Nel 41 Seneca fu colpito da una nuova sventura, quando Giulia Livilla, figlia minore di Germanico e sorella di Agrippina e di Caligola, dopo essere stata esiliata dal fratello, di cui si diceva fosse l'amante, e richiamata a Roma dal nuovo imperatore Claudio, venne nuovamente esiliata e poi messa a morte per istigazione di Messalina, moglie di Claudio. L'accusa di adulterio, sotto la quale si mascheravano motivi politici, coinvolse anche u filosofo, ritenuto un amante di Livilla.
Seneca fu condannato alla relegazione in Corsica, una pena più mite della deportazione perché non privava il condannato dei diritti civili, ma solo di una parte dei suoi beni. L'esilio in Corsica, durato circa sette anni, segnò un periodo di maturazione interiore di Seneca, con un affinamento delle sue capacità di introspezione. In questo periodo si datano diversi scritti, fra cui uno consolatorio diretto alla madre Elvia, il De Providentia e il De constantia nonché un altro opuscolo consolatorio indirizzato a Polibio, il potente liberto di Claudio, per indurlo a perorare presso l'imperatore il suo rientro a Roma. Alcuni critici ravvisano in questo scritto un atto di profonda adulazione verso l'imperatore e lo annoverano tra le sconfitte morali di Seneca.
Certo, fu un atto di debolezza, ma per valutarIo sotto una giusta luce bisogna considerare ciò che rappresentava per un antico romano di alto rango la condanna all'esilio, cioè l'esclusione da ogni attività pubblica, dalla cerchia di amici colti e il soggiorno in un paese per lo più selvaggio e ostile. «La morte è di un secondo, l'esilio di una vita.» D'altra parte Polibio era addetto alle petizioni e il rivolgersi a lui in terInini aulici era nelle consuetudini del tempo. Vorrei però aggiungere che, a mio avviso, Seneca espresse con questo scritto una sorta di atto di contrizione, perché, come è molto probabile, egli non dovette essere del tutto estraneo alla vicenda di Giulia Livilla.
Comunque il filosofo non poté tornare a Roma finché visse Messalina. Orbene, Messalina, accusata da Claudio di avere partecipato a una congiura per detronizzarlo, fu uccisa dalliberto Narciso. Claudio sposò Agrippina Minore (così chiamata per distinguerla da Agrippina Maggiore, moglie di Germanico e madre di Caligola), già moglie di Domizio Enobarbo e successivamente di Passieno Crispo. li figlio di Agrippina è Lucio Domizio che nel 50, all' età di tredici anni, doveva essere adottato da Claudio con il nome di Claudio Nerone. Nel 49 Agrippina ottenne dall'imperatore il richiamo di Seneca dalla Corsica, perseguendo un suo ambizioso disegno: affidare al filosofo, ora insignito della dignità di pretore, l'educazione del figlio giovinetto e acquisire così attraverso il prestigio di Seneca una base di sostegno fra i senatori in vista della successione di Nerone al trono dei Cesari con l'esclusione di Britannico, figlio di Claudio e di Messalina.
Seneca non poté fare a meno di accettare l'incarico, che, in fin dei conti, gli era stato offerto dalla sua liberatrice, e affiancato da Afranio Burro, prefetto del pretorio, si dedicò all'educazione di Nerone adolescente infondendogli i principi della filosofia stoica, in particolare quelli della misura e della clemenza. Nel 54 anche Claudio moriva per una pozione di veleno propinatogli, come si suppone, da Agrippina. TI12-13 ottobre di questo stesso anno Nerone fu proclamato imperatore dai pretoriani con il nome ufficiale di Nerone Claudio Cesare. Ebbe così inizio per Seneca il periodo più splendido e insieme più contraddittorio della sua vita di uomo politico e di filosofo, un periodo segnato da mirabili conquiste sul piano del magistero etico e letterario, ma anche da momenti di cupa condiscendenza al potere sulla linea di un machiavellismo ante litteram che ci sconcerta.
Già l'anno prima, nel 53, non mosse un dito, se non fu addirittura complice del delitto, per salvare la vita a Lollia Paolina e a Domizia Lepida, zia dell'imperatore. In ogni modo, i primi anni di governo di Nerone, il cui principato durò fino al 68, furono caratterizzati, sotto la guida di Seneca e di Burro, che in pratica dirigevano gli affari politici dell'Impero, da un'atmosfera di tranquillità, da una serie di opportuni provvedimenti in favore dei ceti meno abbienti e da un certo equilibrio nella spartizione del potere fra il Senato e il principe. L'atteggiamento politicamente ambiguo di Seneca emerse nuovamente in occasione delle onoranze funebri per il defunto Claudio, quando il nuovo imperatore lesse, secondo le consuetudini, l'elogio funebre scritto da Seneca e pieno di lodi sperticate per l'intelligenza di Claudio che invece molti avevano ritenuto un imbecille.
Infatti Seneca aveva probabilmente già composto e reso nota, almeno in parte, una specie di parodia dell' apoteosi di Claudio, intitolata Apokolokyntosis divi Claudi (qualcosa come «Inzuccatura, cioè trasformazione in zucca del divo Claudio», divo nel senso latino di imperatore defunto e deificato). Ma ahimè, si è indotti a pensare che il filosofo tenesse il piede in due scarpe: da un lato voleva assicurarsi il favore del nuovo Cesare, dall' altro, mettendo in ridicolo un imperatore, sia pure defunto, faceva certamente cosa gradita ai repubblicani. L'indole crudele e dispotica di Nerone si rivelò anche nel periodo del suo «buon governo», tanto è vero che nel 55 tolse di mezzo, con il veleno, il fratellastro Britannico.
Questo delitto fu largamente tollerato, se non addirittura accettato dagli esponenti più elevati della società romana, compresi Seneca e il prefetto del pretorio, che anzi ricevettero, o furono costretti a ricevere, una parte dei beni di Britannico. Ma l'avvenimento che gettò una grave ombra su Seneca fu nel 591'uccisione, voluta da Nerone, della propria madre Agrippina. Seneca non impedì, nella misura in cui avrebbe dovuto in ossequio ai suoi principi etici, questo delitto, ma così segnò anche la propria fine, perché la morte era la garanzia del suo silenzio, in quanto l'imperatore aveva voluto far credere che Agrippina si era uccisa per il rimorso di avere attentato alla vita del figlio.