La scienza che ruolo ha avuto durante le indagini nel delitto di Meredith Kercher?
Sono in tutto 53 gli anni di carcere inflitti ai 2 dei 3 indagati, esattamente: 28 per Amanda Knox e 25 per Raffaele Sollecito.
Questo è quanto ha sentenziato la Corte d’assise d’appello di Firenze, incaricata a giudicare i due imputati per l’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007.
Nel 2011 in una altra sentenza di secondo grado i giudici si erano espressi a favore di Knox e Sollecito, assolvendoli dal reato, ma nel mese di marzo del 2013 la Corte di Cassazione aveva reso nullo il verdetto, affermando che era necessario la ripetizione del processo. In precedenza l’assoluzione era stata emessa perché le prove di colpevolezza a carico di Amanda e Raffaele non erano stateritenute affidabili. Il tribunale di Firenze invece non è dello stesso avviso, confermando la colpevolezza per entrambi gl'imputati.
Il ruolo della scienza.
Nella vicenda Kercher c’è tanta scienza. Genetica forense, soprattutto. Perché a inchiodare i due è stata la prova del dna effettuata su un coltello ritrovato nella cucina di Sollecito e sul gancetto del reggiseno di Meredith. In particolare, i periti avevano rinvenuto tracce di dna compatibile con quello della ragazza uccisa sulla lama e con quello di Amanda Knox sul manico. Sul gancio del reggiseno, invece, era stato ritrovato materiale genetico di Sollecito.
Per analizzare il dna, la polizia scientifica ha seguito la procedura standard di amplificazione (cioè replica in più copie) ed elettroforesi (applicazione di un campo elettrico per separare le particelle). I periti hanno ottenuto un grafico composto da una serie di picchi, che poi sono stati confrontati con l’impronta genetica degli imputati. Dalle analisi è emerso che i campioni combaciavano. Il che secondo l’accusa, dimostra inequivocabilmente che Sollecito e Knox sono colpevoli.
Ripetibilità, soglie e contaminazioni.
In genetica forense, comunque, una sola prova non basta. È necessario che il test sia riproducibile e dia sempre lo stesso risultato. Inoltre, per scongiurare il rischio di contaminazioni con dna estraneo (quello di tutte le altre persone che nel corso del tempo sono venute a contatto con l’oggetto da esaminare, poliziotti compresi), gli investigatori hanno imposto una soglia di contaminazione: se il materiale genetico è al di sotto di una certa quantità (50 unità di fluorescenza [Rfu] per i laboratori americani, 30 per i Ris italiani), non può esser preso in considerazione e usato come prova.
La difesa.
È proprio a ripetibilità e contaminazioni, in effetti, che si è appellata la difesa di Sollecito e Knox. Sostenendo che il materiale genetico ritrovato sul coltello fosse sotto soglia e che le impronte sul reggiseno fossero in realtà un mix di diverse persone. Lo stesso Sollecito ne ha parlato diffusamente sul suo blog: “È importante conoscere la quantità del dna per sapere se è possibile ripetere l’analisi e ottenere un risultato affidabile. È necessario fare almeno una seconda amplificazione, soprattutto quando ci si trova alle prese con una scarsa quantità di dna.
[La scientifica] ha ottenuto un profilo in cui su 32 alleli ben 28 erano al di sotto dell’altezza minima di 50 Rfu”. E ancora: “La seconda analisi ha ottenuto un risultato peggiore del primo”, affermazione cui è allegata una tabella con i risultati dell’analisi. Sollecito, inoltre, sostiene che la scientifica abbia deliberatamente ignorato profili genetici di altre persone rinvenuti sul gancetto di reggiseno (in realtà il perito Stefanoni, in merito a questo punto, afferma semplicemente che “è una cosa sulla quale non mi sento di esprimere” perché il materiale genetico non appartenente a Sollecito è insufficiente).
L’accusa.
Gli scienziati, già nel 2011, avevano risposto a queste obiezioni. Giuseppe Novelli, genetista, rettore dell’Università di Tor Vergata e consulente per la procura, ci aveva raccontato che “il dna c’è ed è inequivocaibile. C’è da capire perché è lì, chi ce l’ha messo, ma non si può dire che non sia sufficiente”. Spiega Novelli che la polizia aveva dimostrato l’assenza di qualsiasi contaminazione nei campioni – affermazione accettata dalla Corte – e che la soglia indicata dagli statunitensi, 50 Rfu, è uno standard che “non ha senso”. È bene comunque precisare che, mentre il materiale genetico rinvenuto sul coltello è sotto la soglia, quello sul gancetto del reggiseno è ampiamente superiore a 50 Rfu. Per ora, dunque, il capitolo è chiuso. Resta da vedere cosa succederà in terzo grado.
