15/09/14

Nei Veda la si scorge nei versi dedicati al kàma, la spinta del desiderio | LE TRE VIE

....E proprio le risorse della bhakti potrebbero congiungere, oggi come ai tempi di Akbar, indù, giaina, buddhisti e islamici avvinti al sufismo.[Qui]

"BHAKTI" SI MUTA IN TANTRA

Esiste anche una bhakti sivaita. Nei Veda la si scorge nei versi dedicati al kàma, la spinta del desiderio, dalla cui stessa radice indoeuropea qà- derivano il latino carus e l'inglese tohore, "puttana". L'Inno della Creazione (Rgveda, X, 129,4) pone all'origine o, meglio si direbbe, all'essenza dell'essere (agre), un'unità senza attributi o una qualità oggettiva (ekam o tat): quell'Uno che, dice l'inno, era fondato su se stesso e respirava senza fiato, in quanto puramente potenziale. Fu generato dalla potenza (sakti)del tapas, che Coomaraswamy traduceva «intensificazione ». L'unità fu il risultato di un'implosione, di uno scatto centripeto, analogo sul piano cosmico all'atto di intensificazione dell'asceta, che può suscitare un calore violento. Secondo Winternitz questo intensificarsi sarebbe doloroso; meglio diceva Bhattacarya, che si dovesse intendere come semplice ideazione.

Eliade mise tapas in rapporto col tedesco Wut, il latino furor, l'antico irlandese jerg, il greco uévoç che Dumézil considerava equivalente al vedico manyù, il rapimento supremo, sia psichico che intellettivo, di poeti, maghi, guerrieri, amanti, artefici trascinati dall'ispirazione. Tapas è il mezzo per conseguire il manyu e coincide con la padronanza sciamanica del fuoco. Dice il Rgveda che il kàma « coprì l'unità come un flutto» (sama vartatàdhi: X, 1,29,4). L'universo molteplice si manifesta come esplosione centrifuga, opposta all'implosione che aveva generato l'uno con uno scatto centripeto. Ciò che è primo nella cosmologia diventa secondo nell'esperienza umana: l'uomo dapprima avverte i desideri centrifughi e quindi li coarta mediante il tapas centripeto. Il kàma cosmogonico produce il mondo che conosciamo, scisso, bisessuale, in cui forze attive e seminali (retodha) s'infrangono su forze passive e alimentanti (mahimana). La coscienza o mente sarebbe dunque un riflesso del kàma? Maryla Falk ritiene vero il contrario.

Kàma fu personificato come il dio Kàrna (Atharoaveda, IX, 1-25; Rgueda, X, l, 29, 4), autogenito (atmabhu), espresso dal proprio grembo (atmayoni), nato dalla coscienza (manobhià; è lui che suscita rimembranza (smara) ed ebbrezza (rnadana). Monta un pappagallo il cui becco fende i frutti, rendendoli più saporosi. La sua arma è una canna da zucchero attorno a cui si avvolge una corda di api in fila fittissima che scocca cinque fiori, ovvero i cinque sensi. Egli è tutt'uno con il Fuoco. Sorge, secondo il VisnuPuràna, dal cuore del creatore Brahrnà, mentre il Mahàbharata (1,2596) lo chiama figlio di Dharma o Natura e della Fede, Sraddha. Sposa Priti, Gioia, ma anche Rati, la ninfa che è il formicolio del desiderio, il rampollare di mille inganni; con questa procrea Sete, Trsnà. I Purana dicono che Kàma fu chiamato a salvare il mondo quando Siva s'immerse nel tapas. Colpito dalla freccia di Kàrna, Siva tornò ad accoppiarsi con Pàrvatì, ma il suo terzo occhio incenerì Kàma.

Rati calmerà Siva e Kàma risorgerà come brezza senza corpo o come Pradyumna, incarnazione di Visnu, personificazione della mente. Fuori di questa mitologia, la filosofia sivaita dirà che l'impulso del desiderio (karnakara) prodotto dalla natura suscita una vibrazione che genera il suono (nada), raffigurato nel punto dove Siva e la sua parte femminile si unificano nella totalità della potenza, dalla quale scatta il triangolo che origina lo spazio (mùlatrikona) . Siva, il Signore, Isvara, corrisponde allo zero, matrice di positivo e negativo, coincidenza di contrari. E anche una dinamica unità di opposti, un processo di incessante trascendimento di se stesso. Siva è « Quell'Uno» dell'inno cosmogonico vedico personificato e perciò comprende Kàma, come il Dioniso dei Minoici include il Desiderio.

Le Sakta Upanisad della fine dell'VIII secolo affermano che, essendone consapevoli, si diventa Siva. Siva è androgino e la parte femminile che lo potenzia è nota come Durgà l'infuocata, propizia agli yogin; Pàrvati, figlia dello Himalaya, essenza della natura; Urna, generatrice della vegetazione alla stagione delle piogge; Kurnàri, la Fanciulla; Kàli, da cui ogni vita promana e in cui è quindi riassorbita, che appare nuda perché di qua dalla maya, emaciata perché connessa a tutto ciò che sia funebre, nera perché ogni colore in lei si annulla, e balla eternamente sul cadavere dello Siva anteriore alla manifestazione; infine Candi la Furibonda.

Sono via via l'Inaccessibile, la Montana, la Propizia, la Vergine, l'Oscura, la Selvaggia. Ma esiste anche Bhavàni, «Colei che largisce la vita». Il Markarpjeya Purana, il cui nucleo sembra essere del III secolo, si ostina a ribadire l'ambiguità della Dea che è conoscenza e inganno, memoria sconfinata e confusione assoluta. Ci fu anche un culto delle sette Madri, le sei spose degli dèi maggiori più Càrnundà l'Orribile; danzano in tondo attorno a Siva ed egli ne proietta la furia sui demoni nefasti.

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