La pesca delle rane con la canna è ancora praticata da numerosi ravennati discendenti da famiglie di "ranucér " ( letteralmente "ranocchiaro"deriva da "ranoch" ranocchio persone che praticavano la pesca di questi anfibi per guadagnarsi da vivere vendendoli poi al mercato, già pronti per essere cotti). È una pesca che necessita di buona abilità e colpo d'occhio in quanto l'esca formata da due lumache (la parte della chiocciola che fuoriesce dal guscio) legate a 7-8 centimetri di distanza una dall'altra in fondo alla lenza non è munita di ami (voÌendo come esca si possono usare anche cavallette o "novelli" rane appena formate quando la prima "covata" comincia la propria vita fuori dall'acqua).
Le rane vanno poi riposte in un cesto di vimini che si tiene a tracolla "e barasca" o in un sacchetto in tela legato alla vita "e malèt" entrambi muniti di un verso con dispositivo per non permettere loro di uscire "ingan". È buona norma deì "ranucér" di uccidere e pulire le rane al rientro dalla pesca o al massimo il mattino seguente perché, si dice, che in questa maniera le rane abbiano conservato tutto il loro sapore.