Pare che non tutti siano convinti dell'efficacia delle strategie che sono ad oggi adottate. In un articolo su Nature, un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Graham J. Edgar, dell'Università della Tasmania, lancia infatti l'appello, evidenziando che in parecchi casi le Mpa non sono adeguatamente cautelate per fare fronte al progressivo impoverimento dei nostri mari. Stando ai loro risultati, la chiave per proteggere efficacemente la biodiversità marina sarebbe non tanto nella quantità di aree protette istituite, quanto nelle loro caratteristiche.
Aree marine ( Mpa ) |
Dalla loro analisi è emerso che il 59% delle aree presentava caratteristiche soddisfacenti (divieto totale di pesca, molti controlli, ampie dimensioni, buon isolamento e lunga durata) in non più di uno o due dei cinque parametri presi in esame. Esaminando la biodiversità in questi siti i ricercatori hanno scoperto inoltre che risulta assolutamente indistinguibile da quella delle aree in cui la pesca è permessa. Nelle zone definite invece “efficaci” con almeno tre o quattro dei parametri in positivo, le analisi hanno dimostrato la presenza di una biodiversità praticamente doppia, una quantità di esemplari di pesci di taglia medio grande cinque volte maggiore, e un numero quattordici volte superiore di squali, tutti indicatori che dimostrano le strategie di ripopolamento e protezione della biodiversità stanno funzionando.
Utilizzando le aree efficaci come paragone i ricercatori hanno potuto stabilire inoltre che nelle aree di pesca e nelle Mpa non efficaci, la biomassa totale (il numero di creature marine presenti) è diminuita di circa due terzi rispetto ai periodi precedenti all'inizio della pesca intensiva. Secondo gli autori serve dunque un maggiore impegno internazionale per raggiungere gli standard di efficacia richiesti in tutte le Mpa esistenti. Se non si interverrà presto, l'incremento della pesca intensiva previsto per i prossimi anni rischia infatti di aumentare drammaticamente il numero di specie marine a rischio di estinzione.