Questo è quanto ha sentenziato la Corte d’assise d’appello di Firenze, incaricata a giudicare i due imputati per l’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007.
Nel 2011 in una altra sentenza di secondo grado i giudici si erano espressi a favore di Knox e Sollecito, assolvendoli dal reato, ma nel mese di marzo del 2013 la Corte di Cassazione aveva reso nullo il verdetto, affermando che era necessario la ripetizione del processo. In precedenza l’assoluzione era stata emessa perché le prove di colpevolezza a carico di Amanda e Raffaele non erano stateritenute affidabili. Il tribunale di Firenze invece non è dello stesso avviso, confermando la colpevolezza per entrambi gl'imputati.
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Indagini sul luogo del delitto Kercher |
Il ruolo della scienza.
Nella vicenda Kercher c’è tanta scienza. Genetica forense, soprattutto. Perché a inchiodare i due è stata la prova del dna effettuata su un coltello ritrovato nella cucina di Sollecito e sul gancetto del reggiseno di Meredith. In particolare, i periti avevano rinvenuto tracce di dna compatibile con quello della ragazza uccisa sulla lama e con quello di Amanda Knox sul manico. Sul gancio del reggiseno, invece, era stato ritrovato materiale genetico di Sollecito.
Per analizzare il dna, la polizia scientifica ha seguito la procedura standard di amplificazione (cioè replica in più copie) ed elettroforesi (applicazione di un campo elettrico per separare le particelle). I periti hanno ottenuto un grafico composto da una serie di picchi, che poi sono stati confrontati con l’impronta genetica degli imputati. Dalle analisi è emerso che i campioni combaciavano. Il che secondo l’accusa, dimostra inequivocabilmente che Sollecito e Knox sono colpevoli.
Ripetibilità, soglie e contaminazioni.
In genetica forense, comunque, una sola prova non basta. È necessario che il test sia riproducibile e dia sempre lo stesso risultato. Inoltre, per scongiurare il rischio di contaminazioni con dna estraneo (quello di tutte le altre persone che nel corso del tempo sono venute a contatto con l’oggetto da esaminare, poliziotti compresi), gli investigatori hanno imposto una soglia di contaminazione: se il materiale genetico è al di sotto di una certa quantità (50 unità di fluorescenza [Rfu] per i laboratori americani, 30 per i Ris italiani), non può esser preso in considerazione e usato come prova.
La difesa.
È proprio a ripetibilità e contaminazioni, in effetti, che si è appellata la difesa di Sollecito e Knox. Sostenendo che il materiale genetico ritrovato sul coltello fosse sotto soglia e che le impronte sul reggiseno fossero in realtà un mix di diverse persone. Lo stesso Sollecito ne ha parlato diffusamente sul suo blog: “È importante conoscere la quantità del dna per sapere se è possibile ripetere l’analisi e ottenere un risultato affidabile. È necessario fare almeno una seconda amplificazione, soprattutto quando ci si trova alle prese con una scarsa quantità di dna.
[La scientifica] ha ottenuto un profilo in cui su 32 alleli ben 28 erano al di sotto dell’altezza minima di 50 Rfu”. E ancora: “La seconda analisi ha ottenuto un risultato peggiore del primo”, affermazione cui è allegata una tabella con i risultati dell’analisi. Sollecito, inoltre, sostiene che la scientifica abbia deliberatamente ignorato profili genetici di altre persone rinvenuti sul gancetto di reggiseno (in realtà il perito Stefanoni, in merito a questo punto, afferma semplicemente che “è una cosa sulla quale non mi sento di esprimere” perché il materiale genetico non appartenente a Sollecito è insufficiente).
L’accusa.
Gli scienziati, già nel 2011, avevano risposto a queste obiezioni. Giuseppe Novelli, genetista, rettore dell’Università di Tor Vergata e consulente per la procura, ci aveva raccontato che “il dna c’è ed è inequivocaibile. C’è da capire perché è lì, chi ce l’ha messo, ma non si può dire che non sia sufficiente”. Spiega Novelli che la polizia aveva dimostrato l’assenza di qualsiasi contaminazione nei campioni – affermazione accettata dalla Corte – e che la soglia indicata dagli statunitensi, 50 Rfu, è uno standard che “non ha senso”. È bene comunque precisare che, mentre il materiale genetico rinvenuto sul coltello è sotto la soglia, quello sul gancetto del reggiseno è ampiamente superiore a 50 Rfu. Per ora, dunque, il capitolo è chiuso. Resta da vedere cosa succederà in terzo grado.