05/09/14

LA VIA DELLA CONOSCENZA | LE TRE VIE

........... "No, mi coraum no duerme. Està despierto, despierto. Ni duerme, ni sueiia, mira, los claros ojos abiertos, seiias lejanas y escucha a orillas del gran silencio". QUI


LA VIA DELLA CONOSCENZA
Non nutre illusioni, non ha ombra di fede, il puro conoscitore. Si limita a sapere o a non sapere o a sapere dubitando. Non crede a niente. Lo porta a ciò che sa non un sentimento, ma una semplice valutazione. Conosce perché verifica. Inoltre riconosce di vivere morendo, di recedere insensibilmente nel nulla a ogni istante. La morte sarà per lui la dilatazione all'infinito di questa esperienza quotidiana. Non concede stilla di fiducia a una vita anteriore alla nascita o posteriore alla morte. Perfino con tutto il sistema cerebrale in azione, la sua persona è uno sfasciarsi e ricomporsi senza tregua. Così essa dà prova di non essere. La persona è comunque sempre un inganno.

Mutevole, insidiata, la capovolge un'inezia: innamoramento, infatuazione, allucinazione. È comunque perennemente erosa dall'oblio, forza che ne sfibra e usura il nucleo più intimo, l'unico possibile avallo: la memoria. Rammentare è una facoltà in frana costante. Si torni a un luogo prediletto dell'infanzia o della giovinezza: tutto il suo sfarzo apparirà assente, dileguato. Chi semplicemente ricordi, scopre così di essere un abissale ciarlatano. Infine il puro conoscitore non sa che farsene della speranza. Gli basta calcolare le probabilità. Ha piena coscienza di svanire via via che le sue rimembranze si vanno contraffacendo e sfaldando. 

In India al puro conoscitore si dischiude una via specifica. Questa si può illustrare riferendo i ragionamenti inesorabili di Gaudapàda o di Sankara, i classici più onorati, ma esiste, modesto e facile, l'insegnamento impartito dalle migliaia di sapienti di villaggio. Due maestri di questo tono sono emersi nell'India moderna, ammaliando il mondo intero. Ramana Maharshi ammaestrò ai piedi dell'Annapùrna, ripetendo senza tregua che non siamo il nostro corpo, il quale può funzionare da solo e col quale potremmo e dovremmo convivere in un perpetuo sonnambulismo; non siamo nemmeno la nostra persona, che è un infinito rinvio: ce ne accorgiamo e già siamo due. Che cosa rimane?

L'attenzione pura, eterna, immutevole, beata, la quale coincide con la nostra identità senza forma, è di tutti e tutti costituisce; essa rende noto ciò che è in quanto è ciò che è, forma lo schermo che permette la sfilata d'immagini cinematografiche che compone l'esistenza, il punto dal quale veglia, sogno, sonno si possono intendere senza parole come un'unica entità. Basterà ripetersi « chi sono? » eliminando ogni altro pensiero e anche l'interrogazione si estinguerà, come il bastoncino che rimesta il cadavere bruciante e che poi si butta nel fuoco.

Nisargadatta Mahàràj tenne le sue lezioni nell'appartamentino di Bombay dove lo scovò Maurice Friedman, un ebreo polacco, europeo carattenstico, la cui vita ruotava sull'asse dell'impegno politico. Tutte le sue pie intenzioni dovettero infrangersi sulla razionalità inflessibile di Nisargadatta. Ne risultò un primo, squisito volume di dialoghi, I Am That, stampato da Chetana a Bombay. In seguito Dunn e Balsekar fra altri trascrissero nuovi dialoghi. Nisargadatta non prendeva quasi mai la parola per primo, lasciava che la gente accorsa nella sua stanzuccia gli rivolgesse domande. Le repliche erano sempre le stesse, si limitavano a riportare tutto nei termini della filosofia che incomincia in India attorno al 700 d.C., l'Advaita Vedànta o conoscenza non duale.

Basterebbe un solo scambio di battute e tutto sarebbe a rigore esaurito; eppure no, la ripeuzione incessante e senza sorprese affascina, esalta, commuove, acquieta più di qualunque animata narrazione. L'assenza totale di pathos fa vibrare più della lirica, la monotonia di fatto sembra una bufera. Perché Nisargadatta sposta, senza esitazione e subito, nel cuore della filosofia advaita, compie ogni volta che interviene il miracolo di trasferire in un'aria purissima, che pochi sanno respirare, ma che quasi a tutti fa sorgere in cuore una strana nostalgia. Talvolta opera con una condensazione inesorabile: la luce del sole, osserva, è il sole, tu sei il tuo mondo, tu ne testimoni e gli dai l'essere; e aggiunge: «La testimonianza di questa esistenza, di questa coscienza, è la testimonianza di quell'eterno principio, l'assoluto »: sole e luna esistono perché noi ci siamo; approfondiamo questa osservazione, fino a gioirne.
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