Il-Trafiletto

16/01/14

Cosa ci tocca inventarci per trovare un lavoro!

La creatività alla fine è stata premiata. Un disoccupato francese, ha avuto la bella idea di chiedere un lavoro a babbo natale. Si suppone scrivendo la solita letterina che recita "Caro babbo Natale, vorrei...", ma no! La sua lettere l'ha scritta su un tabellone publicitario dell'autostrada, sollecitando la curiosità di chi passava, ha ricevuto tantissime proposte.

Se per trovare lavoro è necessaria una buona dose di creatività per farsi notare dalle poche aziende che assumono, quello che ha pensato di fare il francese Laurent Lebret, 41 anni e disoccupato da sei mesi, è più che creativo. Lui, ha deciso di scommettere su sé stesso e di affittare un cartellone pubblicitario su una delle strade principali fuori da Antibes, la città nel sud della Francia, vicino a Cannes, nella quale vive.

Per natale vorrei un lavoro Il cartellone riportava la sua foto con cappello da babbo Natale, presentandolo come “direttore operativo ‘trilingue’”, i suoi recapiti telefonici e mail, e la scritta “Io… per Natale, vorrei solo un lavoro!”. L’idea ha funzionato, Lebret è stato letteralmente inondato di chiamate e di proposte, venendo alla fine assunto come direttore operativo in una catena di villaggi turistici della zona.

"Sono chiuso nell'aereo vai da qualche parte e tirami fuori da questo aeroplano"| Chiuso in un aereo e messo in deposito

Tom Wagner aveva preso il volo della United Express per Houston, e da lì doveva prendere una coincidenza che doveva portarlo in California. Solo che Wagner si è addormentato durante il viaggio: di solito non è nulla di strano, ma in questo caso quando si è risvegliato si è ritrovato completamente al buio. C’è voluto qualche secondo perché l’uomo si rendesse conto che era ancora a bordo dell’aereo, che era stato lasciato non solo dai passeggeri anche dall’equipaggio. Wagner ha chiamato la fidanzata per chiederle aiuto: “Pensava fossi matto. Le ho detto: ‘ Sono chiuso nell’aereo. Sto dicendo la verità: vai da qualche parte e tirami fuori da questo aeroplano’” ha raccontato.

I tecnici che dovevano fare manutenzione all’aereo hanno trovato e liberato l’uomo dopo qualche ora dall’atterraggio. La compagnia aerea si è scusata con l’uomo ed ha avviato un’inchiesta interna per capire come possa essere successo che nessuno si sia accorto che l’uomo era ancora a bordo quando l’aereo ha lasciato il terminal per essere portato nell’area manutenzione: le procedure infatti prevedono che l’equipaggio ispezioni la cabina prima di spostare l’aereo, e in questo caso sembrerebbe che siano state ignorate.  Oltre al disagio per il passeggero, l’accaduto ha sollevato dubbi sull’efficacia reale delle misure di sicurezza adottate dalla compagnia aera. La domanda che nasce è dunque quante altre procedure siano applicate in maniera approssimativa.

Meglio una vita al...verde che vincere alla lotteria!

Meglio una vita al...verde che vincere alla lotteria! Condurre una vita nel verde della natura fa bene alla salute mentale più di una vincita alla lotteria.
Ad affermarlo sono i protagonisti di uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology e un gruppo di ricercatori britannici, i quali hanno effettuato tale ricerca allo scopo di dimostrare come i benefici di una vita vissuta in un'area urbana che facilita l'accesso a parchi ed altre zone verdi sono più duraturi rispetto a quelli di circostanze positive spesso molto desiderate, come una promozione in ambito lavorativo, un aumento di stipendio oppure una vincita alla lotteria.
Vivere nel verde meglio di una vicita alla lotteria

Gli autori sono partiti dai risultati di uno studio precedente secondo cui vivere in aree urbane dotate di spazi verdi riduce la probabilità di avere a che fare con ansia e depressione. Ma quanto dura questo effetto?
Sfruttando una serie di dati relativi alla popolazione britannica raccolti dall'Università dell'Essex è stato possibile scoprire che mentre molti eventi positivi esercitano un effetto benefico che dura all'incirca 6 mesi, vivere nel verde migliora il benessere psicologico anche per 3 anni consecutivi. Vivere nel verde eserciterebbe il suo effetto positivo riducendo lo stress.

