Lo descrive al suo termine la Hathasogapradipikà:
« È libero da ogni stato e da ogni pensiero, simile a un defunto, ma padrone della morte, del destino, dei nemici. I suoi sensi sono estinti, non conosce né se stesso né altri. È libero già in vita, essendo la sua mente né sveglia né assopita, libera dal ricordo e dall'oblio. on vive e tuttavia non è morto. E immune da calore e freddezza, dolore e gioia, onore e ingiuria. Sembra dormire eppure è desto. Sono cessate in lui inalazione ed esalazione. Non lo offendono le armi, nessun potere umano lo sopravanza. Sta al di là delle maledizioni e degli incantesimi. Ma finché il suo pràna non entri nel meato centrale della spina dorsale per attingere la corona del cranio, finché l'assoluto non gli si manifesti nell'estasi, ed egli non gli si sia unificato, chi parla di dissolvimento nell'essere è soltanto un chiacchierone e un prevaricatore ».L'Àyurveda tende a questa suprema condizione, fine proprio e ultimo che lo informa e pervade in ogni suo aspetto. Nei laboratori àyurvedici indugia l'attenzione sugli operai dai movimenti lievissimi, essi osservano con sguardi accesi le iridescenze delle materie che occhieggiano dalle coppe via via infrante. Sono uomini intrisi di Siva: di hascisch o carasa o bhang o ganja; ne proviene loro grazia e intelligenza. Sono pervasi da un oceano senza opposizioni, ritornano alle origini, oltre a dispiegare un'impeccabile efficienza nella trattazione di oro, argento, stagno, rame, ferro, mercurio e piombo, nonché di mica, arsenico, zolfo fusi con succhi vegetali. Lo hascisch è usato perché aiuta nella meditazione e nel compimento dei riti sivaiti, oltre che di quelli in onore di Hanumat. È distribuito all'intera famiglia alla festa di holì, impiegato sempre per alleviare la fatica e la malattia. La conoscenza dei suoi pericoli è antica ed esauriente, ma ci si rimedia trattando la pianta con latte purificato e spalmando di pasta medicata, aspergendo di canfora e acqua fredda chi ne sia rimasto offeso.
Il suolo dove lo hascisch si coltiva va curato con attenzione rituale. È del pari sfruttata anche un'altra pianta, la terminalia chebula, priva di ogni effetto tossico, equilibrante e rafforzante senza controindicazioni. Si pratica inoltre una terapia speciale, con piante sottoposte a trattamenti particolari, da eseguire in una casa senza spifferi o correnti, osservando la castità, alimentandosi soltanto di riso e latte. Scrive Bhagwan Dush dopo la sua esposizione dell'Ayurveda: la pratica meditativa di staccarsi dalle proprie azioni e dall'idea di responsabilità è efficace dopo quattro fasi. Nella prima la mente è ancora avvinta ai sensi e alla volontà di potenza, nella seconda dominano la trivialità e l'ozio, nella terza l'energia e la tendenza alla virtù, sicché ormai senza indugi si osservono gli oggetti sensibili, e infine fase ultima, si trattiene giusto l'energia necessaria, si è puri e in grado di indagare con attenzione un oggetto; a questo punto sopravvengono i testi dell.o yoga e del Tantra a promuovere infine la liberazione.