gli scritti in questione sono il dialogo di Cleopatra con i filosofi e la fabbricazione dell'oro di Cteopatra: Il primo contiene una descrizione precisa del processo alchemico:
|"Prendi dai quattro elementi l'arsenico, che è il più alto e il più basso il bianco e il rosso, il maschio e la femmina, in giusta proporzione, così che possano congiungersi l'uno all'altro. Come l'uccello cova le uova con il suo calore e le porta fino al momento giusto per loro prefissato, così voi pure riscaldate la vostra composizione e portatela al punto fissato. Quando l'avrete fatta nascere le avrete fatto bere le Divine Acque del Sole e in luoghi riscaldati, fatela cuocere a fiamma dolce con il latte di una vergine, evitando che si formi del fumo. Poi rinchiudete gli ingredienti nell'Ade e portate attentamente ad ebollizione finché ilpreparato si addensa. e rifugge dal fuoco. Poi levatelo dal fuoco, e quando l'anima e lo spinto si riunificano e diventano una cosa sola, proiettatelo sul corpo dell'argento ne avrete tanto oro quanto non ne contengono neppure i tesori del re".