Ora i ricercatori vorrebbero capire se questo effetto ha anche altri risvolti positivi, ad esempio sulla vita di coppia. Come ha avuto occasione di spiegare Mathew White, esperto delle relazioni tra ambiente e salute psicofisica che ha partecipato a questa ricerca, la riduzione dello stress aiuta a prendere decisioni più ragionevoli e a comunicare meglio. Non è quindi da escludere che anche le relazioni interpersonali possano trarre benefici da una vita trascorsa nel verde.

Il mito della leggendaria Lancia Fulvia| Regina di Montecarlo con Munari e Mannucci.

Rinasce il mito della Lancia Fulvia! Regina di Montecarlo con due "principi" d'eccezione: Munari e Mannucci!
La storia dell'automobilismo è stata segnata da sole due auto che sono ricordate menzionando il numero di gara: la Mercedes 300 Slr numero 722, alla cui guida c'era Stirling Moss che vinse a tempo di record la Mille Miglia del 1955, e la ancor più mitica Lancia Fulvia HF con numero 14 che, con la coppia Munari-Mannucci, i quali dominarono contro tutto e contro tutti il Rally di Montecarlo del 1972.

Mentre si sta svolgendo l'edizione 2014 del Rally più famoso del mondo, che affronterà per ben due volte il Col de Turini anche se in senso inverso rispetto alla tradizione, ricordare la leggenda di un'auto rimasta nel cuore di tutti gli appassionati di motori è un piacere e un obbligo.
Un'auto che proprio sul Col de Turini ribaltò la classifica che fino ad allora la vedeva in terza posizione, e già quello era considerato un risultato straordinario. Perché la Lancia Fulvia HF 1600, nel 1972, era ormai considerata ormai superata, una sorta di catorcio, un'auto spompata con soli 160 CV destinata a soccombere senza speranza nel confronto diretto con le Porsche (270 CV) e le Renault Alpine (cavalleria simile alle Porsche e 200 chili in meno della Fulvia) considerate le vere predestinate al successo finale.
Lancia Fulvia HF

Poco prima di affrontare il Turini, in quel gennaio del 1972, iniziò prima a piovere e poi a nevicare. Il dio pluvio delle corse aveva scombinato le carte, apparecchiando una situazione meteo nella quale la vecchia Fulvia si trovava a suo agio. Lo si era già capito molti anni prima, al Rally di Corsica, quando il motore era ancora il 1400: le rivali non riuscivano a tenere la strada mentre lei, la piccola Fulvia, restava aggrappata all'asfalto bagnato e ricoperto di foglie e fango. Chilometro dopo chilometro, fino alla vittoria finale. Un'auto che avrebbe vinto molto, che sarebbe entrata nella storia dei Rally anche grazie a un aggiornamento del motore, portato ai 1600 di cilindrata.

Ma il Montecarlo del 1972 quello no, era un sogno impossibile. Troppo potenti le Porsche, troppo potenti e leggere le Alpine anche solo per restargli alle costole. E poi, suvvia, i francesi schieravano addirittura sei equipaggi, proprio per non tralasciare alcun particolare sulla strade di casa. E invece, pioggia e vento: e "nonna" Fulvia a fine carriera che improvvisamente si ritrova nel suo ambiente naturale. Quando le altre escono di strada... Sembra di vedere lo sguardo sornione della HF numero 14, con i fanaloni a illuminare la notte e la scritta Lancia Italia sul cofano per far sentire a francesi e tedeschi il fiato sul collo. Fino ad arrivargli alle costole, fino a prenderli. Le Porsche non restano in strada: troppa potenza da scaricare a terra e a terra, al posto dell'asfalto asciutto, c'è solo neve.

