Nel Bengala, fin dal X secolo era fiorita una poesia del tutto nuova, fondata sulla spontaneità o sahaja, «stato congenito, connaturato » (jan-, «essere nati»; saha, « insieme »), che culminò nel XIV secolo con Candidàs, L'amor di Dio ora diventa la sostanza primordiale dell'universo; la spontaneità visnuita insegna che il Signore ha la potenza di esistere, di conoscere e di bearsi (hlàdin), e quest'ultima s'incarna in Ràdhà persa nel gioco (l'ila) della beatitudine. Della natura di Ràdhà partecipa il devoto, condividendone gli strazi d'amore e partecipando al trepido sentire delle sue compagne. L'amore totale è la spontaneità pura, il mondo ne emerge e vi ritorna. Pratica sahaja fu il culto di una fanciulla (kumar'ipuja), che perdura oggi in tutto il suo sfarzo a Kathmandu.
Con i poeti itineranti bengalesi baùl (vocabolo che forse ha origine dal sanscrito (vàtula, «folle »), nell'ultima sua fase la scuola si identificò con la via della conoscenza e con il Tantra. Da questi poemi, induisti e buddhisti in uno, vale la pena di citare:
Chi vive nel sahaja diventa come un infante, si separa dalle funzioni mentali e si mette nelle mani del maestro: l'arresto della mente accresce per lui la realtà della vita. Nel XVI secolo Caitanya ripristinò il visnuismo puro, lanciando per il Bengala processioni di suonatori inneggianti a Krsna, suscitando uno slancio d'amore in grado di avvincere Dio. L'amore, fondo oceanico nascosto che inerisce a ogni anima, costituisce l'essenza dell'esultanza (hladinirasa preman). Maya, come forza di seduzione e magia divina, copre questo fondo, ma il devoto appassionato, che ignora logica e scrittura, riesce a scoperhiarlo nella propria intimità, vivendo l'amore che è la somma di tutti i sentimenti e ne è anche la forza generatrice.La mente è un albero i cui rami sono i cinque sensi: le fronde abbondanti sono il desiderio, i frutti l'angoscia. Con l'ascia, la parola del sommo maestro, lo si taglia e Kànha dice: l'albero non ricresce. L'albero cresce dall'acqua di peccato e di virtù, ma il saggio ligio al maestro lo taglia. Chi non conosce il segreto del taglio, scivolando e cascando, folle, lo scambia per l'esistenza. Il vuoto è l'albero, il cielo è l'ascia, abbatti l'albero, non rimarranno né radici né rami.

Fu Rùpa Cosvàmin che la ricondusse, nel Bhaktiràsamrtasindhu. «Mare di nettare della devozione », al sentimento sfrenato: per lui la bhakti suprema è una beatitudine piena; esente da ogni desiderio, perfino dal desiderio di liberazione, senza cognizioni e senza volontà, che attira come un magnete e avvince Krsna stesso, perché bhakti comprende ogni sentimento e sapore e Krsna è il supremo degustatore. I sentimenti cattivi non sono altro che un amor di Dio male indirizzato; bene diretti sono invece i senti menti di servizio, amicizia, affetto familiare e soprattutto l'amore erotico (srngara) per Dio, quando l'emozione si solleva a un inebriamento come quello che offrono gli stupefacenti, attraversato da pensieri di Krsna in tutti i suoi aspetti e sorretto dal ballo, da convulsioni al suolo, dal canto sfrenato, dal pianto ad alta voce, da contorcimenti, ululati, sbadigli, sospiri, si è indifferenti all'opinione altrui, si ha la bava alla bocca, si ride fragorosamente, scossi da vertigini e singhiozzi.........