08/09/14

LA VIA DEL SENTIMENTO | LE TRE VIE

.... Da questa condizione egli rammenta senza tregua che ci si identifica con i propri pensieri, ma questi sono generati dal corpo e il corpo è generato dal cibo, è cibo nato dal sole.[Qui]

LA VIA DEL SENTIMENTO 
La massima parte degli uomini è legata al sentire coltivato nella prima infanzia: l'attaccamento alla madre è la loro sostanza. Il mondo persiste nell'assetto impresso allora, all'inizio della vita cosciente, si sente che ogni forza proviene da Dio o dagli dèi. L'amore è la forza maggiore, decisiva, il nucleo dell'umverso. Nel Rgueda si attribuisce a ogni dio una porzione (bhakta) dell'energia cosmica che è largita poi dal dio al devoto e si afferma che l'adoratore (VIII, 48, 14), gli strumenti rituali, le offerte (X, 15,5; 1,85,7) divengono cari (priya) agli dèi, e così si instaura con loro l'amicizia (mitra, «amico", da mi-: «fissare, edificare", poi anche «sapere »). La bevanda inebriante, soma, fa gioire l'adoratore che sia caro al dio Soma.

Fra gli dèi il più misericordioso verso chi gli si rivolga è Varuna, che dimora nelle acque primordiali. Il rapporto con Indra, fonte d'ogni pensiero e azione, che sostituisce col tempo Varuna, si tramuta in erotismo: «I miei pensieri ti toccano, Indra possente, come mogli amanti i loro mariti amanti» (Rgueda, I, 62, Il; X, 43, l). La parola bhakti significa « distribuzione, porzione, suddivisione, serie », ma anche «appartenenza, attaccamento» e infine «devozione » e «fede». La via della devozione o bhaktimarga sorge dall'amorevolezza che pervadeva l'esecutore dei riti vedici. Bhakti incluse la carità libera e devota del fratello, dell'adoratore rapito; il suo beneficiario si denominò bhagavat (bhaga indica il potere spirituale, -vat è il suffisso di possesso). C'è anche una bhakti buddhista, puro affetto senza desiderio.

Nel secolo XIX si pretese che questa via fosse originata dal cristianesimo, oggi nessuno oserebbe riproporre la tesi. Grierson attribuì a bhakti una genesi tutta particolare: i guerrieri visnuiti, che volevano assimilare il culto dei demoni yaksa e dei nàga o uomini-serpente, avrebbero adottato questa tendenza sentimentale. Bhandarkar invece congetturò la nascita d'una religiosità nuova, avviata da Vàsudeva Krsna fra il III e il IV secolo, monoteistica (ekantika dharma) ed emotiva.
Nelle Upanisad, bhakti è di norma il contatto con il fondamento impersonale dell'essere, ma anche, certe volte, l'amore di un dio personale. La Brhadàranyaka (I, 4,8) insegna che tutti gli amori rinviano al desiderio dell'Assoluto, simboleggiato dal tamburo divino che genera col suo rullo ogni realtà. E al tamburo che si dirige il devoto, invece di appuntarsi a una delle mille realtà che ne provengono.

Ma chi riflette comprende che l'Assoluto si scopre nell'interiorità e lo smarrisce chi lo cerchi nel mondo esteriore. A questo processo Sankara dà il nome di meditazione Ràmànuja quello di bhakti. Per Sankara bhakti designa invece l'esito del processo: la comunione con il proprio sé più intimo, che coincide con la verità suprema, e che la ragione non può afferrare, perché gioca soltanto con opposti e contrari, allestendo contrapposizioni dispiegate nel tempo e nello spazio; lo rivela invece il lampo che distrugge ogni distinzione fra noi stessi e l'essere, coinvolgendo l'uno nell'altro, tramutandoci nell'essere; questo risultato non segue a un nostro sforzo, ma è l'autorivelarsi dell'essere stesso.

Sankara spiega che a rigore, dal punto di vista dall'Assoluto, l'essere non può che apparire impersonale e tuttavia gli si può conferire un nome e una forma, perciò alcuni inni a Dio furono scritti, secondo la tradizione, da Sankara stesso, che si tramutava a volte in un poeta bhaktico . La Mundaka Upanisad (III, 1,3) si rivolge all'essere come «supremo », al maschile singolare (Parama), creatore luminoso, persona cosmica (purusa, «persona» o is o isvara, «signore »: is deriva dalla stessa radice del tedesco eigen o dell'inglese own, «proprio»). L'Upanisad più bhaktica è la Svetasvatara, che fornisce questa preghiera: «lo, desideroso di liberazione, mi rifugio nel Signore, nella luce (prakasa) della sua conoscenza di sé» (VI, 18; alcuni editori invece di prakasa leggono prasada: «colui che mercé la sua grazia si rende noto » ).
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