Tanta, troppa neve. Le Alpine non reggono alla prova di una natura così scatenata: sul Turini, Jean Claude Andruet esce sbattendo contro la montagna. Darnische e Ove si fermano con il cambio rotto. Le altre Alpine, beh! quelle erano già dietro da tempo. Nonna Fulvia vola. Munari la guida come se fosse un prolungamento del suo corpo, Mannucci disegna il percorso per l'amico alla guida rendendogli impossibile un qualsiasi errore. Passato il Turini la Fulvia, la nonnetta, il ronzino, la vittima predestinata è in testa, dominatrice di un Montecarlo che spianerà la strada verso il titolo Mondiale Rally. Che farà passare la Fulvia Hf 1600, targata TO E24266, dalla storia alla leggenda. Ricordandola oggi rendiamo omaggio all'immenso Sandro Munari e a Mario Mannucci, che molti chiamavano "il maestro" e che ci ha lasciati, in silenzio, nel dicembre del 2011. Ricordiamo Cesare Fiorio, che tutti ricordano come artefice della Squadra corse Lancia di quegli anni straordinari. Ma ricordiamo anche Ettore Zaccone Mina, il papà del motore della Fulvia.

L'uomo che progettò un motore millecento, per la Fulvia berlina, riuscendo a trasformarlo nel tempo con una genialità inarrivabile in un 1600 da 160 cavalli, con un rapporto di 100 CV/litro che rivisto oggi ha dello straordinario. Lo fece quasi di nascosto, nelle notti trascorse disegnando nel salotto di casa, perché il numero uno della Lancia, il professor Fessia, gli aveva dato il permesso di inseguire questo sogno solo al di fuori dell'orario di lavoro. Così nacque il V stretto che ancora oggi stupisce gli addetti ai lavori per la perfezione assoluta con cui è stato concepito. Così, con la straordinaria unione di molti e molti uomini che hanno reso grande la Lancia, è nata la vittoria al Montecarlo del 1972 e la leggenda di una macchina immmortale.

Un saluto a Paolo Onofri, il papà del piccolo Tommy

L'11 agosto del 2008 Paolo Onofri sta camminando nei boschi quando si accascia colpito da un ictus. Non c'è copertura per i cellulari. Tascorrono minuti preziosi prima che giungano i soccorsi. Il danno cerebrale è senza rimedio

Paolo e Paola Onofri
 
Un anno dopo il dramma, il tribunale di Parma ne ha dichiarato l'interdizione per incapacità di intendere e di volere, su richiesta della moglie. Un atto dovuto. Per una famiglia già così duramente colpita dalla tragedia, un'ulteriore durissima sofferenza. Paola Pellinghelli ha più volte dichiarato alla stampa che non avrebbe consentito l'accanimento terapeutico sul marito. Ieri Onofri si è spento. Avrebbe compiuto 55 anni il prossimo maggio.

