29/01/14

Renzi ai piccoli partiti come Cicerone a Catilina: "Fino a quando abuserai della nostra pazienza?"

Il punto di disaccordo:«Le percentuali delle soglie di sbarramento e l'innalzamento della soglia per accedere al premio di maggioranza». Renzi a Ballarò: «se c’è da litigare con i piccoli partiti, si litiga. O si chiude o si rompe, non mi faccio risucchiare dalla palude»



Avverte Matteo Renzi. «Si tratta e come in ogni trattativa tutti vogliono spuntare qualcosa per poter dire “ho vinto io”, ma secondo me si può chiudere l’accordo», ragiona con i suoi alla fine di una giornata tempestosa in cui ha sentito più volte Berlusconi, ma anche Alfano. Il sindaco annulla la riunione della segreteria delle sette di mattina, oggi arriverà a Roma in tempo per la manifestazione dei sindaci ai ferri corti col governo. Un segnale chiaro di voler tenere sulla corda l’esecutivo, almeno fino a quando la partita sulla legge elettorale non sarà ben incardinata. Per tutto il giorno, alla luce del continuo aggiornamento che gli arriva dai suoi sul campo, Guerini, la Boschi e Nardella, il sindaco di Firenze segue passo passo un braccio di ferro che potrebbe concludersi oggi con l’annuncio di un accordo, salvo scarti improvvisi di Berlusconi, che «evidentemente è di fronte ad un bivio», dice Renzi a Ballarò.

Matteo Renzi.
Un accordo che non soddisferebbe molte delle richieste delle formazioni minori, ma «se c’è da litigare con i piccoli partiti, si litiga». E che allo stato si articolerebbe su cinque modifiche, di cui due ancora sub judice ma molto probabili. Primo, niente riduzione delle soglie di sbarramento dell’8% per chi va da solo e del 5% per le forze che si coalizzano (anche se Renzi preme per limarla al 4%), innalzamento solo della soglia per accedere al premio di maggioranza che passerebbe dal 35 al 37%. Secondo punto, quello che i renziani definiscono «la condizione di sopravvivenza per Alfano»: la possibilità di presentare fino a cinque candidature multiple in varie circoscrizioni. Terzo: delega al governo per ridisegnare le circoscrizioni elettorali, con un margine massimo di tempo di 60 giorni e non di novanta come ipotizzato nella prima fase. E poi ci sono altre due condizioni variabili: la norma «salva-Lega» e le primarie per legge sul modello toscano, cioè non obbligatorie ma comunque regolate con una normativa che prevede un’organizzazione istituzionalizzata con spazi pubblici offerti ai partiti che ne vogliano usufruire e regole certe. Una griglia di aggiustamenti che sembra siano la base per un accordo che i renziani considerano a buon punto di cottura. Ma la corsa contro il tempo è accidentata assai: fin dalla mattina i piccoli partiti mettono in minoranza Pd e Fi, chiedendo durante la riunione dei capigruppo di dare più tempo alla commissione Affari Costituzionali per discutere la legge elettorale. I due partiti maggiori strappano l’arrivo in aula per domani pomeriggio. Una questione che cela un nodo politico: se si slittasse al primo giorno di febbraio, il contingentamento dei tempi per l’aula varrebbe da marzo e quindi si ritarderebbe l’arrivo al Senato, chiudendo così di fatto la «finestra elettorale» per poter andare al voto in maggio con le europee. Ma sul percorso in commissione può pesare anche l’ostruzionismo dei grillini. «Se si mettono di traverso potrebbero ritardare tutto e si rischia di andare in aula senza aver votato un mandato al relatore ma solo con il testo base privo di modifiche», spiega il capogruppo Pd Emanuele Fiano prima della seduta notturna. «Vedrete, passa alla Camera e salta al Senato», è la profezia di Beppe Fioroni. «Io non mi faccio ingabbiare, chi vuol far saltare tutto si prenda la responsabilità di fronte al paese», attacca il leader Pd.                                                                          fonte LaStampa.it
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