 Il 2 marzo del 2006 è un giovedì. La vita di Tommaso Onofri finisce dopo un viaggio che è durato diciassette mesi. Quella sera la famiglia Onofri è riunita a cena nel tinello nel casale di Casalbaroncolo, a qualche km da Parma. Tody, il cane meticcio, è stato fatto fuggire, ancora non si sa da chi. Il black out è improvviso. In due irrompono nella casa, protetti dal buio, mascherati con passamontagna, malamente e pericolosamente armati, una pistola, un coltello. Legano con il nastro adesivo il capofamiglia Paolo Omofri, la moglie Paola Pellinghelli, Sebastiano, il figlio più grande, che all'epoca ha otto anni. Strappano dal seggiolone Tommaso, incuranti del suo pianto. Morrà quella sera stessa ma lo si saprà soltanto dopo un mese di angosce, tormenti, dubbi, ricerche. La figura di Paolo Onofri, il padre, inizia a diventare familiare da allora. E' alto, imponente, vestito di scuro, perennemente aggrondato. Dirige un ufficio postale in città, la moglie è impiegata in un altro. Quel casale ristrutturato è il suo orgoglio, il suo vanto modesto insieme con il suo ruolo di direttore, l'ufficio moderno, l'allarme nel caveau modulato sulla persona. Solo in seguito si saprà che quel suo orgoglio, le sue modeste vanterie, quel presentarsi un giorno ai muratori al lavoro con una scatola di scarpe riempita di bigliettoni, hanno ingolosito i rapitori-assassini, stimolato gli appetiti di uno sgangherato terzetto composto da Mario Alessi, muratore siciliano con alle spalle una storia di sequestro e violenza su una ragazza, la compagna Antonella Conserva, massiccia, capelli corvini, Salvatore Raimondi, pugilatore fallito e manovale, il pregiudicato che con la sua impronta sul nastro adesivo firmerà il tragico raid e orienterà le indagini. Non parla molto, Paolo Onofri. Offre un aspetto di uomo duro, risoluto. Questo aspetto, insieme con il particolare che la famiglia non è certo ricca, favorisce illazioni, atteggiamenti poco generosi che riguardati oggi appaiono crudelmente ingiusti. Si scava nel passato di quel personaggio che pare tagliato con l'accetta e fatto apposta per non attirarsi simpatie, si scava nel suo passato, si riesuma il suo primo matrimonio, si avanzano dubbi e congetture su presunte stranezze di un sequestro che già di per sé appare strano, anomalo, indecifrabile. Eppure Paolo Onofri è stato chiaro nella sua prima deposizione in questura: "Percepisco uno stipendio inferiore a euro 2000 al mese e mia moglie, che è impiegata presso l'ufficio postale di San Prospero, percepisce uno stipendio poco superiore a euro 1000 al mese. Le mie condizioni non sono tali da lasciare supporre che le persone che mi hanno sequestrato il bambino possano chiedere un riscatto in cambio della sua liberazione". La mattina del 4 marzo la televisione tramette una intervista del padre di Tommy. Ha gli occhi arrossati, la solita aria cupa e soprattutto adirata. Pare affrontare le telecamere e sfidare a muso duro i rapitori del suo bambino, quando dice. "Se non me lo riportano andrò a prenderlo personalmente". E aggiunge: "Gli inquienti hanno ristretto molto il campo delle ipotesi". Come se nutrisse qualche sospetto e insieme coltivasse una speranza. Quella del 10 marzo è una brutta giornata. In uno scantinato in via Jacchia, a Parma, viene trovato un vecchio computer di Paolo che racchiude filmati e file pedopornografici. Lui si difende, sostiene che sta facendo una ricerca sulla pedopornografia per poi denunciare. Davanti al gip patteggerà una condanna a sei mesi. "Tommy è morto", un titolo su un giornale di domenica 2 aprile. Morto. Ucciso, strangolato e colpito con una mazzetta da muratore sul greto del torrente Enza, alla località Traglione, luogo desolato per prostituite e coppiette in cerca di rapida intimità, una discarica come tomba, poche manciate di terra a fare da sudario. Paolo e Paola sono uno accanto all'altro nella cattedrale invasa dalla folla per i funerali. Insieme nelle aule giudizarie. Si ha la sensazione strana che in quei momenti sia lei, la donna piccola e minuta, la più forte. Il mare in tempesta pare richiudersi. Tommy vive in una fondazione che porta il suo nome e fa del bene ad altri bambini che hanno conosciuto troppo presto la fatica del vivere. Paolo e Paola trascorrono i pomeriggi delle loro domeniche al Traglione, a tenere pulito il piccolo sacrario dove è impossibile sostare senza frenare una lacrima. Pare finita. Pare ricostruito un simulacro di serenità. Il destino trama invece il suo ultimo tradimento. L'11 agosto del 2008 gli Onofri sono in vacanza in Trentino, nella zona di Folgaria. L'uomo grande, forte, duro, cede all'improvviso. Paolo Onofri sta camminando nei boschi quando si accascia colpito da un ictus. Non c'è copertura per i cellulari. Tascorrono minuti preziosi prima che giungano i soccorsi. Il danno cerebrale è senza rimedio Come se la sorte avesse voluto riservarsi l'appendice crudele di un'ultima beffa. Da allora Paolo Onofri vive di sola vita biologica. Paola è contraria all'accanimento terapeutico e lo dichiara, ma lascia che sia, che scorra così. Fino alla fine.                             fonte Quotidiano.net
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.